Philip K. Dick , Isaac Asimov, Cassandra Crossing, Resident Evil, L’esercito delle 12 scimmie, Virus letale e poi anche libri come Nemesi di Philip Roth e oramai il quasi best seller Spillover di David Quammen. Tutti titoli di libri o film che in questi giorni di quarantena entrano nelle nostre case, citati da tutti, come Bibbie messaggere di presagi e profezie che qualcuno arrischia ad elogiarne le capacità scientifiche previsionali trasponendoli come ineluttabili studi sul tempo che stiamo vivendo. Questi titoli scandiscono il nostro tempo recluso illustrandoci scenari che sono stati ampiamente superati della realtà che stiamo vivendo. E’ invece poco citato, ma forse perché cerchiamo di distrarre quegli stati d’animo, quelle angosce e quelle paure insieme alla rimozione che vorremmo operare nell’interrogarci sulla nostra capacità di resistere con la paura dell’attesa di un futuro dove il nemico si paleserà e a quel punto ci toccherà combattere. E’ poco citato un libro che potrebbe essere la metafora di quello che stiamo affrontando, un libro crudo, forte, “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Non si parla di virus, non di pandemie, nemmeno di complotti internazionali fantapolitici, ma è un libro che parla dell’uomo e del tempo che scorre, lento, angosciante, pesante, nell’attesa che il nemico, arrivi. Poi, se il nemico arrivi e quando arrivi, non è dato sapere, allora ci si attrezza, ma nello stesso tempo ci si interroga sulla propria vita e sul senso che abbiamo fino ad ora dato ad essa e allora guardiamo al futuro, che arriverà, dovrà arrivare, di sicuro arriverà, sia esso di guerra o di passato pericolo e capiremo che il tempo non può essere immobile e come il capitano Drogo avremmo vinto con dignità la nostra principale paura.
Tatiana Travaglini, dirigente società culturale
“da quando il mondo è sopraffatto dalla paura di un virus subdolo che improvvisamente ci ha vietato di abbracciarci, stringerci le mani, incontrarci, io mi sto interrogando, cercando di far uscire qualche emozione profonda ma mi sembra di essermi bloccata. Mi sto chiedendo come sto vivendo questa emergenza, non lo so mi sembra quasi un peggioramento di una mia personale emergenza. In effetti io mi sono bloccata quasi 8 anni fa a causa di una rottura di aneurisma celebrale e tutto è rimasto sospeso all’improvviso in un pomeriggio di agosto.
Già all’epoca mi sono dovuta reinventare tutto anche perché dopo quindici anni di convivenza, la vita di coppia si è sfasciata, si reggeva con un filo troppo labile. Allora mi sono reinventata una casa, sono tornata a vivere in città perché tutti mi diceva non puoi vivere così lontano – ma in fondo Bacoli non è dall’altro capo del mondo. Ora in questo mondo sospeso che ogni giorno fa la conta della tragedia io ho deciso che non dovevo fermare niente di quello che è il mio bisogno di normalità, per cui mi do dei tempi come stessi al lavoro e mi metto al computer a cercare cose, leggere articoli, rimanere connessa sui social. Da metà marzo, avendo immaginato che la vita mi sta rimettendo alla prova, nel silenzio, – che forse non mi dispiace l’assenza di clacson, l’assenza del rumore di una città isterica – organizzo i miei tempi cercando di ordinare la spesa online, tra portali bloccati perché intasati dall’Italiano delirante che ha la fissa della scorta già in tempi normali, poi non potendo farmi raggiungere da una domestica, cerco di fare le pulizie da sola considerandola come fosse l’ora di fisioterapia che adesso non si può fare perché tutto è bloccato anche i servizi essenziali come la riabilitazione per persone con disabilità.
Per fortuna la vita vale la pena viverla perché hai amici che smontano da un turno di notte in ospedale e passano a lasciarti la spesa in ascensore, la vicina che ti lascia la spesa e le zeppole di San Giuseppe appese alla porta, hai ancora voglia di reagire e sopravvivere nonostante chi e ti chiama per fare la conta dei conoscenti di parenti di conoscenti positivi al virus!! Io vado avanti oggi e, domani vedrò”
Laura Angiulli, regista, professoressa Accademica
“Non sono certa di avere ancora accolto con compiutezza la realtà dell’evento; uno sfasamento di percezione fra le mura di casa e i bollettini di guerra lanciati in rete, e che segnano con non lieve disagio l’inevitabile presa di coscienza sull’impotenza di un controllo che rappresenti in sé garanzia d’equilibrio; c’è un’idea di tradimento, di sconfitta in quella presunzione d’invincibilità che in tanti avevamo affidato all’onnipotenza della scienza, e che invece dobbiamo accogliere in un’evidenza di scarsità di risorse rispetto all’ imprevedibilità dei casi. La consapevolezza dell’impossibilità dell’integrità a tutto tondo lascia un segno non sanabile, anche se sappiamo tutti che alla fine andrà meglio e le cose in qualche modo si rimetteranno in moto, pure col triste bagaglio di quelli che si saranno persi per strada. In quanto a me, se penso nei termini di un “prima” e un “dopo” non sono cambiate molte cose nelle mie giornate, e come sempre non trovo il tempo per portare a termine tutto quello che ho in sospeso e vorrei completare, anche perché si sono aggiunte nella necessità di ogni giorno alcune azioni che prima rinviavo a tempo indeterminato e che ora assorbono un po’ delle mie ore subito, dal risveglio in poi. Quando mai ero riuscita a fare ginnastica? E quei tanti libri in attesa di essere letti fino in fondo, e non solo nei frammenti legati all’interesse del momento? Quando mai ero riuscita a leggere qualcosa che non fosse direttamente suggerito dalla materia dello spettacolo che avevo in costruzione? E le tante relazioni amicali tenute vive negli affetti ma relegate ai margini del mio tempo… quando mai ero riuscita a telefonare a un amico per il solo interesse a sentirne la voce e godere della pienezza d’un incontro diverso nella forma ma assolutamente vivo. E poi ci sono nuove esperienze, che vanno dal fare la “pasta frolla” per una pizza di scarole al piacere, vero, di trovare i miei allievi sul monitor del mio portatile, e sentire che ci siamo tutti, i ragazzi ed io, ci siamo veramente nella condivisione di un incontro che non solo sappiamo, ma anche sentiamo necessario, per l’importanza degli argomenti che pure c’è e ci appassiona, ma – ed è quello che conta di più- per il fatto stesso di esserci anche oltre la formalità dei ruoli e degli obblighi istituzionali. E’ bello sentire questo. Quando tutto sarà passato certo dimenticherò il disagio delle limitazioni che opportunamente il momento impone, ma spero – lo spero vivamente – di portarmi dietro nuove consuetudini e nuove acquisizioni di senso che vado consolidando anche come diritti verso me stessa, cose di poca importanza all’apparenza, ma assolutamente significative perché emerse in un tempo dove è più chiaro l’ascolto dei propri desideri”.
Orfeo Soldati, chirurgo
“Ho 69 anni, chirurgo in pensione ed affetto, oltretutto, da patologie che mi renderebbero “a rischio” in una qualunque epidemia influenzale. Vivo solo, la colf si è messa in aspettativa e questo isolamento mi sta mettendo a dura prova sia psicologicamente sia nella routine quotidiana. E’ un mese circa che non vedo nipotini (la mia “luce”); per me, che ho un rapporto assai fisico con la vita, le foto e i video di whatsapp riescono solo in minima parte a surrogare la loro mancanza. Sfoglio attentamente il mio archivio fotografico, riascolto vecchie playlist musicali, ripenso almeno dieci volte al giorno ai tempi della vita “normale” e mi ripropongo, per l’auspicabile dopo, di vivere con maggiore immediatezza e senza pudori i sentimenti ed in generale i rapporti con chi mi è vicino, non tralasciando nulla che possa dare un momento anche fugace di gioia. Pensavo di potere leggere qualche libro in più ma la concentrazione anziché aumentare si è affievolita. Non so perché. L’isolamento mi ha dato anche qualche esperienza positiva. Ricevo tante telefonate di amici, anche di tempi passati, che con voce commossa mi hanno fatto sentire il loro affetto. “Cerchiamo di rivederci, magari anche solo per una birra assieme”. Ce lo eravamo detti tante volte, invano, ma ora sono determinato a tener fede all’impegno. Ho la necessità assoluta di toccare, abbracciare, guardare negli occhi. Lo specchio dopo tanti giorni non mi risponde più. A parte le obbligatorie faccende domestiche, trascorro qualche ora in rete sia nelle chat di gruppo sia sui social network sia (soprattutto!) sulle testate giornalistiche. Questa overdose di Internet è stata una “manna” nei primi giorni di isolamento ma dopo tre settimane sto via via prendendo le distanze anche perché, ovviamente, l’epidemia ha monopolizzato totalmente sia i nostri discorsi che l’informazione e perché la sola “virtualità” comincia a soffocarmi. Quindi: posta elettronica, giornali on line, visite virtuali a mostre o musei, tantissimi film e commedie teatrali (soprattutto classiche). Consulto frequentemente i siti di cucina immaginando i prossimi menù che potrei offrire (offrirò!) ai miei amici quando il Maligno sarà scomparso. Cerco di non parlare sui social dell’epidemia né di leggere articoli on line sul Coronavirus: giudico la divulgazione scientifica in rete in genere sensazionalistica, poco attendibile (mi risparmio la fatica di verificare le fonti!) ed ansiogena più del bollettino quotidiano della protezione civile. Confesso, più si allunga il tempo dell’isolamento più aumenta la mia paura che all’inizio era solo necessaria cautela. Penso ai tanti miei colleghi che stanno pericolosamente lavorando (c’è anche una delle mie figlie!), che rischiano la vita e spesso ce la rimettono. Ed io ormai non posso stare neppure nelle retrovie! Ecco, questo mi manca. Da vecchio “barbagianni” mi consolo pensando che il mio ruolo di responsabilità ora è quello di essere rigoroso nella quarantena. In effetti rigoroso lo sono, ma mi costa aver dovuto cedere il posto in quella che è sempre stata la mia trincea, quella di medico al fianco di chi ha bisogno”.
Mario Colella, Notaio
“Il 28.3.2020 da un ignoto politico olandese arriva l’affermazione: “L’italia e la Spagna sbagliano a ricoverare anche gli anziani. “Questa frase sconvolgente mi ha fatto andare indietro nel tempo. Mi sono domandato anche se il nostro calendario fosse intorno all’anno mille invece che al duemila. L’egregio olandese, non so se con gli zoccoli di legno al piede, o erede putativo del pirata chiamato l’olandese volante, dimentica i caratteri basilari della nostra civiltà e del nostro diritto sovranazionale. L’art. 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma che “ad ogni individuo spettano tutti i diritti e le libertà…senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, religione…ecc.” Il successivo 3 : “ Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà, ed alla sicurezza della propria persona”. O pensa quel signore che il tutto cambia se vi sono interessi economici in ballo? Infatti provenendo quell’affermazione dall’area dei paesi nordici che vivono in generale in una economia ricca, nulla di più sicuro che sia un’affermazione dovuta al pensiero che l’Olanda possa diventare meno ricca per curare anziani e scoppiati latini. Gli anziani sono punto di riferimento e di ammirazione per i giovani e per gli affetti. Senza di loro le generazioni giovani non vivrebbero in un mondo libero e democratico. Gli anziani trasmettono ai giovani i loro saperi, i loro valori, le proprie consuetudini, hanno formato giovani e meno giovani che oggi mandano avanti il mondo in virtù degli insegnamenti di professori, scienziati, muratori, ricercatori, meccanici, ingegneri, fruttivendoli, medici, ciabattini, avvocati, scrittori, camerieri, filosofi e via dicendo. Senza quegli insegnamenti provenienti dai padri cosa sarebbero i giovani? Gli uccellini senza i genitori morirebbero di fame e non imparerebbero a volare. I leoncini senza genitori non imparerebbero a cacciare. Caro “grasso amico olandese”, il mondo attuale va in questo modo. Ed è sempre stato così. Diceva Bernard de Chartres che “ siamo nani sulle spalle di giganti così che vediamo più cose perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”. Quei giganti sono i nostri antenati, scienziati o ciabattini che essi fossero. Arma viramque cano. Quell’uomo forte, Enea, è colui che nella fuga da Troia ha il figlio per mano, Ascanio, ed il padre vecchio e paralitico sulle spalle. Ad insegnamento per le generazioni future di cosa sia la “pietas”. Lei, ignoto olandese, non ha idea di cosa sia o dove sia la pietas. Eppure la sua civiltà è erede della tradizione ellenica e latina. Certo nel corso del tempo e spesso nei gruppi tribali in tempi tragici i primi ad essere sacrificati erano gli anziani. Si chiamava senilicidio o gerontocidio. Si attuava con l’uccisione o facendoli morire di fame. Era una risorsa in società miserrime ove si liberavano risorse per i più giovani. Nella società greca e latina era un’empietà sacrificare i vecchi in qualsiasi modo. Certo con eccezioni. Nell’isola di Kea, durante l’assedio ateniese, per preservare le riserve di cibi, decisero per votazione che i cittadini sopra i 60 anni avrebbero dovuto suicidarsi bevendo cicuta. Ma l’egregio esegeta della pandemia forse ricorda il famigerato regime di Ceauasescu. Ma se lo ricorda non è tanto giovane. Il dittatore romeno, fucilato con la moglie appena arrestato, per arricchirsi sempre più e non sprecare risorse preziose per i vizi suoi e dei figli aveva dato ordine agli ospedali di non ricoverare anziani e non fornire medicine. Erano di nessuna utilità avendo già dato una vita per il lavoro e pesando con una pensioncina sulle finanze pubbliche. Gli anziani caro olandese volante, sono garanti di ogni passato e sono una pianta che deve appassire, ma può ancora rifiorire. Meglio non abbandonarli, sono persone da amare e curare per quello che hanno dato e possono ancora dare. E dal momento che questa è una guerra le citerò Bertold Brecht “La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”.
Maria Chianese, pediatra
“Sono chiusa nella mia casa a Napoli, grande luminosa e mi ritengo fortunata in questa “peste” moderna. Giorni e notti che sembrano far parte di un film di fantascienza, ma non lo è questa terribile realtà. Mi sento sospesa tra quello che era la vita prima della peste e quello che ci aspetta nel “dopo”. La nostra fretta convulsa si è dovuta fermare. Mi rifiuto di essere dipendente da TV, internet ed affini. Certo ho rivalutato le moderne tecnologie per comunicare con tutti, non so come avremmo fatto senza, ma non voglio dipendere completamente. Amo i libri e la musica e spesso mi rifugio in loro., ma ho bisogno anche di comunicare con gli esseri umani e non solo per parlare di questo maledetto virus! Certo mi colpisce il bisogno di contatti e risorgono vecchi rapporti trascurati. Mi chiedo quando questa angoscia comincerà ad attenuarsi come ci comporteremo e se trarremo insegnamento da questa guerra, io lo spero per tutto il genere umano, ma quanto tempo ci vorrà!”
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
“Pompei non può essere associata al turismo di massa, ma deve avere come obiettivo quello della qualità”. Gabriel Zuchtriegel stringe tra le mani il suo biglietto nominativo, quello che da oggi è obbligatorio per entrare negli scavi che dirige dal febbraio 2021. È una delle novità introdotte all’interno del parco archeologico. La più importante riguarda il numero chiuso per gli ingressi giornalieri, che non potranno mai superare quota 20mila. Nel periodo di maggiore afflusso (dal primo aprile al 31 ottobre), poi, saranno anche previste specifiche limitazioni a seconda delle fasce orarie: dalle 9 alle 12 massimo 15mila ingressi; altri 5mila da mezzogiorno alle 17.30. L’acquisto dei ticket è consentito sul posto e online. “Alla base – spiega ancora Zuchtriegel – ci sono soprattutto motivi di sicurezza, sia dei visitatori, sia di tutela del patrimonio. Partiamo in questo periodo di bassa stagione per sperimentare tale misura, i cui numeri saranno poi esaminati con calma in vista delle giornate di maggiore afflusso”.
Obiettivo è anche combattere il fenomeno del bagarinaggio, che portava i turisti ad acquistare biglietti rivenduti a prezzi maggiorati e con l’aggiunta di “servizi” già compresi nel costo abituale del ticket. Altro proposito è puntare a distribuire i visitatori anche sugli altri siti del parco (Boscoreale, Torre Annunziata, Villa dei Misteri, Civita Giuliana e Stabia). Gli scavi di Pompei introducono le novità del numero chiuso e del biglietto nominativo dopo un’estate da record, che ha fatto registrare flussi mai visti in passato, con oltre quattro milioni di visitatori e punte di oltre 36.000 presenze in occasione di una delle prime domeniche del mese (quelle a ingresso gratuito). Questa mattina Zuchtriegel ha deciso di seguire personalmente l’avvio del cambiamento insieme con Prefettura, vigili del fuoco e consulenti dei lavoratori insieme ai quali è stata ravvisata la necessità di prevedere una gestione in piena sicurezza del sito Unesco.
“Abbiamo avuto in autunno, estate e primavera – sottolinea ancora il direttore – giornate in cui il limite dei 20.000 ingressi è stato superato: ci siamo resi conto di dover garantire a tutti i visitatori una esperienza di qualità. Pompei non deve essere un sito per il turismo di massa. Abbiamo un territorio meraviglioso e ci impegneremo a canalizzare maggiormente i flussi, ma anche gli investimenti, la ricerca e la valorizzazione di questi luoghi. Questo non è una misura contro la crescita. Anzi, noi puntiamo sulla crescita”. Nessuna gara sui numeri, come avviene in particolare in occasione delle domeniche ad ingresso gratuito: “La nostra priorità è la sicurezza – conclude Zuchtriegel -. E in caso di emergenza, abbiamo pensato di assicurare uscite controllate ai visitatori. Attenzione, siamo orgogliosi dei dati che abbiamo raggiunto in questi anni: spesso eravamo al primo posto nelle giornate di ingressi gratuiti. Questa classifica è carina, ma logica ci impone di scegliere la conservazione del nostro patrimonio: non vorremmo mai che qualche classifica finisca per danneggiarlo”.
Calano i contagi da Covid-19 in Italia. Nella settimana dal 17 al 23 ottobre si registrano 8.660 nuovi casi rispetto ai 11.433 della rilevazione precedente mentre i decessi sono 116 a fronte di 117. Il maggior numero di nuovi casi è stato registrato in Lombardia (2.693), Veneto (1.206), Piemonte (998) e Lazio (928). Mentre continua la corsa della variante Xec. E’ quanto emerge dal bollettino aggiornato e dal monitoraggio settimanale a cura del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Nell’ultima settimana sono stati effettuati 89.792 tamponi, in calo rispetto ai 94.880 della precedente rilevazione, e scende anche il tasso di positività, da 12% a 9,6%.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero ospedaliero, al 15 ottobre è pari a 0,84 rispetto a 1,06 del 9 ottobre. È in lieve diminuzione, in quasi tutte le regioni, l’incidenza settimanale: la più elevata è stata in Lombardia (27 casi per 100mila abitanti) e la più bassa in Sicilia (con 0,2 casi per 100mila abitanti). Al 23 ottobre, si legge, “l’occupazione dei posti letto in area medica è pari a 3,7%, stabile rispetto alla settimana precedente (3,8% al 16 ottobre). In lieve diminuzione l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 0,9% (76 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (1,0% al 16 ottobre)”. In base ai dati di sequenziamento nell’ultimo mese si osserva la co-circolazione di differenti sotto-varianti di JN.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di KP.3.1.1. In crescita, inoltre, la proporzione di sequenziamenti attribuibili a Xec (17% nel mese di settembre contro il 5% del mese di agosto).
Dopo il calo delle ultime settimane, tornano a salire i contagi da Covid-19 in Italia. Dal 19 al 25 settembre sono stati 11.164 i nuovi positivi, rispetto agli 8.490 della settimana precedente, pari a un aumento di circa il 30%. La regione con più casi è la Lombardia (3.102), seguita dal Veneto (1.683) e Lazio (1.302). E a crescere sono anche i decessi settimanali, passati da 93 a 112. Stabile l’impatto sugli ospedali mentre cresce la variante Xec.
Questi i dati dell’ultimo bollettino settimanale pubblicato dal ministero della Salute e del monitoraggio a cura dell’Istituto superiore di Sanità. Ad aumentare sono stati anche i tamponi, passati dai 81.586 del 12-18 settembre a 85.030, mentre il tasso di positività è passato dal 10% al 13%. Stabile invece il numero di posti letto occupati da pazienti Covid nei reparti di area medica (pari a 3% con 1.885 ricoverati), così come quelli occupati in terapia intensiva (0,7% con 62 ricoverati). I tassi di ospedalizzazione e mortalità restano più elevati nelle fasce di età più alte.
L’indice di trasmissibilità (Rt) basato sui casi con ricovero, è pari a 0,9, in lieve aumento rispetto alla settimana precedente. Mentre l’incidenza è di 19 casi per 100mila abitanti, anche questa in aumento rispetto alla settimana precedente (14 casi per 100mila abitanti). L’incidenza più elevata è in Veneto (35 casi per 100mila abitanti) e la più bassa nelle Marche (1 per 100mila). In base ai dati di sequenziamento genetico, nell’ultimo mese circolano insieme differenti sotto-varianti di Jn.1 attenzionate a livello internazionale, con una predominanza di Kp.3.1.1 (68%). In crescita, e pari a circa il 5%, i sequenziamenti del lignaggio ricombinante Xec, appartenente alla famiglia Omicron.