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Covatta: gli italiani? Più che razzisti sono classisti

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Fare l’attore “ha una componente grossa di ego, per cui se uno ti dice ti faccio il ritratto ti esalti…è capitato a me e Napoleone…Tutto però succedeva nel 2019, poi c’è stata di mezzo la pandemia che ha lasciato tutto in un bolla di sapone per molto tempo. Poi quella è scoppiata e tutto è stato un po’ diverso, Non so se ne siamo usciti migliori o peggiori”. Lo dice Giobbe Covatta poco prima della presentazione nel cuore di Roma a Letteralmente – gli incontri del Giovedì, del volume sull’attore e scrittore, ‘Giobbe Covatta – Un Bianco in Nero, curato da Claudio Miani e Gian Lorenzo Masedu, con la collaborazione di Amref Health Africa (edito da Officina d’Arte OutOut) nelle librerie dal 20 aprile. Un dialogo nel quale l’autore di ‘Parola di Giobbe’ spazia dal suo mestiere all’attualità, dai migranti alla crisi climatica.

“Sono stato a lungo convinto che l’Italia non fosse razzista, e lo penso ancora in fondo, però è classista. Oggi i migranti spesso arrivano spesso nella povertà più totale. Gli italiani non hanno un’avversione nei confronti dei neri e dei migranti, ma dei poveri: dall’atteggiamento di fronte a chi ci chiede l’elemosina a quello dell’informazione e della politica. Chiaramente senza dimenticare le dovute eccezioni, che ci sono”. Rispetto al nodo migrazioni, “quando sento dire ‘aiutiamoli a casa loro’ penso che la Cooperazione internazionale esiste da anni per legge, ma che non è mai stato fatto niente realmente per garantire alle persone il diritto, se vogliono, di restare a casa propria”. Tra i temi entra anche il recente episodio del Dalai Lama con un bambino: “Che figura di m….. – commenta Covatta, da sempre impegnato sui temi sociali anche collaborando con onlus come Amref -. Non so cosa gli sia passato per la testa e nemmeno lo voglio sapere. Però ci tenevamo tanto a lui, anche perché sapeva affrontare temi religiosi con leggerezza d’animo.

Invece tra i rappresentanti della religione cattolica sono in pochi ad avere il senso dell’umorismo, a parte Papa Francesco: è una delle sue tante doti, essere il ‘giullare di Dio”. Per quanto riguarda l’impatto della pandemia sul suo mestiere, “dopo il teatro ha ripreso subito ed è anche migliorato” E’ “un luogo dove si scambiano opinioni, una cosa bellissima soprattutto per chi le opinioni le racconta. L’importante, ed è una critica che faccio a molti miei colleghi, è ricordarsi che le nostre sono opinioni e non fanno giurisprudenza”. Ad esempio “per me Grillo non ha fatto un buon lavoro. Io però gli voglio molto bene e sono convinto che abbia agito in buona fede”. Le risposte tuttavia mancano anche ai politici, prima di tutto sull’ambiente: “Possiamo parlare di politica, economia, tutto quello che ci pare, ma che senso ha se non c’è un pianeta su cui farlo?”.

La questione “è che nessuno ha una soluzione, tanto a destra quanto a sinistra. L’unica dovrebbe essere ‘spegnete tutto, anche le sigarette’, finché non si trova un’alternativa. Spero venga trovata, e che ci siano delle evoluzioni straordinarie nella produzione di energia, ma è difficile finché è il mercato che detta le leggi”. Una volta “l’estinzione umana mi terrorizzava – sottolinea ironico – ora penso potrebbe essere un grande respiro di sollievo per questo pianeta”. Covatta al momento è in giro con tre spettacoli che hanno come temi proprio l’ambiente (‘Sei gradi’), la parità di genere (“Scoop – Donna Sapiens”) e l’Africa (‘La divina commediola’). Presto arriverà anche un suo nuovo libro, “intitolato Il commosso viaggiatore, è un volume di viaggi in Africa”. Cinema e tv invece? “Io sono sempre stato un anarchico poco paziente e in un film devi mettere d’accordo 150 persone. In tv invece si sta lavorando su dimensioni che non mi appartengono e non mi piacciono. Io ho sempre lavorato con amici, i Gialappa’s, Fabio Fazio Maurizio Costanzo… sulla base dell’affetto e un grande feeling”.

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Le dash cam per vendere informazioni a Mosca, 2 indagati

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Avrebbero collaborato con “i servizi di intelligence russi” per un’attività inquietante di “spionaggio”, prestandosi a fornire, in cambio di criptovalute, “dati sensibili”, documentazione “classificata”, fotografie di installazioni militari e informazioni su tecnici specializzati nel campo dei droni e della sicurezza elettronica. E pure la “mappatura” dei sistemi di video sorveglianza di Milano e Roma, “mostrando particolare” attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere. E’ quanto contesta la Procura di Milano a due imprenditori italiani di 34 e 60 anni, titolari di una società in Brianza, esperti nel campo delle tecnologie e “filo-russi”. Ai due è stato recapitato oggi l’avviso di conclusione delle indagini per il reato di “corruzione del cittadino da parte dello straniero”, aggravato “dall’art. 270 bis”, in quanto commesso per “finalità di terrorismo ed eversione”.

I rapporti tra i due indagati e persone ritenute legate agli 007 di Mosca sarebbero nati prima sul deep web e poi proseguiti su Telegram, dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina. E gli imprenditori avrebbero agito, oltre che per alcune migliaia di euro, a volte 2mila a volte 10mila in criptovalute, anche per finalità prettamente “ideologiche”, perché dalla parte della Russia nel conflitto e contro “le politiche occidentali”. L’inchiesta, coordinata dal pm Alessandro Gobbis del pool antiterrorismo, guidato dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco, iniziata a partire dall’aprile scorso, scaturisce dagli esiti di una complessa attività investigativa condotta dal Ros di Milano, in collaborazione con la Sezione Criptovalute del Comando Carabinieri Antifalsificazione Monetaria di Roma.

Indagine, a cui ha collaborato anche l’Aise, nella quale sono stati “riscontrati a partire dal 2023 l’adescamento, da parte di cittadini russi, e la successiva corrispondenza sul canale telegram” tra loro e i due indagati. Questi ultimi si sarebbero messi a disposizione per acquisire informazioni, dalle più banali come ricerche sul web anche da fonti aperte, come le Camere di Commercio, fino a fotografie anche del Duomo di Milano, fino ad immagini di caserme ed obiettivi militari, alcune anche tecnicamente impossibili da realizzare. Ma pure per una raccolta più ampia di dati, simile ad operazioni di dossieraggio, in particolare su imprenditori. La richiesta degli apparati di intelligence sarebbe stata, poi, quella di arrivare a ‘vedere’ dove non ci sono telecamere, anche se non c’è prova nelle indagini che avessero possibilità di entrare nei sistemi di videosorveglianza pubblici o privati.

Le perquisizioni eseguite nei confronti dei due prima dell’estate, infatti, hanno fatto emergere interessi per la “mappatura” dei sistemi di videosorveglianza di Milano e Roma, con particolare attenzione alle “zone grigie”, ossia a quelle aree cittadine non coperte da telecamere. E proprio la volontà di avere il “controllo” su certe zone delle città o su aree militari è ciò che ha destato maggiore “allarme” tra gli inquirenti della Procura guidata da Marcello Viola. Infine, è venuto a galla anche una sorta di piano per trasferire informazioni a Mosca: i due, destinatari dell’atto di chiusura delle indagini, avrebbero pure proposto a cooperative di taxi di Milano un “business plan” che prevedeva l’installazione a titolo gratuito di “dash cam”, piccole videocamere da cruscotto in genere di sicurezza. E ciò nella prospettiva di affidare, all’insaputa dei tassisti, la gestione delle immagini di intere aree cittadine all’intelligence russa e per “molteplici finalità”. Tra queste quella più concreta, per gli inquirenti, è una attività di “spionaggio” ad ampio spettro.

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Modi, l’amicizia con l’Italia aiuta a rendere il mondo migliore

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“Felice di aver incontrato il primo ministro Giorgia Meloni a margine del Summit G20 di Rio de Janeiro. I nostri colloqui si sono incentrati sull’intensificazione dei rapporti in ambiti come difesa, sicurezza, commercio e tecnologia. Abbiamo anche parlato di come incrementare la cooperazione in settori come cultura, istruzione e altri ambiti simili. L’amicizia tra l’India e l’Italia può contribuire enormemente a rendere il pianeta migliore”. Lo scrive il primo ministro indiano Narendra Modi su X dopo l’incontro con la premier italiana a margine del G20 di Rio de Janeiro.

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Fitto al test finale, ultime riserve nei Socialisti

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Martedì, all’ora di pranzo, l’Italia potrebbe aver ufficialmente conquistato la vice presidenza esecutiva della Commissione Ue. Il traguardo è ben visibile, la strada per arrivarci tuttavia non è del tutto sgombra. Raffaele Fitto, il candidato di Giorgia Meloni che piace a Ursula von der Leyen, non ha convinto i Socialisti. O, almeno, l’intero gruppo di S&D. Tedeschi e francesi non hanno abbassato la loro trincea.

Il nodo resta quello dell’assegnazione di una vice presidenza esecutiva a un rappresentante di un partito che non è nella maggioranza europeista e che non ha votato, nel luglio scorso, il bis di von der Leyen. La numero uno dell’esecutivo europeo si sta occupando in prima persona del dossier. La settimana scorsa, quando le candidate Hadja Lahbib e Jessika Roswall erano state momentaneamente rimandate dalle commissioni del Pe competenti, von der Leyen si è recata all’Eurocamera e ha parlato a lungo con loro.

Per la presidente ulteriori ritardi non sono ammissibili: il primo dicembre la nuova Commissione deve entrare in carica e cominciare a pianificare la strategia europea per affrontare gli Usa di Donald Trump. Il sudoku delle votazioni sui candidati, inoltre, sembra blindare il destino di Fitto. Il candidato italiano sarà esaminato martedì con gli altri 5 vice presidenti in pectore. L’audizione è prevista alle 9.30, in contemporanea a quella di Kaja Kallas. Subito dopo toccherà a Stephane Sejourné e Roxana Minzatu.

Chiuderanno la giornata Teresa Ribera e Henna Virkkunen. Un blitz anti-Fitto dei Socialisti avrebbe un effetto immediato: una rappresaglia di Ecr e Ppe su Minzatu e soprattutto su Ribera, entrambe di S&D. A ciò vanno aggiunti due dati. Fitto è trasversalmente considerato un uomo del dialogo, non certo un estremista anti-Ue. Il gruppo Ecr, nelle audizioni dei 20 candidati commissari finora esaminati al Pe, è stato tra quelli più ligi nel votare la loro promozione, a prescindere dal partito di appartenenza.

Il tema, come si dice da settimane è però politico. L’apertura alle destre di Manfred Weber – non solo a Ecr, ma anche ai Patrioti – ha fatto scattare l’allarme nei Socialisti, nei Verdi e nei Liberali. Il pericolo di una ‘maggioranza Venezuela’ (dal nome della risoluzione su cui si è formata per la prima volta) alternativa a quella Ursula, è diventato concreto. A complicare il quadro ci sono le tensioni interne ai singoli Paesi, a partire dal pressing del leader della Cdu Friedrich Merz sul cancelliere Olaf Scholz affinché la Germania torni alle urne. “Fitto non può essere vicepresidente, e la posizione del mio gruppo a riguardo non è cambiata”; ha avvertito dal canto suo giovedì scorso il francese Raphael Glucksmann. In linea teorica, il candidato italiano potrebbe passare senza il sì di S&D e con il voto favorevole dei Patrioti, arrivando così al quorum dei 2/3 necessario. Ma per von der Leyen si porrebbe un problema politico non da poco: i sovranisti di Viktor Orban, che hanno Donald Trump come stella polare, risulterebbero decisivi.

Per questo, dalla Commissione è partita una silenziosa moral suasion nei riguardi di Weber, con l’obiettivo di frenare qualsiasi sua tentazione di apertura ai sovranisti, restando invece nell’alveo di una maggioranza “di centro, e pro-europeista”. Il Parlamento, tuttavia in queste occasioni è solito rivendicare un suo ruolo. Che Fitto sia costretto al supplemento di esame con le domande scritte non è escluso, come è accaduto per il candidato commissario ungherese. La decisione sulle risposte di Oliver Varhelyi alle domande scritte è attesa per lunedì pomeriggio. E anche da qui si capirà se, martedì, l’Eurocamera, sarà il teatro di normali tensioni politiche o l’anticamera del caos.

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