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Draghi: basta scuole chiuse, non è vero che non decido

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“Qui dimostriamo che la scuola resta aperta: e’ una priorita’”. E’ alle “attese” di un Paese di nuovo in balia del Covid, che Mario Draghi risponde. Lo fa in una conferenza stampa “riparatrice”, ammettendo l’errore di non aver spiegato le decisioni prese la settimana scorsa in Consiglio dei ministri: riportare gli studenti in classe e imporre l’obbligo di vaccino agli over 50, per “ridurre la pressione dei non vaccinati sugli ospedali”. Nel giorno del rientro a scuola e dell’entrata in vigore delle nuove misure, tra le proteste di presidi e governatori, i dubbi dei genitori, afferma che il Paese non si puo’ piu’ fermare, non si possono chiudere in casa i ragazzi, alimentando “effetti psicologici” e “diseguaglianze”. ll 2022 va affrontato “con realismo, prudenza ma anche fiducia e soprattutto con unita’”. Si gioca su due piani, la conferenza stampa del premier, accompagnato dai ministri Roberto Speranza e Patrizio Bianchi e dal capo del Cts Franco Locatelli. Il primo e’ quello delle misure, spiegate e rivendicate. Il secondo e’ un piano tutto politico, a due settimane dal voto per il Quirinale. Lo svela implicitamente lui stesso, quando risponde a una delle accuse piu’ frequenti delle ultime settimane, quella di aver ammorbidito l’azione del governo, mediato piu’ del solito, per aprirsi la via per il Colle: “Dicono che Draghi non decide? La scuola e’ aperta”. “Non rispondero’ a nessuna domanda sulla presidenza della Repubblica”, e’ la premessa irrituale di Draghi, che alla fine si scusa per la mancata conferenza stampa della scorsa settimana e rinvia alla “prossima”. Le domande arrivano lo stesso, anche perche’ poco prima che lui parli Silvio Berlusconi fa sapere di non ritenere possibile la sua elezione al Colle: deve restare a Palazzo Chigi. Nel centrodestra circola l’ipotesi – l’auspicio? – che il premier si tiri fuori dalla corsa. Draghi non lo fa, non aggiunge nulla a quanto detto il 22 dicembre, risponde ai dubbi sulle divisioni in maggioranza (“La parte accettabile della domanda”), solo a questo: “In questi 11 mesi e’ stato necessario accogliere diversita’ di vedute, ma non la mediazione a tutti i costi”. Sull’obbligo vaccinale per gli over 50 era giusto “cercare l’unanimita’, perche’ il risultato avesse senso”, aggiunge. Poi fa una postilla, che e’ anche la condizione perche’ il governo, comunque finisca sul Colle, vada avanti, unito: “Le divergenze non sono mai state un ostacolo, finche’ c’e’ volonta’ di lavorare insieme per soluzioni condivise il governo va avanti bene”. La pandemia, dunque. Draghi rivendica di aver adottato “un approccio diverso dal passato”, stigmatizza i 65 giorni di chiusura delle scuole nel 2020, una media pari al triplo degli altri Paesi occidentali. I governatori sono allarmati, presidenti come Vincenzo De Luca, nonostante il Tar riapra gli istituti campani, restano sul piede di guerra. Il premier replica che le scelte sono state sempre discusse con le Regioni (“Emiliano ha appena detto che e’ sempre d’accordo con Draghi anche se non e’ convinto”) ma sul rientro in classe non ammette discussioni. Locatelli sottolinea che anche il Cts e’ d’accordo con il governo, senza divisioni. “La scuola – spiega Draghi – e’ fondamentale per la democrazia, va protetta, non abbandonata. Vogliamo essere molto cauti ma minimizzare gli effetti economici, sociali, soprattuto sui ragazzi e le ragazze. Ci sara’ un aumento delle classi in Dad ma la didattica a distanza non puo’ essere generalizzata anche perche’ provoca disuguaglianze destinate a restare tra chi ci sta di piu’ e di meno, tra nord e sud, e perche’ non ha senso se i ragazzi fanno sport il pomeriggio e vanno in pizzeria”. Quanto all’obbligo di vaccino per gli over 50, di cui l’Italia si e’ fatta apripista, Draghi rivendica di aver agito in base ai dati: “Gran parte dei problemi che abbiamo oggi dipende dai non vaccinati, occupano due terzi delle terapie intensive, quindi rivolgo l’ennesimo invito a vaccinarsi, anche con la terza dose”, per proteggere la propria salute e quella di chi dovrebbe curarsi ma trova gli ospedali intasati. Sul fronte economico il premier annuncia nuovi sostegni e anche altri interventi sul prezzo delle bollette: la stima di crescita 2022 e’ attorno al 4-4,5%, ma “c’e’ una lunga lista di rischi”, resta prudente. Ma invita ad andare avanti con unita’ e ottimismo: “Abbiamo affrontato tante sfide, le abbiamo superate grazie alla determinazione dei cittadini, delle parti sociali, del Parlamento. Abbiamo tutti i motivi per pensare che ci riusciremo anche stavolta”.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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