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Economia

Da ingegnere a estetista, tutti i lavoratori che non si trovano

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Tanto lavoro ma pochi lavoratori: ad agosto le imprese cercano 315 mila dipendenti, il 7,5% in più rispetto all’anno scorso, ma nella metà dei casi faticano a trovarli. È questa la fotografia scattata dal bollettino del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che elabora le previsioni occupazionali di questo mese. Il report, in particolare, segnala come alcune figure professionali non si riescano proprio a trovare. Le aziende lo lamentano nel 48,9% dei casi, confermando che i motivi principali sono l’assenza di candidati e la loro preparazione inadeguata.

A mancare sono soprattutto gli ingegneri, a cui si aggiungono gli insegnanti di scuola primaria e pre-primaria. In difficoltà anche le professioni tecniche, dove scarseggia personale nel campo ingegneristico e tecnici della salute. Estetisti, addetti della ristorazione, operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni, e poi fonditori, saldatori, lattonieri, calderai e montatori di carpenteria metallica sono altre figure professionali di cui c’è disperato bisogno.

A fronte di queste lacune la domanda di lavoratori aumenta, non solo per il mese di agosto, ma anche sul lungo termine: da qui a ottobre se ne cercheranno il 2,3% in più rispetto al periodo analogo del 2023. Le opportunità sono tante e arrivano soprattutto dai settori del turismo e del commercio, oltre che dai comparti delle costruzioni e delle industrie alimentari, di bevande e di tabacco.

“Questa situazione è causata da un disallineamento tra percorsi formativi e bisogni del sistema produttivo”, ha spiegato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, “per risolverla bisogna agire sulla formazione e l’informazione dei giovani perché sappiano dove è più facile che verranno soddisfatte le loro giuste aspirazioni”.

A pesare su questo mismatch è anche il problema della denatalità e, ha aggiunto Prete, “nel breve periodo uno sforzo importante di programmazione dei flussi migratori potrà certamente aiutare”. Le imprese, infatti, sono alla ricerca di lavoratori immigrati per coprire il 21,8% dei contratti programmati nel mese di agosto. La manodopera straniera è richiesta soprattutto nei servizi a imprese e persone, nel trasporto, nella logistica, nel magazzinaggio, nella metallurgia, nell’alimentare e nella ristorazione.

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Economia

Il piano di SuperMario Draghi, un report per rilanciare l’Europa tra eurobond e stop ai veti

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Il rapporto Draghi è mastodontico (400 pagine) perché la sfida che l’Unione Europea dovrà affrontare per riformare la propria economia è altrettanto gigantesca. Il documento è diviso in due parti: la sezione A (introduzione generale sulle varie priorità) e la sezione B (le analisi e le proposte capitolo per capitolo). La ricetta Draghi, in sintesi, vuole evitare la “lenta agonia” dell’Europa attraverso misure “subito attuabili” e altre che, di fatto, richiedono un maggiore coraggio politico, andando ad intervenire sulla governance dell’Ue, ad esempio introducendo sempre di più “il voto a maggioranza” in Consiglio, superando così i veti dell’unanimità.

Il documento si divide in 10 aree – Energia, Materie Prime Critiche, Digitalizzazione-Tecnologie Avanzate, Industrie ad alta intensità energetica, Tecnologie pulite, Automotive, Difesa, Spazio, Farmaceutica e Trasporti – analizzate nel loro stato attuale (deficitario) e accompagnate da possibili correzioni; a queste si aggiungono 5 “macro politiche orizzontali” per far sì che l’attuazione avvenga secondo una logica prestabilita, poiché – come ha spiegato l’ex presidente del Consiglio italiano e governatore della Bce – tutto si tiene e non si può fare “una cosa da una parte e un’altra contraria dall’altra”. Analizzando il rapporto emergono molti principi generali e altrettante soluzioni pratiche.

Per “ridurre il costo dell’energia per i consumatori finali e accelerare la decarbonizzazione” – l’Europa paga tra le 3 e le 5 volte in più degli Usa – si deve allora “incoraggiare un progressivo allontanamento dall’approvvigionamento spot” e “rafforzare la capacità di approvvigionamento congiunto e la gestione coordinata dello stoccaggio”. Un accenno viene fatto anche alla necessità “accelerare lo sviluppo del nucleare di nuova generazione” con i piccoli reattori Smr e Amr. Oppure “garantire l’accesso stabile alle materie prime critiche” per esempio “aumentando la produzione, la lavorazione e il riciclo domestico nell’Ue”. O ancora.

“Potenziare la digitalizzazione e l’adozione di tecnologie avanzate per la competitività” rafforzando “le capacità di calcolo ad alte prestazioni e intelligenza artificiale” e “sostenendo lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori nell’Ue”. Certo, uno dei passaggi più spinosi – e più attesi – del rapporto Draghi era quello sui finanziamenti, dato che serviranno risorse immense per finanziare alcune delle misure proposte. “Se le condizioni politiche e istituzionali sono presenti, l’Ue dovrebbe continuare, basandosi sul modello del NextGenerationEu, a emettere strumenti di debito comune, che verrebbero utilizzati per finanziare progetti di investimento congiunti volti ad aumentare la competitività e la sicurezza europea”, si legge nel rapporto. La logica, ad ogni modo, non sarebbe quella del debito ‘a prescindere’ ma dell’azione mirata, laddove la leva pubblica serve anche ad innescare gli investimenti privati. Le raccomandazioni nel settore della difesa – tra le più attese del rapporto – parlano abbastanza chiaro.

Il documento propone infatti di “rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea per soddisfare le nuove esigenze”, “aumentando l’aggregazione della domanda tra gli Stati membri e promuovendo la standardizzazione”. Ma siccome il vulnus sta nei bassi volumi di Ricerca e Sviluppo (R&S) – qui nel 2022 l’Ue ha investito 9,5 miliardi di euro rispetto ai 140 miliardi di dollari degli Stati Uniti – l’idea sarebbe quella di concentrare i finanziamenti su “iniziative comuni”, attraverso “nuovi programmi a duplice uso” e “progetti europei di difesa di mutuo interesse”, così da organizzare “la necessaria cooperazione industriale”.

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Economia

Al Nord stipendi talvolta quasi il doppio rispetto al Sud

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Dalla Lombardia alla Calabria l’Italia resta divisa in due anche negli stipendi, che al Nord sono mediamente più alti del 35% rispetto a quelli del Sud. I conti in busta paga li ha fatti la Cgia di Mestre, elaborando dati Inps e Istat: se gli occupati nelle regioni settentrionali hanno una retribuzione media giornaliera lorda di 101 euro, i colleghi meridionali ne guadagnano solo 75. Una differenza, afferma l’ufficio studi mestrino, dovuta alla maggiore produttività del lavoro al Nord, che supera del 34% il dato delle regioni meridionali. Il confronto in termini assoluti rende chiarissima questa disparità: la retribuzione media annua lorda di un lavoratore dipendente in Lombardia è pari a 28.354 euro; in Calabria ammonta a poco più della metà, 14.960 euro. Ma se nel primo caso la produttività del lavoro è pari a 45,7 euro per ora lavorata, nel secondo è di 29,7.

Squilibri retributivi che del resto, osserva la Cgia di Mestre, si riscontrano anche tra le diverse aree del Paese, quelle urbane e quelle rurali. Tema che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali avvenuta nei primi anni ’70 del secolo scorso, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. L’applicazione, però, ha prodotto solo in parte, per la Cgia, gli effetti sperati. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste. Anche perchè nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie (che tendenzialmente riconoscono ai dipendenti stipendi più elevati) sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord.

A pesare inoltre è il lavoro irregolare, molto diffuso nel Mezzogiorno, che da sempre provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati dei settori che tradizionalmente sono investiti da questa piaga sociale (agricoltura, servizi alla persona, commercio) Quanto alle città con gli stipendi più alti, spicca su tutte Milano, con 32.472 euro annui, seguita da Parma (26.861 euro), Modena (26.764 euro), Bologna (26.610), Reggio Emilia (26.100). I lavoratori dipendenti più poveri, invece, si trovano a Trapani dove percepiscono una retribuzione media lorda annua di 14.365 euro, a Cosenza (14.313 euro), Nuoro (14.206 euro). Negli ultimi posti della classifica vi sono i lavoratori dipendenti di Vibo Valentia, con una busta paga media di 12.923 euro l’anno contro una media italiana di 22.839 euro.

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Economia

Assicurazioni,utili su nei 6 mesi,12 miliardi per 4 big

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Dopo un 2023 da record, continua il periodo di crescita per il settore assicurativo. Nel primo semestre del 2024 bilanci ancora nel segno più con 4 grandi protagonisti internazionali del settore, ovvero Generali e Unipol dalle radici italiane, insieme ad Allianz e Axa, che da soli hanno chiuso il periodo con oltre 12 miliardi di utili, in crescita del 4,4% rispetto ai primi 6 mesi dello scorso anno. A rilevarlo è un report dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil condotto sui bilanci delle quattro grandi compagnie assicurative europee. Complessivamente, i quattro grandi gruppi hanno superato i 204 miliardi di euro di premi (Danni e Vita) con un incremento di oltre il 9% rispetto all’anno precedente.

La crescita nei Rami Danni, che hanno presentato un utile operativo tecnico di 9,1 miliardi è stata del 3%, mentre i Rami Vita hanno rilevato un utile operativo tecnico di 6,5 miliardi con un incremento più marcato del 7%. Il campione italiano, Generali e Unipol, ha registrato utili a 2,6 miliardi di euro di utili nel primo semestre, rispetto ai 2,8 miliardi registrati nei primi sei mesi dello scorso anno. La leggera diminuzione è principalmente imputabile a utili non ricorrenti e one-off di Generali lo scorso anno, in assenza dei quali l’utile normalizzato sarebbe risultato stabile a 2 miliardi di euro, mentre Unipol è passata da 517 milioni di euro al semestre 2023 a 555 milioni di euro al 30 giugno 2024, con un incremento del 7%.

L’utile di Allianz migliora del 13,9% passando dai 4,6 miliardi di euro del 2023 ai 5,3 miliardi del 2024, mentre Axa conferma sostanzialmente l’utile del primo semestre dell’anno passato, pari a 4,1 miliardi di euro, a 4,2 miliardi nel 2024. Il settore assicurativo, conclude lo studio, si è quindi confermato nel complesso ancora una volta molto solido e, come riporta la Fisac Cgil con indici di solvibilità in deciso incremento. Gli ottimi risultati del comparto vengono evidenziato dalla ricerca della Fisc Cgil anche nell’ottica dei prossimi rinnovi di contratto: “Ancora una volta registriamo risultati estremamente positivi sul fronte della redditività e della solidità del settore assicurativo. Risultati raggiunti grazie all’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori del settore che meritano un significativo riconoscimento, a partire dai prossimi rinnovi contrattuali, di primo e secondo livello”, dice la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito. (

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