Il Covid-19 corre veloce in Cina dallo scorso dicembre fino a portare il numero di contagi a circa 900 milioni di persone, quasi i due terzi dell’intera popolazione, senza aver finora dato vita a nuove varianti. Lo scenario, drammatico per le sue dimensioni e le sue conseguenze, non è il frutto di elaborazioni esterne ma di uno studio della prestigiosa Università di Pechino, vicina all’elite comunista, che ha effettuato i conteggi avvalorando i dati emersi di recente su scala provinciale e non ripresi dal governo centrale.
Il rapporto, rilanciato dalla Bbc, ha calcolato che il 64% della popolazione abbia fino all’11 gennaio contratto il virus, in prevalenza per le sottovarianti Omicron BA.5.2 e BF.7, le più diffuse e le principali responsabili del balzo esponenziale delle infezioni partite agli inizi di dicembre. La più colpita è la provincia di Gansu, dove il 91% dei quasi 30 milioni di abitanti risulta essere stato oppure è ancora alle prese con il contagio, seguita dallo Yunnan (l’84% dei 50 milioni di residenti) e dal Qinghai, sull’altipiano tibetano, dove il Covid ha colpito l’80% dei 6 milioni di abitanti. Nei giorni scorsi l’Henan, dove vivono quasi in 100 milioni, aveva stimato che l’89% della popolazione avesse contratto il coronavirus, mentre nel Sichuan più dell’80% degli oltre 81 milioni di residenti si sarebbe ammalato.
La situazione potrebbe peggiorare perché centinaia di milioni di cinesi stanno per viaggiare verso le loro città d’origine – molti per la prima volta dall’inizio della pandemia – in vista del Capodanno lunare che partirà alla fine del prossimo weekend. Il picco dei contagi “è destinato a durare per almeno due o tre mesi”, ha commentato l’epidemiologo Zeng Guang, ex capo del Centro cinese per il controllo delle malattie (Cdc), tracciando scenari ancora complessi. I timori di Pechino riguardano soprattutto la popolazione anziana e le aree rurali del Paese, meno attrezzate e protette quanto a copertura sanitaria rispetto alle grandi città. Non a caso, giovedì il team di esperti del governo centrale ha lanciato un appello a non far visita agli anziani durante le feste per evitare i rischi di ulteriore diffusione del virus, facendo aumentare il numero di morti nella fascia più debole della popolazione.
La Cina non diffonde più da lunedì i dati quotidiani dei contagi e dei morti dopo l’abbandono dall’8 dicembre della politica della ‘tolleranza zero’ contro il Covid, malgrado le accuse dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di sottostimare le morti per la malattia: ufficialmente sono appena intorno a quota 40 nell’ultimo mese e mezzo, malgrado la peggiore ondata di infezioni da quella di Wuhan di gennaio 2020, all’origine della pandemia. Pechino ha difeso ancora la validità dei suoi dati, assicurando che “non ci sono nuove varianti del virus” o “mutazioni significative”. Il direttore del Dipartimento per gli Affari consolari del ministero degli Esteri Wu Xi, introducendo i protocolli sanitari per gli scambi personali con l’estero, ha assicurato che l’esame genetico sul virus “mostra che gli attuali ceppi in Cina sono simili a quelli visti in altri Paesi”. Le informazioni sono sempre state condivise “in modo aperto, trasparente e responsabile” mantenendo “una stretta cooperazione con l’Oms”, ha aggiunto Wu. Rassicurazioni destinate a non chiudere le polemiche, alla luce di numeri enormi avvalorati ora anche dall’Università di Pechino.