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Cronache

Derubano pure Lilli Gruber, è successo a Villa Borghese mentre faceva ginnastica

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Si stava allenando a Villa Borghese approfittando della giornata di sole quando, in un attimo di distrazione, il suo borsello è sparito nel nulla. Brutta avventura nel primo pomeriggio per la giornalista Lilli Gruber (nella foto Imagoeconomica in evidenza), conduttrice televisiva della trasmissione Otto e mezzo, in onda su La 7. L’allarme è scattato intorno alle 14 all’interno della villa a quell’ora frequentata da giovani, famiglie e turisti. Quando Gruber ha realizzato che il suo borsello non c’era più si è prima guardata bene intorno poi si è recata poco nel vicino commissariato Salario-Parioli dove ha presentato denuncia. All’interno del borsello rubato c’erano le chiavi di casa e il cellulare.

La polizia avvierà ora indagini per dare un volto e un nome a chi ha rubato il borsello nel centralissimo parco a due passi da via Veneto. Da una prima ricostruzione sembra che la giornalista mentre si allenava abbia appoggiato vicino a sé il borsello per svolgere alcuni esercizi. Poco dopo si è accorta che le era stato rubato. Da chiarire se il furto sia stato commesso da una sola persona che, vedendo il borsello incustodito, si è avvicinata rapidamente impossessandosene o se, al contrario, i responsabili siano più persone e magari lo avevano già puntato e sono entrati in azione appena la proprietaria si è distratta un attimo. E non è la prima volta che Lilli Gruber finisce nel mirino dei ladri.

Già nel 2008, quando era europarlamentare, subì un furto nella casa di famiglia a Egna, a sud di Bolzano, in Alto Adige. In quell’occasione i responsabili rubarono diversi gioielli. Nell’abitazione quella notte c’era la sorella della giornalista che fu svegliata dai rumori e diede l’allarme.

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Cronache

Bomba nell’auto del finanziere a Bacoli, dinamitardo condannato a 10 anni

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Ha accolto le richieste dalla Procura di Napoli il giudice Rosaria Aufieri, che, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, ha condannato a dieci anni di reclusione il 51enne Franco Di Pierno, ritenuto colui che confezionò la bomba posizionata nell’auto di un finanziere per ucciderlo, fortunatamente senza riuscirci.

L’episodio è avvenuto a Bacoli, in provincia di Napoli, il 21 marzo 2023. Secondo quanto emerso dalle indagini della procura (pm Maurizio De Marco, procuratore aggiunto Pierpaolo Filippelli) a ordinare l’omicidio fu l’ex compagna, un avvocato, dell’ufficiale della Guardia di Finanza che si salvò letteralmente per miracolo.

Dagli accertamenti, durati un anno, dei carabinieri del nucleo investigativo di Napoli, emerse che Di Pierno effettuò diversi sopralluoghi prima di piazzare la bomba e farla esplodere utilizzando un telecomando. Così, la ex del finanziere, sempre secondo le indagini, voleva dirimere la querelle sorta tra i due per l’affidamento del figlio della coppia.

A confezionare l’ordigno, secondo gli inquirenti, fu invece il 46enne Ciro Caliendo, cognato di Di Pierno, che la settimana scorsa si è visto rigettare il ricorso presentato ai giudici del Riesame. Caliendo è sotto indagine anche per un altro episodio violento, la morte della moglie, deceduta mentre con il marito era a bordo di una Fiat 500. L’incidente stradale è avvenuto la fine dello scorso settembre, in provincia di Foggia, precisamente a San Severo.

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Cronache

Napoli, l’omicidio di Arcangelo Correra: una sfida mortale tra amici e un’arma nascosta

Arcangelo Correra, 18 anni, è stato ucciso da un colpo di pistola sparato dal suo amico Renato Caiafa durante una tragica sfida tra ragazzi. Secondo l’ordinanza del gip, l’arma, una calibro 9×21 rubata e senza tappo rosso, non sarebbe stata trovata per caso. Il giudice solleva dubbi sulle dichiarazioni di Caiafa, ora in carcere, e ipotizza un coinvolgimento criminale dietro il possesso della pistola. Le indagini proseguono per verificare se l’accusa possa includere l’omicidio con “dolo eventuale”.

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“Spara! Sparami qui! Vediamo se sei capace”. Devono essere state più o meno queste, secondo la ricostruzione degli inquirenti, le parole rivolte da Arcangelo Correra al suo amico Renato Caiafa, che brandiva la pistola che poi lo ha ucciso. “Arcangelo lo sfidava a sparare, mostrando il petto… tutti guardavano nella loro direzione e, una volta esploso il colpo, gli hanno urlato ‘cosa hai fatto'”: è da brividi il racconto contenuto nell’ordinanza con la quale il gip di Napoli ha disposto il carcere per il 19enne Caiafa reo confesso dell’omicidio dell’amico di 18 anni. Arcangelo è stato ferito a morte all’alba di sabato scorso in una piazzetta nel cuore di Napoli e poi è morto verso le 11 nell’ospedale Vecchio Pellegrini dove lo stesso Caiafa e un altro ragazzo l’avevano accompagnato in sella a uno scooter.

Il 19enne ha più volte sostenuto di essersi reso conto che quella era un’arma vera e propria solo “al momento dello sparo” e solo dopo avere visto “il sangue di Arcangelo a terra”. E, afferma il gip, sebbene possa ritenersi plausibile l’ipotesi del gioco finito in tragedia (come riferito anche da una fonte confidenziale), è invece inverosimile che, come sostenuto dal ragazzo, l’arma sia stata trovata per caso, sopra la ruota di una macchina parcheggiata. A Caiafa per ora viene contestato il porto, la detenzione e la ricettazione della pistola che avrebbe sparato, una calibro 9×21 rubata, con la matricola cancellata, senza il tappo rosso e con il caricatore maggiorato, nascosta e recuperata solo grazie alla madre dell’indagato. Un’arma (“forse destinata all’uso predatorio”) che Caiafa avrebbe scorto sullo pneumatico di un’auto parcheggiata e poi preso, non sapendo se vera o giocattolo.

Ma, per il giudice, solo chi sapeva che era lì poteva recuperarla nelle prime e più buie ore di quel drammatico sabato, in quanto si tratta di un’arma nera, nascosta tra una ruota anch’essa nera e la carrozzeria della vettura. In sostanza, secondo il gip, l’arma era già nella disponibilità di quei quattro ragazzi. “Nessuno – sostiene il magistrato – avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore… la criminalità tende ad acquisire il possesso di questo tipo di armi… possono essere usate mille e mille volte” perché “clandestine, difficilmente ricollegabili ai delitti e ai loro autori”.

All’autorità giudiziaria, inoltre, appare quantomeno strana la circostanza che Caiafa, dopo avere accompagnato l’amico moribondo in ospedale su uno scooter – risultato peraltro in uso anche a soggetti legati alla camorra – malgrado sconfortato abbia trovato la lucidità di chiedere allo zio di recuperare la pistola lasciata in piazza, spingendolo praticamente a commettere un reato. “Che senso avrebbe avuto – sottolinea il gip – recuperare l’arma se fosse stata rinvenuta per caso e non fosse stata riconducibile proprio a quei ragazzi e a chi quei ragazzi li aveva armati”?.

In sostanza, “tutta la condotta post factum tenuta da Caiafa dimostra che quell’arma non era stata trovata per caso”. Circostanza peraltro affermata solo da lui e non anche dagli altri amici presenti. Il fermo non è stato convalidato per insussistenza del pericolo di fuga, visto che il giovane si è presentato spontaneamente in Questura, anche se è ipotizzabile invece la reiterazione del reato – dall’ordinanza emerge che aveva la possibilità di reperire armi “dagli stessi circuiti criminali che lo hanno, già nel recente passato, armato” – e l’inquinamento probatorio: il carcere, a differenza dei domiciliari, gli preclude la possibilità di entrare in contatto con i suoi amici (erano in quattro, anche un cugino omonimo della vittima e si sono mostrati reticenti) per influenzarne la versione dei fatti.

E, come dimostrerebbero lo spostamento dell’arma, i vestiti di cui si è liberato e la cancellazione delle eventuali impronte sull’arma, Caiafa si sarebbe già adoperato per nascondere le prove agli inquirenti. Le indagini proseguono anche per capire quale sia l’ipotesi di reato da contestate in relazione all’omicidio che non si esclude possa essere di tipo volontario con “dolo eventuale”.

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Cronache

È morto il sociologo Franco Ferrarotti

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È morto a Roma a 98 anni il sociologo Franco Ferrarotti (nella foto Imagoeconomica in evidenza). Professore di sociologia all’università La Sapienza di Roma fino al 2002, è stato anche deputato nel Parlamento per la terza legislatura, eletto per il Movimento di Comunità. Nel 2005 è stato nominato Cavaliere di gran croce. Ferrarotti era nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile del 1926. A confermarne la morte il professore emerito di Comunicazione Mario Morcellini. Nei giorni scorsi Ferrarotti era stato operato a Roma e, a quanto si apprende, l’esito dell’operazione era stato buono.

Ferrarotti ha insegnato in numerose università straniere, specialmente nordamericane. “Ma in Italia tutti collegano la parola sociologia al suo nome” sottolinea Morcellini. Ferrarotti è stato fra i fondatori del Consiglio dei Comuni d’Europa a Ginevra nel 1949; direttore dei progetti di ricerca sociologica presso l’Oece (ora OCSE) a Parigi nel 1958-59. Fra le sue opere principali, Sindacati e potere (1954); La protesta operaia (1955); La sociologia come partecipazione (1961); Max Weber e il destino della ragione (1965); Trattato di sociologia (1968); Roma da capitale a periferia (1970); La sociologia del potere (1972); Vite di baraccati (1974); Studenti, scuola, sistema (1976); Giovani e droga (1977). Fondatore, con Nicola Abbagnano, dei Quaderni di sociologia, ha diretto anche la rivista La critica sociologica.

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