“Il Covid ha esasperato gli antichi problemi del settore giustizia”, è il commento lucido di Giovanni Siniscalchi, avvocato penalista e segretario generale della Fondazione Castel Capuano. Scarsa organizzazione, carenza di personale nelle cancellerie, strutture e tecnologie non all’altezza, sono alcuni dei problemi atavici che affliggono la giustizia italiana. A complicare ulteriormente le cose ci ha pensato il Covid-19, che si è abbattuto come un uragano sui nostri tribunali. L’avvocato Siniscalchi ci aiuta allora a fare chiarezza sul delicato momento della giustizia, fra processi a distanza e in presenza, problematiche organizzative, ritardi e rallentamenti. In attesa dell’imminente decreto del ministro Bonafede, che proverà a salvaguardare la salute di tutti e al contempo ad evitare la paralisi dell’attività giudiziaria.
Avvocato, qual è ad oggi la situazione nelle aule dei tribunali?
Non è un momento facile. Assistiamo ad un’estensione del contagio fra avvocati, magistrati, cancellieri, personale della polizia giudiziaria. Il virus si sta estendendo a macchia d’olio. Nelle aule la priorità viene accordata sempre ai processi con detenuti, ma si stanno celebrando anche processi con imputati liberi; il numero è ridotto e si cerca di rispettare il più possibile le norme di sicurezza. Non sappiamo di qui a poco cosa accadrà. Aspettiamo il decreto del ministro Bonafede, che dovrebbe introdurre una serie di modifiche per fronteggiare la seconda ondata.
Quali sono le principali carenze del sistema giustizia messe in evidenza dall’emergenza?
È un tema antico: sono anni che noi avvocati, i penalisti in particolare, sosteniamo la necessità di investire risorse nel comparto per implementare il personale di cancelleria, migliorare la qualità delle strutture, investire in tecnologie. Il Covid-19 non ha fatto altro che amplificare problemi preesistenti.
Crede che il processo penale a distanza sia una pista percorribile?
Noi penalisti stigmatizziamo questa scelta. Svuotando l’aula di giustizia, si lede l’umanità del processo penale, che dovrebbe svolgersi alla presenza di tutte le parti, difensori, imputati, giudice e testimoni. Il processo penale è un faticoso percorso di ricerca della verità processuale, che si può raggiungere solo con il contraddittorio tra le parti. In questo senso, la presenza fisica è fondamentale; l’avvocato, soprattutto se autorevole, può comunicare al giudice con efficacia le ragioni del suo assistito, oppure saggiare la credibilità di un testimone dall’inflessione della sua voce, dalla gestualità, dal linguaggio non verbale. So che il provvedimento del ministro dovrebbe andare nella direzione di tutelare il processo in presenza nei momenti topici: la discussione (arringa) dell’avvocato, l’esame di un testimone. La segmentazione fra processo in presenza e da remoto però, snatura il processo penale e su questo noi non faremo mai passi indietro.
E per gli altri tipi di processi?
Il discorso cambia se parliamo del settore civile o amministrativo; lì sono molto più avanti di noi con le piattaforme digitali. Il processo civile telematico è una realtà già da un po’ di tempo, soprattutto perché la sua natura consente un ricorso maggiore al processo a distanza. Si tratta di un processo scritto, in cui l’oralità occupa uno spazio residuale; in quei casi un’accelerazione della digitalizzazione non può che essere una manna dal cielo.
Ci sono altri provvedimenti che potrebbero facilitare il vostro lavoro?
Da tempo invochiamo la possibilità di richiedere la copia integrale del fascicolo da una piattaforma telematica penale, senza dover mandare un collaboratore a fare lunghe file per ottenere una copia degli atti. Allo stesso modo, sarebbe utile poter presentare istanze e ricorsi con una Pec e non in presenza. Ancora, fino ad oggi i cancellieri non possono operare in smart working perché, per ragioni di privacy, non possono accedere ai registri. L’auspicio è che il decreto del ministro della giustizia possa soddisfare alcune di queste richieste. Nei processi più delicati, la difficoltà che vive il cliente è forte; c’è una sempre maggiore disaffezione e sfiducia verso il settore giustizia nella sua totalità.
Crede che dopo la prima ondata ci sia stata sufficiente programmazione nei tribunali?
Non metto il dubbio che dopo la prima ondata il tema sia stato posto. Credo però che si poteva fare di più. Oggi si tenta di mettere una toppa di fronte ad una situazione emergenziale, ma c’è molto pressappochismo. Non si è programmato in maniera ragionata, rigorosa, come il nostro settore avrebbe richiesto. Non è un caso che noi battiamo su questi temi da molti anni e il Covid non ha fatto altro che esasperarli. Sulla giustizia si investe male, i temi sarebbero tanti… per ora ci limitiamo ad affrontare l’emergenza.
La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Umbria del 1994 che prevedeva il requisito “di essere residente in uno dei Comuni della Regione Umbria” come necessario al fine dell’iscrizione nel ruolo dei conducenti per il servizio di taxi e per quello di noleggio di veicoli con conducente (Ncc).
Lo rende noto la Corte Costituzionale. La disposizione, antecedente alla riforma del Titolo V della Costituzione, era stata censurata dal Tar Umbria in quanto ritenuta lesiva del principio di ragionevolezza nonché dell’assetto concorrenziale del mercato degli autoservizi pubblici non di linea, giacché d’ostacolo al libero ingresso di lavoratori o imprese nel “bacino lavorativo” regionale.
E’ stato fissato per oggi pomeriggio un interrogatorio, davanti ai pm, di Leonardo Maria Del Vecchio (foto Imagoeconomica in evidenza) – 29 anni e uno dei figli del patron di Luxottica morto nel 2022 – indagato nell’inchiesta milanese sui presunti dossieraggi illegali per concorso in accessi abusivi a sistema informatico. L’interrogatorio, da quanto si è saputo, è stato richiesto dallo stesso Del Vecchio per difendersi dalle accuse e chiarire. L’audizione si terrà, da quanto si è appreso, non al Palazzo di Giustizia milanese ma in un altro luogo, una caserma degli investigatori.
“Dalle imputazioni preliminari e dall’esito negativo della perquisizione, il dottor Del Vecchio sembrerebbe essere piuttosto persona offesa. Altri, infatti, sarebbero eventualmente i responsabili di quanto ipotizzato dagli inquirenti”, aveva già spiegato l’avvocato Maria Emanuela Mascalchi, che aveva parlato della “infondatezza delle accuse ipotizzate a proprio carico”.
Stando agli atti dell’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Varese, del pm della Dda Francesco De Tommasi e del collega della Dna Antonello Ardituro, Nunzio Samuele Calamucci, hacker arrestato, uno dei presunti capi dell’associazione per delinquere di Equalize e che avrebbe creato dossier con dati riservati prelevati in modo illecito, avrebbe realizzato anche un falso “atto informatico pubblico” per “offuscare l’immagine di Claudio Del Vecchio, fratello di Leonardo”.
Calamucci avrebbe creato, in particolare, un finto “rapporto” della Polizia di New York con cui “si dava atto” falsamente “di un controllo eseguito in quella città” nei confronti del fratello di Leonardo. Nel falso report, redatto all’apparenza nel 2018, si segnalava che era “in compagnia” di una persona “registrata” per “crimini sessuali” dal Dipartimento di Giustizia americano.
Il gruppo di hacker, poi, avrebbe dovuto inserire nell’estate 2023, secondo l’accusa per conto di Leonardo Maria Del Vecchio, un “captatore informatico” sul cellulare della fidanzata e modella Jessica Serfaty, ma non ci riuscì malgrado diversi tentativi di inoculare “il trojan”. A quel punto, sarebbero stati creati falsi messaggi tra lei e “un illusionista di fama mondiale”.
Tra gli indagati anche il collaboratore dell’imprenditore, Marco Talarico. Secondo le indagini, le ricerche di informazioni di Del Vecchio jr, richieste al gruppo di Equalize attraverso i suoi collaboratori, si sarebbero inserite nella contesa in corso sull’eredità di famiglia. Nel procedimento milanese una nomina come persona offesa è stata depositata nei giorni scorsi da Claudio Del Vecchio.
Caso di suicidio nel carcere di Poggioreale, a Napoli, dove si è tolto la vita un uomo di 28 anni originario della provincia partenopea. È il quarto suicidio dall’inizio dell’anno a Poggioreale, l’undicesimo in tutta la regione. Sono 81 in tutta Italia, con il carcere di Prato e quello di Poggioreale al primo posto per numero di detenuti che si sono tolti la vita.
“Il sistema penitenziario – spiega il garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Samuele Ciambriello – è sull’orlo del baratro, una strage continua ma la politica tace ed è assente. Nessun argine da provvedimenti governativi o parlamentari, solo populismo mediatico e penale anche contro la dignità delle persone detenute, dei diversamente liberi.
Celle sovraffollate e tensione alle stelle, condizioni difficili che favoriscono atti di autolesionismo, scioperi della fame, scioperi sanitari. Nessun commento pubblico sui suicidi di Stato, che interrogano anche l’opinione pubblica. Ci sono omissioni di Stato, questi suicidi e gli atti di autolesionismo e le proteste rilevano un quadro inquietante che è sotto gli occhi di tutti. Indignarsi non basta più”. “Dall’inizio dell’anno ad oggi – prosegue Ciambriello – sono 1842 i tentativi di suicidio, 11503 gli atti di autolesionismo. Tra gli 81 detenuti che si sono suicidati l’età media è di 40 anni, tra questi 8 avevano un’età compresa tra i 18 e 25 anni”.