In un’aula riservata ai magistrati del carcere di Verona, Filippo Turetta ha affrontato un interrogatorio che si è protratto per nove lunghe ore di racconti, confessioni e, in alcuni momenti, evasive dichiarazioni. L’interrogatorio, condotto dal pubblico ministero Andrea Petroni, è iniziato alle 11 del mattino, protraendosi fino quasi alle 20, senza nemmeno una pausa pranzo, in un clima di tensione e drammaticità.
Filippo Turetta, imputato per l’omicidio di Giulia Cecchettin, ha rivelato dettagli su quanto accaduto la sera del 11 novembre. Dal cenare insieme al Mc Donald’s al ritorno a Vigonovo, l’imputato è stato particolarmente sfuggente quando si è trattato di spiegare le ragioni dietro l’aggressione in via Aldo Moro. “Non so cosa mi sia scattato in testa, mi è scattato qualcosa”, ha ripetuto, confermando la sostanza di quanto già dichiarato al giudice Benedetta Vitolo in precedenza.
La confessione è giunta quando Turetta ha ammesso quanto è stato ripreso dalle telecamere e confermato dagli inquirenti: l’inseguimento di Giulia a Fossò, il suo tentativo di fuga, il gettarla a terra e il successivo caricarla in macchina quasi senza sensi. L’auto riparte ma si ferma poco dopo, e è in quel momento che vengono inferte le coltellate mortali al collo di Giulia. Tutto in una ventina di minuti, in un gesto apparentemente improvviso e non premeditato.
Il racconto fornisce spunti importanti per le indagini in corso, anche se Turetta ha spesso risposto con un evasivo “non ricordo”. La difesa potrebbe chiedere una consulenza psichiatrica per esplorare la possibilità che il gesto fosse frutto di uno stato mentale alterato.
L’interrogatorio ha affrontato dettagli cruciali, quali il percorso di fuga di Turetta in Austria e Germania, e la sua volontà di “consegnarsi” e “farsi arrestare”, una volontà espressa ma mai concretizzata. Molti dettagli ora dovranno essere verificati oggettivamente, come il percorso della fuga e i movimenti della Fiat Punto di Turetta.
Durante le parti più delicate dell’aggressione, c’è stato un confronto in diretta con l’Istituto di Medicina legale di Padova, dove si stava eseguendo l’autopsia. Questo confronto in tempo reale mirava a verificare la sincerità del racconto di Turetta e stabilire se ulteriori domande fossero necessarie.
Il silenzio dei magistrati all’uscita dall’interrogatorio e la mancanza di comunicazioni con la stampa da parte del procuratore Bruno Cherchi contribuiscono a mantenere un alone di mistero intorno a un caso che, da un punto di vista investigativo, sembra chiuso, ma su cui gravano ancora nodi legati alle aggravanti e all’entità della possibile condanna. La procura sta lavorando su premeditazione e crudeltà, ma sarà necessario del tempo per giungere a conclusioni definitive.