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Corsa all’Eliseo 2022, ecco chi sono gli altri candidati contro Macron

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Questo il profilo dei 10 candidati che si presentano – oltre ai favoriti Emmanuel Macron e Marine Le Pen – alle presidenziali 2022 in Francia.

* JEAN-LUC MELENCHON – 70 anni, terze presidenziali e terzo posto nei sondaggi per il leader de La France Insoumise. Il tribuno della gauche radicale promette una VI repubblica piu’ parlamentare e meno presidenziale, blocco dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari primari, salario minimo a 1.400 euro. Arduo il tentativo di quelli che, nella gauche, vogliono far convergere su di lui il voto utile.

* ERIC ZEMMOUR – 63 anni, ex editorialista di Le Figaro, prima campagna elettorale per il fondatore di ‘Reconquete!’, che difende le tesi complottiste della “grande sostituzione”, promette “zero immigrazione” e divieto del velo islamico in pubblico. Impennata all’inizio, poi la guerra e le sue dichiarazioni filorusse e contro i rifugiati ucraini lo hanno fatto scivolare sotto al 10% nei sondaggi.

* VALERIE PE’CRESSE – 54 anni, ex ministra del Bilancio con Sarkozy, presidente della regione Ile-de-France, ha vinto le primarie dei Re’publicains battendo Eric Ciotti ed e’ diventata la prima donna candidata della destra neogollista. Un comizio allo Zenith di Parigi, nel pieno della campagna elettorale, l’ha inchiodata ai suoi limiti di personalita’ e comunicazione facendola precipitare sotto il 10%. Nel programma: aumento del 3% dei salari, quote per l’immigrazione, tutto sul nucleare per raggiungere lo zero-carbone.

* YANNICK JADOT – 54 anni, prime presidenziali per il candidato EELV (Europe, Ecologie, Les Verts). Ex Greenpeace, ha portato i Verdi al 13,5% alle Europee del 2019. Nel programma: divieto di caccia nei week-end e nelle vacanze scolastiche, bonus energia di 400 euro, ristrutturazione termica sovvenzionata per i meno agiati. Non oltre il 4% nei sondaggi, deludentissimi.

* ANNE HIDALGO – Socialista, 62 anni, la sindaca rieletta dai parigini al suo primo tentativo su scala nazionale ha clamorosamente fallito malgrado una campagna capillare sul terreno: i sondaggi la danno attorno al 2%. Nel suo programma, aumento del salario minimo, rivalutazione degli stipendi, rinnovamento energetico degli edifici, referendum di iniziativa cittadina.

* NICOLAS DUPONT-AIGNAN – 61 anni, terze presidenziali per il sovranista di estrema destra che nel 2017 aveva ottenuto il 4,7% sostenendo poi Marine Le Pen al secondo turno. Nel programma, soppressione dello ius soli, comunita’ di nazioni al posto dell’Unione europea, tetto all’immigrazione, bagno penale alle isole Kerguelen per i jihadisti.

* FABIEN ROUSSEL – 52 anni, ex giornalista, prima volta alle presidenziali per il segretario nazionale del PCF, il Partito comunista francese che, a differenza delle ultime due elezioni, ha scelto di non sostenere Me’lenchon. Nel programma: salario minimo a 1.900 euro, patrimoniale triplicata, nazionalizzazione dell’energia elettrica. I sondaggi lo danno al 3%.

* JEAN LASSALLE – 66 anni, e’ il candidato del partito ‘Resistons!’. 1,21% nel 2017, sondaggi fra il 2 e il 3%. E’ il paladino delle campagne, degli agricoltori e degli allevatori. Predica la redistribuzione della PAC in favore dei contadini che rispettano le campagne e gli animali.

* PHILIPPE POUTOU – 55 anni, ex operaio e sindacalista, terza volta alle presidenziali per il Nuovo partito anticapitalista, viene da un 1,15% nel 2012 e un 1,09% nel 2017. Predica l’abbandono del capitalismo, l’esproprio dell’industria farmaceutica, polizia disarmata e fine del nucleare.

* NATHALIE ARTHAUD – 52 anni, insegnante, succede ad Arlette Laguiller alla guida di Force Ouvrie’re, il partito che si definisce come “comunista rivoluzionario” e fondato sulla “lotta dei lavoratori”. Lutte Ouvrie’re dal 2012 ha realizzato score alle presidenziali fra lo 0,56% e lo 0,64%. Nel programma: nessuno stipendio, sussidio o pensione deve essere inferiore a 2.000 euro mensili.

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Taiwan, ‘non cederemo un centimetro del nostro territorio’

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Il presidente di Taiwan William Lai ha promesso che l’isola non cederà nei suoi propositi di difesa del territorio, nel mezzo delle crescenti pressioni militari della Cina su Taipei perché accetti le rivendicazioni della sua sovranità. “Noi non cederemo un centimetro di terreno a Taiwan, Penghu, Kinmen e Matsu per difendere con fermezza la nostra patria”, ha detto Lai, in riferimento anche alle isole controllate da Taipei e a pochi chilometri dalla costa cinese del Fujian. Lai è in visita alle Kinmen per i 75 anni di una vittoria sulle forze comuniste di Mao Zedong, dopo due settimane di intensa attività militare nello Stretto di Taiwan.

Lai, che si è insediato a maggio e ha rimarcato, con maggiore enfasi, la difesa della sovranità di Taiwan, ha partecipato a Kinmen a una cerimonia con i veterani in ricordo della battaglia di Guningtou, dove le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek strapparono una vittoria decisiva nella guerra contro le truppe comuniste di Mao Zedong, riuscendo a mantenere il controllo delle isole Kinmen insieme alle isole Matsu, tutte a pochi chilometri dalla costa del Fujian. Il Partito comunista cinese non ha mai governato Taiwan, ma Pechino rivendica l’isola come parte “inalienabile” e “sacra” del suo territorio, destinata alla riunificazione anche con l’uso della forza, se necessario.

Negli ultimi anni la Cina ha aumentato la pressione militare e politica su Taiwan, nel tentativo di intimidire Taipei affinché accetti le sue rivendicazioni. Appena il 14 ottobre, l’Esercito popolare di liberazione ha condotto le manovre su vasta scala ‘Joint Sword 2024/B’ intorno a Taiwan a simulare un blocco aeronavale: sono state seguite martedì da esercitazioni a fuoco vivo vicino all’isola e mercoledì dal transito di un gruppo navale d’attacco guidato dalla portaerei Liaoning nello Stretto di Taiwan. Le truppe di Taipei hanno replicato giovedì con esercitazioni a fuoco vivo sull’isola di Penghu, in vista di 5 giorni di operazioni dal 28 ottobre che mobiliteranno Esercito, Marina e Aeronautica.

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Trudeau non lascia, guiderà i liberali alle prossime elezioni

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Justin Trudeau ha ribadito che guiderà il suo partito liberale alle prossime elezioni, respingendo la richiesta di alcuni membri del partito di non candidarsi per un quarto mandato. Il primo ministro canadese ha avuto un incontro incontrato i deputati della durata di tre ore mercoledì, dove ha appreso che più di 20 legislatori del suo partito hanno firmato una lettera chiedendogli di dimettersi prima delle prossime elezioni. Ieri, Trudeau ha affermato che erano in corso “conversazioni intense” sul modo migliore per procedere, ma “ciò accadrà come leader alle prossime elezioni”, scrive il Guardian. Nessun primo ministro canadese in più di un secolo ha vinto 4 mandati consecutivi. I ministri del gabinetto di Trudeau hanno affermato che il premier ha il sostegno della stragrande maggioranza dei 153 membri del partito liberale della Camera dei comuni.

I liberali hanno recentemente subito pesanti sconfitte nelle elezioni speciali per i seggi che rappresentano due distretti di Toronto e Montreal, sollevando dubbi sulla leadership di Trudeau. Le elezioni federali potrebbero verificarsi in qualsiasi momento tra questo autunno e il prossimo ottobre. I liberali devono fare affidamento sul sostegno di almeno un partito importante in Parlamento, poiché non detengono una maggioranza assoluta. Il leader dell’opposizione del Bloc Québécois ha affermato che collaborerà con i conservatori e il New Democratic Party (Ndp) per far cadere i liberali e forzare le elezioni se il governo non aumenta le pensioni.

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Cuba in lista d’attesa per l’ingresso a pieno titolo nei Brics

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Cuba e altri 12 paesi, tra cui anche la Bolivia, la Turchia, l’Indonesia e la Nigeria, sono da oggi membri associati dei Brics. È quanto è “emerso nel corso del XVI Vertice dell’organizzazione che si conclude oggi a Kazan, in Russia”, ha celebrato il sito giornalistico governativo Cubadebate sulla sua homepage, rilanciando un post dell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America – Trattato commerciale dei popoli (Alba-Tcp) sul suo account ufficiale di X. “I Brics incorporano 13 nuovi paesi associati, due dei quali dell’Alba-Tcp: Bolivia e Cuba. L’incorporazione di questi nuovi paesi associati è percepita come un segnale che i Brics cercano di rafforzare la cooperazione multilaterale per espandere la loro influenza sulla scena internazionale” si legge nel post rilanciato da Cubadebate, che evidenzia la presenza a Kazan del ministro degli Esteri di Cuba, Bruno Rodríguez Parrilla.

A differenza dell’ultimo summit in cui ai cinque paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) se ne aggiunsero altri, nel 2022 a Pechino, questa volta non è stato però diramato nessun comunicato ufficiale sul sito dell’organizzazione intergovernativa che riunisce alcune delle economie più importanti del pianeta. Forse perché in quell’occasione fu annunciato l’ingresso di cinque paesi ma poi, a causa della sorprendente vittoria in Argentina di Javier Milei, a entrare nel 2023 furono solo Iran, Etiopia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Per evitare rischi di gaffes, dunque, nessun comunicato ufficiale, anche perché tra i nuovi paesi associati dei Brics c’è l’Arabia Saudita che, pur non avendo posto veti, ha inviato un rappresentante di secondo livello al vertice russo a causa dei rapporti tesi con l’Iran, che invece dei Brics è membro a tutti gli effetti.

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