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Cultura

Dalle vessazioni delle formiche rosse sudafricane al Dio di Daniel Ortega in Nicaragua, le nefandezze nascoste dall’ombrello protettivo del Covid 19

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Formiche rosse: tutti le conoscono. Le mostrano ai bambini quando ne vedono una. Hanno una diceria su di loro. Magari una storia da raccontare, come quella che capitò a me a San Pedro, in Costa d’Avorio, quando misi il piede in un “loro” formicaio e mi accorsi che erano giganti e che in qualche secondo trasformarono la mia caviglia sinistra in un melone. Ma le “formiche rosse” di cui parlo, qui, sono uomini: chiamati così perché indossano una tuta rossa e nelle periferie delle townships sudafricane, a Johannesburg, a Durban, a Città del Capo, si incaricano di distruggere gli “abitati informali” costruiti abusivamente (e come se no?) da gente che più disgraziata di così neanche chissà dove. Le “red ants” operano da anni, ingaggiate dalle autorità pubbliche e tristemente note per la violenza non proprio necessaria, diciamo, con cui svolgono il loro lavoro. Le “red ants” sono dipendenti della Red Ants, una società di sicurezza privata. Lavorano, questi operai reclutati tra gli stessi miserabili che vanno a sgomberare e pagati un niente, armati di fucili e pistole oltre che attrezzati per lo smantellamento e l’evacuazione degli “occupanti illegali”. Il foto-giornalista James Oatway ne ha documentato le gesta, presentando i suoi scatti, tra l’altro, lo scorso anno a Bologna, nel quadro di It.A.Cà, il festival del Turismo Responsabile. 

E allora? Direte voi. La legge è la legge! Sì certo. Il fatto è però che, a causa della pandemia -che si chiama così proprio perché è mondiale, si propaga dappertutto – la gente “deve” stare confinata in casa, secondo le disposizioni del Governo che aspetta con qualche ansia il picco epidemico. E dunque, che fanno quelli a cui le formiche rosse hanno smantellato l’ultimo rifugio? Dove vanno, nella pur semplice attesa di ammalarsi e morire?

Ma di drammatici avvitamenti è pieno il pianeta pandemico. In Israele la crisi economica generata da COVID 19 colpisce duro: la disoccupazione è passata dal 4 al 25% nel giro di qualche settimana. C’è gente, però, che paga la crisi in modo tre volte più pesante: gli immigrati africani, particolarmente eritrei e sudanesi. Intanto, sono i primi a perdere il lavoro. In secondo luogo, non sono coperti dalle provvidenze e dai paracadute sociali previsti dalla legge per coloro che, a causa del coronavirus, vengono a trovarsi in difficoltà e in situazione di emergenza. Infine, ecco il punto francamente insostenibile. In base alla normativa vigente, una parte del salario degli immigrati regolari (circa 31.000) e di quelli in attesa di asilo politico (circa 36.000), viene trattenuta dal datore di lavoro e congelata in un conto per essere sbloccata nel momento in cui il migrante decide di lasciare il Paese e tornare a casa. Una misura volta per un verso ad incentivare i rientri e per altro verso a disincentivare gli ingressi, legali o illegali che siano. Considerando che i migranti percepiscono per solito il salario minimo, e considerando che ciascuno di loro, secondo stime concordanti, spende la metà del salario per vivere, una volta detratta la somma, stimata pari al 20%, che cosa gli resta da mandare a casa, alla famiglia allargata, a decine di persone che vivono di quell’unica risorsa che è la rimessa di un unico emigrato?

Migranti. Protesta di sudanesi ed eritrei che lavorano sottopagati in Israele

È tempo, dicono i migranti, di sbloccare i conti alimentati con le trattenute a partire dal 2017: 75 milioni di € che permetterebbero agli africani di sopravvivere all’epidemia (sperando che non si ammalino) e di inviare un soccorso di emergenza in Patria, in attesa di tempi migliori. Una misura che non costerebbe l’ombra di un centesimo allo Stato. Un’azione umanitaria. Da Israele, francamente, ce l’aspettiamo.

Daniel Ortega. Il Padre padrone del Nicaragua

Nel frattempo, il coronavirus colpisce anche in Nicaragua, dove il presidente Daniel Ortega, tra negazionismo e incuria, ha deciso di attribuire direttamente a Dio la responsabilità dell’epidemia. Il Signore, dice, vuol punire gli umani per i peccati gravi di cui si macchiano. Dotandosi di armi atomiche e mezzi militari per impadronirsi del Pianeta. Concentrata com’è su questo cruciale punto, la gente quasi non s’accorge che l’invasione delle terre indigene da parte dei coloni è ricominciata sotto l’ombrello mediaticamente protettivo di COVID 19. Qui, come in altre parti dell’America Latina. Nella Bosawas, la più grande riserva della biosfera americana dopo l’Amazzonia, cadono sotto il piombo di allevatori e agrari uomini e donne delle comunità tawahka, mayangna, miskito. Fuggono a centinaia davanti agli armati a cavallo, che le autorità fanno mostra di non vedere. Decine di migliaia di ettari sono consegnati all’agricoltura e all’allevamento estensivo. Il coronavirus si diffonde in forme inimmaginate e sa essere molto, ma molto più crudele di quanto si creda….       

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Cultura

Un tycoon delle cripto acquista all’asta e fa sapere che mangerà la banana di Cattelan

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Un tycoon delle criptovalute sta per mangiare la banana appiccicata alla parete di Maurizio Cattelan. Pagando 6,2 milioni di dollari da Sotheby’s, il collezionista Justin Sun, fondatore della piattaforma Tron, ha battuto altri sei concorrenti per una di tre edizioni dell’opera concettuale Comedian creata nel 2019 dall’artista padovano celebre in tutto il mondo per le sue provocazioni. Sun, che nella sua raccolta ha un Giacometti da 78 milioni comprato nel 2021, ha seguito l’asta da Hong Kong e pagato in criptovalute. Dopo aver messo le mani su Comedian ha fatto sapere che “nei prossimi giorni mangerà la banana come parte di questa unica esperienza artistica, onorandone il ruolo sia nella storia dell’arte che nella cultura pop”.

La banana in questione era stata acquistata poche ore prima dell’asta per 35 centesimi da un banchetto di frutta e verdura dell’Upper East Side: assieme al nastro adesivo grigio che l’attacca alla parete, deve essere sostituita regolarmente e questo fa parte del progetto di Cattelan che aveva inteso Comedian come una satira delle speculazioni del mercato: “Su che base un oggetto acquista valore nel sistema dell’arte?”, si era chiesto l’artista famoso per America, il water d’oro massiccio installato nel 2016 al Guggenheim. Piu’ di recente lo stesso Cattelan aveva aggiunto che “l’asta sara’ l’apice della carriera di Comedian. Sono ansioso di vedere quali saranno le risposte”.

Comedian aveva debuttato ad Art Basel Miami dove la galleria Perrotin ne aveva venduto le tre edizioni, due per 120 mila dollari e la terza per 150 mila, pagati da un anonimo acquirente che l’aveva poi donata al Guggenheim. Durante la fiera, l’artista delle performance David Datuna ne aveva mangiata una, costringendo Perrotin a chiudere lo stand prima del tempo. Un’altra banana era stata mangiata l’anno scorso da uno studente d’arte sudcoreano nel museo della fondazione Samsung a Seul: il giovane si era giustificato dicendo che “aveva fame”. Uno dei concetti alla base dell’installazione e’ che le sue parti devono essere continuamente rigenerate.

“Non è solo un’opera d’arte,” ha dichiarato Sun a Sotheby’s: “Comedian è un fenomeno culturale che collega i mondi dell’arte, dei meme e della comunità delle criptovalute e che ispirerà ulteriori discussioni in futuro”. Fatto sta che gia’ prima di essere messa all’asta, la banana è stata oggetto di attenzione quando, all’inizio di novembre, l’executive di Sotheby’s Michael Bouhanna ha lanciato anonimamente una criptovaluta ispirata a Cattelan e denominata $Ban.

Immediatamente accusato di aver usato informazioni riservate per guadagnare sull’aumento del prezzo del token, l’executive ha negato, dichiarando di aver “scelto di lanciarlo per hobby in modo anonimo”, senza associazioni quindi con il suo profilo personale. Due rivali di Sun all’asta di Sotheby’s avevano investito nella cripto di Bouhanna. Uno dei due, Theodore Bi, voleva comprare Comedian come dono per Elon Musk ma si era fermato alla soglia dei 2,5 milioni di dollari.

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Cultura

Pompei, riapre la Casa della Fontana Piccola: un gioiello dell’architettura pompeiana

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Dopo sei anni di chiusura, la Casa della Fontana Piccola di Pompei riapre al pubblico, rivelando nuovamente tutta la sua bellezza. Questo straordinario esempio di architettura pompeiana torna a incantare i visitatori con i suoi affreschi, i colori vividi e una fontana unica, simbolo dell’arte e della cultura dell’antica città.

Un esempio di eleganza pompeiana

La Casa della Fontana Piccola è un autentico capolavoro. I suoi affreschi murari, con il celebre rosso pompeiano, e le decorazioni ricche di dettagli, raccontano la vita e i costumi dell’epoca. Ma ciò che rende davvero speciale questa dimora è la fontana visibile già dall’ingresso. Si tratta di un’opera d’arte decorata con tessere di pasta vitrea e valve di mollusco, con un sistema che faceva sgorgare acqua dalla bocca di una maschera tragica in marmo e dal becco di un’oca tenuta da un amorino in bronzo.

Storia e particolarità della domus

Costruita unendo due abitazioni precedenti, la casa aveva due ingressi su via di Mercurio, simbolo dello stato sociale elevato dei proprietari. Danneggiata dal terremoto del 62 d.C., fu quasi completamente affrescata in IV stile pompeiano, pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio. Le pareti laterali del peristilio presentano paesaggi mozzafiato, tra cui una veduta di città marittima, un tema molto in voga nella decorazione di giardini.

Esplorata tra il 1826 e il 1827 dall’architetto Antonio Bonucci, direttore degli scavi, la casa sarebbe appartenuta a Helvius Vestalis, un pomarius (mercante di frutta), secondo un’iscrizione elettorale trovata sulla facciata.

I restauri e gli interventi strutturali

La casa è stata oggetto di importanti lavori di restauro per preservarne la struttura e garantirne la sicurezza. Tra gli interventi principali:

  • Rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, utilizzando materiali innovativi come il fibrorinforzo (FRP).
  • Impermeabilizzazione dei solai per prevenire infiltrazioni.
  • Revisione delle coperture, inclusa quella del peristilio, per proteggere la casa dagli agenti atmosferici.

Le coperture, già restaurate nel 1971, sono state riportate all’altezza originaria per restituire l’antica volumetria della dimora.

L’iniziativa “Raccontare i cantieri”

Con la riapertura della Casa della Fontana Piccola, prende il via una nuova stagione di “Raccontare i cantieri”, giunta alla sua quarta edizione. Ogni giovedì, fino al 17 aprile 2025, i possessori della MyPompeii Card potranno visitare i cantieri di restauro in corso nel Parco Archeologico, iniziando proprio dalla Casa della Fontana Piccola.

Conclusione

La riapertura della Casa della Fontana Piccola rappresenta non solo un recupero storico di grande valore, ma anche un’occasione per riflettere sulla continua necessità di valorizzare e preservare il nostro patrimonio culturale. Un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della storia e dell’archeologia.

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Cultura

Marino Niola premiato dal Gruppo del Gusto della Stampa Estera come divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana

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Il Gruppo del Gusto della Stampa Estera ha scelto L’Aquila per celebrare il 20° Premio dedicato all’eccellenza agroalimentare italiana, un traguardo prestigioso che quest’anno rende omaggio a Marino Niola, antropologo e divulgatore scientifico, nella categoria “Divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana”.

Il contributo di Marino Niola all’antropologia della gastronomia

Marino Niola (nella foto Imagoconomica in evidenza) , nato a Napoli nel 1953, è un antropologo della contemporaneità, noto per i suoi studi sulle pratiche devozionali, le trasformazioni culturali legate alla globalizzazione e, soprattutto, per il suo contributo alla comprensione dei riti e simboli della gastronomia contemporanea.

Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Niola insegna discipline come Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea. È inoltre editorialista de La Repubblica, dove cura la rubrica “Miti d’oggi” sul Venerdì, e collabora con testate nazionali e internazionali come Il Mattino e Le Nouvel Observateur.

Tra i suoi numerosi saggi, si ricordano titoli come:

  • Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina (2009)
  • Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari (2015)
  • Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017)
  • Mangiare come Dio comanda (2023).

Queste opere riflettono il suo impegno nel valorizzare la cultura alimentare italiana, esplorando le radici antropologiche e culturali che legano il cibo alle identità locali e nazionali.

Il Premio del Gruppo del Gusto

Il Premio del Gruppo del Gusto, giunto alla sua 20ª edizione, si propone di valorizzare e promuovere l’agroalimentare italiano a livello internazionale, grazie alla partecipazione di giornalisti esteri provenienti da 34 Paesi e 5 continenti. Marino Niola è stato selezionato per la sua capacità di divulgare l’autenticità e la tradizione agroalimentare italiana, combinando rigore scientifico e passione narrativa.

La cerimonia a L’Aquila

La premiazione si terrà sabato 23 novembre, alle ore 18, nella Sala ipogea del Consiglio Regionale d’Abruzzo, a L’Aquila. Durante l’evento, verranno premiate altre eccellenze del settore, tra cui:

  • Pasquale Imperato, azienda agricola “Sapori Vesuviani” (categoria “Produzione”);
  • Tenuta Vannulo (categoria “Esercizio legato all’alimentare da almeno 100 anni della stessa famiglia”);
  • Cooperativa Altopiano di Navelli (categoria “Consorzio/cooperative a difesa dei valori agroalimentari italiani”);
  • Associazione PIZZAUT (Premio speciale della giuria per l’inclusione lavorativa di giovani autistici).

L’importanza del riconoscimento

Il premio a Marino Niola sottolinea l’importanza di valorizzare le eccellenze italiane, non solo nella produzione agroalimentare, ma anche nella capacità di raccontare il legame profondo tra cibo, cultura e identità. L’impegno di Niola nel promuovere la dieta mediterranea e nel raccontare le tradizioni culinarie italiane lo rende una figura chiave nella diffusione internazionale del patrimonio enogastronomico italiano.

Grazie al suo lavoro, il professor  Niola contribuisce a consolidare l’immagine dell’Italia come culla di tradizioni culinarie uniche e radicate nella storia. Questo premio rappresenta un ulteriore riconoscimento del suo ruolo cruciale come ponte tra antropologia, cultura e divulgazione enogastronomica.

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