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Criptovalute: Trump lancia piattaforma World liberty financial

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Donald Trump, insieme ai suoi figli ha lanciato una nuova piattaforma di criptovaluta, che dovrebbe competere con le istituzioni finanziarie tradizionali. World Liberty Financial intende offrire diversi servizi basati sulla cosiddetta finanza decentralizzata, un meccanismo che non utilizza piu’ un intermediario come una banca per effettuare transazioni con terzi. La finanza decentralizzata o DeFi si basa sulla tecnologia “blockchain”, che mantiene un registro delle transazioni teoricamente inviolabile, visibile a tutti. World Liberty Financial consentira’ di prestare e prendere in prestito criptovalute da altri utenti, un servizio che gia’ offrono molte piattaforme, una delle piu’ conosciute e’ Aave. “Questo e’ l’inizio di una rivoluzione finanziaria”, ha detto su X Donald Trump Jr., il figlio maggiore del candidato repubblicano alle presidenziali. Zachary Folkman e Chase Herro, capi del progetto, imprenditori gia’ affermati nel settore delle criptovalute, hanno indicato che la piattaforma utilizzera’ principalmente “stablecoin”, che sono garantiti da una valuta tradizionale, molto spesso il dollaro. Di conseguenza, il loro valore e’ stabile e sono esenti dalle fluttuazioni a volte brutali sperimentate dalla maggior parte delle altre valute digitali.

World Liberty Financial cerca di attirare quante piu’ persone possibile verso le criptovalute, “non per correre molti rischi sul prossimo bitcoin, ma per utilizzare le stablecoin e generare interessi o ottenere liquidita’”, ha spiegato Zachary Folkman. Nel secondo caso, l’utente deposita criptovalute come garanzia per ottenere un prestito di importo maggiore. Il progetto prevede anche la vendita, in un secondo momento, di token, che daranno diritto a partecipare alla governance della piattaforma e non potranno essere rivenduti. “Il 63% circa sara’ messo in vendita al pubblico, ha spiegato Corey Caplan, consulente del progetto, anche se non e’ stato comunicato alcun programma di rilascio. Inizialmente molto critico nei confronti delle criptovalute, da lui definite addirittura una “truffa”, Donald Trump ora ha cambiato radicalmente la sua posizione, al punto da presentarsi ora come un paladino delle valute digitali. Durante un’importante conferenza di settore alla fine di luglio a Nashville (Tennessee), ha promesso che, se rieletto, sarebbe stato “il presidente pro-innovazione e pro-bitcoin di cui l’America ha bisogno”. Donald Trump si schiera quindi in posizione opposta rispetto al governo Biden, favorevole ad una regolamentazione severa del settore.

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Venezuela, El Pais: saccheggiati 4 miliardi di petrolio

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La compagnia pubblica Petroleos del Venezuela S.A. (PDVSA) sarebbe al centro di uno dei maggiori scandali di corruzione nel Paese. Secondo un’inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El País, un gruppo di ex gerarchi chavisti e imprenditori ha saccheggiato circa 4,2 miliardi di dollari (oltre 3,7 miliardi di euro) alla compagnia. Questo colossale furto non ha solo colpito le finanze dell’azienda, ma ha anche avuto un impatto devastante sull’economia venezuelana, sostiene il quotidiano.

Lo schema di corruzione è stato operativo tra il 2007 e il 2012, durante i governi dell’ex presidente Hugo Chávez. I coinvolti, tra cui alti funzionari di PDVSA e imprenditori legati al regime, hanno utilizzato una complessa rete di tangenti e commissioni illegali per dirottare fondi. Aziende, principalmente cinesi, pagavano commissioni fino a un 10% per aggiudicarsi contratti milionari con la compagnia statale Uno dei personaggi chiave in questo intrigo è Diego Salazar, cugino dell’ex ministro di Energia ed ex presidente di PVDSA, Rafael Ramírez. La rete di corruzione non includeva solo funzionari e impresari: tra di loro c’erano regine di bellezza, ambasciatori, attrici e avvocati.

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L’Argentina a Maduro: siamo dalla parte giusta della Storia

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Non si è fatta attendere la risposta di Diana Mondino, la ministra degli Esteri argentina alla richiesta del regime venezuelano di arrestare il presidente Javier Milei, sua sorella Karina ed il ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich per il caso dell’aereo venezuelano avvenuto nel 2022, durante la presidenza di Alberto Fernández. “Sostegno assoluto al Presidente, a Karina e Patricia di fronte alla vigliacca richiesta di arresto da parte della dittatura del Venezuela. Maduro dimostra ancora una volta di essere un tiranno e che siamo dalla parte giusta della storia. Non abbiamo paura”, ha scritto sul suo account di X (ex Twitter) Mondino. Più puntuale ma altrettanto duro il comunicato del ministero degli Esteri argentino, entrato nel merito del caso attraverso un comunicato stampa.

“Il caso in questione è stato risolto dalla magistratura, un potere indipendente sul quale l’esecutivo non può e non deve interferire in alcun modo, in applicazione di un accordo internazionale”. Il Ministero degli Esteri argentino, a nome del suo governo, ha poi ricordato al procuratore generale del Venezuela, Tarek William Saab, che ha chiesto l’arresto di Milei che “nella Repubblica argentina prevale la divisione dei poteri e l’indipendenza dei giudici, cosa che purtroppo non avviene in Venezuela sotto il regime di Nicolás Maduro”.

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Nuovi attacchi a Hezbollah, esplodono i walkie talkie: ancora morti e feriti

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Caos e rabbia in Libano dove per il secondo giorno consecutivo l’esplosione sincronizzata di dispositivi wireless in dotazione ai miliziani di Hezbollah e anche di pannelli solari ha fatto almeno 14 morti e 500 feriti. Dopo le migliaia di cercapersone scoppiate martedì alla stessa ora in tutto il Paese dei Cedri, a Damasco e nella Siria orientale (in un’operazione che anche il creatore di Fauda Avi Issacharoff ha definito “al di sopra di ogni immaginazione”), nel pomeriggio di oggi un’altra ondata di deflagrazioni ha scosso i cittadini libanesi. La situazione è tale che in serata il premier libanese Najib Mikati ha dichiarato che il suo governo si sta preparando a “possibili scenari” di una grande guerra con Israele. In molte città i residenti si sono riversati per strada protestando nel disorientamento più totale.

Un’auto dell’Unifil è stata assaltata con lanci di pietre a Tiro da un gruppo di civili. Walkie talkie militari e strumenti per rilevare le impronte digitali sono detonati in diverse località del Paese, tra cui il distretto di Dahiya a Beirut, roccaforte del gruppo sciita, e nel Libano meridionale. Le immagini rilanciate dai media locali mostrano appartamenti in fiamme dentro condomini, auto bruciate, denso fumo nero, gente che fugge e si dispera. Testimoni hanno riferito di numerose ambulanze che portavano i feriti in ospedale. Altre esplosioni sono state segnalate dai media sauditi in Iraq, nel quartier generale dell’organizzazione terroristica al Hashd al Shaabi a Mosul, nello stesso momento delle deflagrazioni in Libano. Alla periferia sud di Beirut, esplosioni di dispositivi sono avvenute mentre si svolgevano i funerali di membri di Hezbollah uccisi martedì negli attacchi con i cercapersone. In 1.600 sarebbero ancora ricoverati negli ospedali con ferite anche molto gravi. Cinquecento miliziani hanno perso la vista quando il loro pager è finito in mille pezzi.

E anche l’ambasciatore iraniano a Beirut avrebbe perso un occhio e 19 pasdaran sarebbero rimasti uccisi in Siria. Ma gli ayatollah negano. Alla vigilia del discorso pubblico del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il cugino e presidente del Consiglio esecutivo del gruppo Hashem Safieddine è stato chiaro: “Questi attacchi saranno sicuramente puniti in modo unico, ci sarà una vendetta sanguinosa”, ha detto. Nel mentre Israele tace. Nonostante l’esecrazione di mezzo mondo, le istituzioni di Gerusalemme non hanno battuto ciglio sul ‘beeper affair’ per due giorni consecutivi. Teheran ha accusato l’intero Occidente di “ipocrisia” e Israele di “strage”. Mosca ha parlato di “guerra ibrida”, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha avvisato del “grave rischio di drammatica escalation in Libano”, con il Consiglio di sicurezza che ha fissato una riunione di emergenza per venerdì. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken, in visita al Cairo per i negoziati su Gaza che continuano sottotraccia, ha escluso che Washington fosse a conoscenza o coinvolta nel cyberattacco.

Ma l’operazione che ha letteralmente lasciato storditi i miliziani sciiti a quanto pare non poteva più essere rimandata. Secondo fonti Usa citate da Axios, ad innescarla sarebbe stato il timore che l’intelligence di Hezbollah stesse per scoprire il creativo raid informatico: “È stato un momento ‘use it or lose it'”, avrebbe comunicato Israele agli Stati Uniti sul timing dell’attacco. Un ex funzionario israeliano ha spiegato che i servizi avevano pianificato di usare i cercapersone con trappole esplosive come colpo di apertura in guerra per paralizzare i combattenti di Nasrallah. E per ridurre le vittime civili. Ma negli ultimi giorni sembrava che il segreto stesse per trapelare e Benyamin Netanyahu ha dato segnale verde. In serata dallo Stato ebraico si è alzata la voce del ministro della Difesa Yoav Gallant: “Il centro di gravità si sta spostando verso nord attraverso il trasferimento di risorse e forze. Siamo all’inizio di una nuova fase del conflitto”, ha detto alle truppe. Confermando le indiscrezioni del mattino secondo cui un’intera divisione ha lasciato il sud di Gaza per raggiungere il confine con il Libano. A rafforzare il timore di un’escalation a breve il fatto che il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha approvato i piani di attacco e difesa per la regione settentrionale: “Israele è pronto a utilizzare capacità militari non ancora impiegate. Hezbollah dovrà pagare un prezzo elevato se continuerà il conflitto”, ha avvertito.

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