La crisi è un ambiente di apprendimento, come spieghiamo nel Corso di “Epistemologia della pandemia”, ospitato da questo giornale. E difatti, l’epidemia del coronavirus riempie ormai i nostri media, la nostra quotidianità reclusa, la nostra vita. E’ una fabbrica di informazioni in cui annega la nostra voglia di comprendere. Già, tante informazioni, uno sciame turbolento e rumoroso, con notizie che s’intersecano, a volte ripetitive, a volte contradditorie, a volte solo roboanti. Se appena ci ficchiamo il naso in questo tino fermentante, ci rendiamo conto che la crisi pandemica ci pone di fronte sicuramente a una overinformation.
Questa tuttavia non riguarda solo la quantità delle news, ma anche la qualità. Un primo, notissimo criterio di selezione informativa riguarda il binomio vero/falso: e infatti molti si stanno esercitando in questo periodo nell’intercettazione di “fake news”, con risultati anche molto buoni. Il fatto è, tuttavia, che l’overinformation, di là dalla verità o falsità, ci mette di fronte a categorie ben più articolate di news, che si originano dall’epidemia, trapassano il fatto medico e il recinto della sanità pubblica, impattano sulla società nei suoi molteplici aspetti: culturali, etici, religiosi, politici, economici. Il concetto fondamentale sul quale stiamo lavorando è dunque quello di fuzziness informativa, in cui non vale l’opposizione binaria bianco/nero, ma la palude brumosa del grigio: ciò che è falso ma contiene un pò di verità; ciò che è vero ma è inquinato da qualche falsità.
Diventa cruciale, in questo quadro, considerare due elementi supplementari per l’analisi della qualità dell’informazione, per capire ciò di fronte a cui ci troviamo. E cioè, da un lato, il modo in cui le news si combinano tra loro: e per esempio come si contaminano reciprocamente nei loro contenuti di verità e falsità. E, dall’altro lato, il modo in cui esse circolano in termini di cross-medialità, velocità, ritmi. La mappa che presentiamo costituisce un primo risultato di queste ricerche sulla fuzziness informativa. Abbozza una distribuzione geografica di news che non possono dirsi in sé vere o false, ma mescolano elementi diversi, li combinano e li proiettano in ambiti discorsivi anche differenti da quelli in cui sono nati e si sono sviluppati. Troviamo, sulla mappa, cinque categorie di informazioni fuzzy, riconducibili nei diversi Paesi a vari personaggi e situazioni. La prima ha a che fare con una comunicazione di tipo manipolativo o strumentale, più o meno chiaramente riconoscibile: ad esempio, la mia apparente dichiarazione sulla crisi è in realtà un tassello dalla mia campagna elettorale. Segue il bikeshedding, il concetto che rivela la clamorosa vacuità politica delle opposizioni di fronte all’azione, pur manchevole e molto criticata dei governi. L’etica mediale, dal suo canto, indica la responsabilità che gli stessi media si assumono nel non divulgare informazioni socialmente pericolose in quanto non sufficientemente corroborate sul piano tecnico-scientifico: e ciò, anche se l’origine è un’alta autorità dello Stato. Il negazionismo indica quelle situazioni in cui l’epidemia viene negata o sottostimata, in toto o in qualcuno dei suoi aspetti (contagi, letalità…). Infine, il complottismo, che per ora si identifica soprattutto con la tesi dell’origine laboratoriale del coronavirus, attribuita alla Cina, oppure agli Stati Uniti, oppure a entrambi. Tutte questioni si cui dovremo tornare, si capisce…..