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Da Salis al premierato, Meloni rilancia sfida a Schlein

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Dal caso Salis al premierato, passando per la vicenda Bari, Giorgia Meloni va all’attacco di Elly Schlein, dallo stesso salotto di Porta a Porta dove la collega si è accomodata ventiquattro ore prima, in una sorta di antipasto di quello che – par condicio permettendo – potrebbe essere il duello fra le due leader prima delle Europee. Ma alla fine l’affondo politicamente più pesante, e neppure troppo velato, è su Matteo Salvini. Il loro rapporto “non è affatto pessimo”, ed è “nata un’amicizia” lontano dal lavoro, complici anche le partite a burraco con la sua fidanzata, Francesca Verdini. Ma la giocata con cui il vicepremier ha messo sul tavolo il suo piano salva-casa ha in qualche modo colto di sorpresa la presidente del Consiglio, che preferisce lasciare sospeso il giudizio perché “questa norma non la conosco”.

Una osservazione accompagnata poi, in chiave elezioni europee: “Se ognuno alza la sua bandierina ci ritroveremo di nuovo la sinistra”. La premier cita il “comunicato del ministero dei Trasporti che parla di sanare piccole difformità interne, cioè se hai alzato un tramezzo per fare due stanze dove ce ne era una. Se è questo parliamone, è ragionevole, ma non posso commentare una norma che non ho letto”. Parole che non sono esattamente come un endorsement, da parte di una persona che – quando parla delle sfide a carte – si definisce “molto competitiva nelle cose, che si arrabbia molto quando perde o quando gioca con qualcuno che gioca male”. E non è forse un caso che nessun esponente del suo partito abbia commentato questa iniziativa del leader leghista. Non è escluso che possa diventare un nuovo fronte di frizioni, dopo quello sui rapporti con la Russia, appena archiviato con il “chiarimento” di Salvini alla vigilia della mozione di sfiducia contro di lui respinta dalla Camera. Stesso epilogo per la mozione contro Daniela Santanchè, ma in quasi un’ora di intervista nella trasmissione di Rai 1 il tema non viene toccato.

La premier parla a lungo del premierato, difendendo la sua riforma dagli attacchi delle opposizioni: “Loro vogliono un sistema in cui il Pd riesce a governare anche quando perde le elezioni”. Poi ribadisce di essere “laica” sul tema del ballottaggio e che “siamo molto attenti a non toccare le prerogative del capo dello Stato”. “Dopodiché, vogliamo introdurre anche l’elezione diretta del presidente della Repubblica? Io non sono contraria”, chiarisce, confermando che quella era la sua idea iniziale di riforma. Punge il Pd anche sul caso Bari: Possiamo discutere se la norma sullo scioglimento dei comuni è adeguata, ma non si può chiedere che le amministrazioni di sinistra siano trattate diversamente dalle altre”.

E in quella stessa direzione Meloni mira sulla vicenda di Ilaria Salis: “La campagna politica che la sinistra sta mettendo in piedi rischia di non aiutarla. Do you know stato di diritto? Do you know autonomia della magistratura?”, la domanda della premier, convinta che il governo possa “intervenire solo a sentenza passata in giudicato”. Fra l’intenzione annunciata di confermare il taglio del cuneo contributivo nella prossima manovra, la rivendicazione dei test psicoattitudinali su cui, sostiene, “la maggioranza dei magistrati è d’accordo”, e l’impegno ad affrontare la questione delle liste d’attesa e “l’abolizione del tetto per i dipendenti del comparto sanitario”, si ritorna alle Europee. “La sinistra è in difficolta. Se vogliamo farle un favore allora ci mettiamo a litigare, battibeccare, fare campagna elettorale”, il pensiero della leader di FdI ed Ecr, che lancia un avvertimento diretto agli alleati in Italia e fuori. “Ho costruito una doverosa collaborazione istituzionale con von der Leyen, perché devo portare risultati a casa per l’Italia. Dopodiché – spiega – le elezioni sono un’altra cosa. Von der Leyen è la candidata del Ppe, io sono presidente dei Conservatori europei, che potrebbero anche avere un loro candidato alla presidenza della Commissione, questa è una decisione che dobbiamo ancora prendere”. In ambienti di Ecr al momento si esclude la pista italiana.

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Esteri

Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Esteri

Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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Esteri

Algoritmo di X favorisce Musk e i repubblicani

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Elon Musk ha cambiato l’algoritmo di X in suo favore e in quello dei repubblicani a partire dallo scorso 13 luglio, quando ha formalizzato l’endorsement a Donald Trump. A dare sostanza ai dubbi di una iper-presenza dell’imprenditore sulla piattaforma di sua proprietà è una ricerca australiana. Un artificio a cui il proprietario di Tesla e Space X era già ricorso un anno fa. Lo studio – a cura di Timothy Graham della Queensland University of Technology di Brisbane e Mark Andrejevic della Monash University di Melbourne – ha preso in esame i post pubblicati da Musk e da alcuni profili tra l’1 gennaio e il 25 ottobre 2024 e si è basato su un metodo statistico chiamato Cusum (Cumulative Sum).

In una prima fase si è concentrato sulle metriche dell’account personale di Musk certificando, dopo il 13 luglio 2024, un aumento del 138% delle visualizzazioni e del 238% dei repost. In una seconda fase l’analisi ha esaminato le metriche degli account dei repubblicani, sia politici sia utenti comuni, registrando solo un incremento delle visualizzazioni rispetto ai profili dei democratici. Sebbene i risultati siano preliminari, riflettono i ricercatori, suggeriscono “domande importanti sul potenziale impatto del cambiamento degli algoritmi nel discorso pubblico e sulla neutralità dei social come vettori di informazione”.

La precedente modifica dell’algoritmo di X era stata implementata a febbraio 2023, quando Musk aveva imposto agli ingegneri della piattaforma un cambiamento dopo aver scoperto che un suo post aveva ricevuto meno visualizzazioni di quello di Biden. Il miliardario oltre ad aver appoggiato formalmente Trump nella corsa alla presidenza ha speso più di 200 milioni di dollari per contribuire a rieleggerlo.

Dopo la sua vittoria, il presidente eletto ha annunciato che Musk guiderà un nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa, il Doge. A seguito di un coinvolgimento sempre più massiccio di Elon Musk in politica, è iniziato un esodo da X in favore della piattaforma BlueSky, nata in sordina a ridosso dell’acquisto dell’ex Twitter da parte dell’imprenditore nell’ottobre 2022. Nelle ultime settimane l’alternativa a X ha superato i venti milioni di utenti, con un ritmo di crescita di un milione di nuovi utenti al giorno. Tra le migrazioni celebri, gli attori John Cusack, Guillermo del Toro, Ben Stiller, la cantante Dionne Warwick e il rapper Flavor Flav. Anche il Guardian è uscito dal social network a causa del diffondersi di “contenuti allarmanti”.

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