L’Olimpiade di Tokyo 2020 e’ slittata di un anno a causa del coronavirus ma, sempre a causa della pandemia, rimane un problema che rischia di mettere in dubbio la regolarita’ delle competizioni. Infatti da quando il mondo e lo sport si sono fermati, si e’ interrotta anche l’attivita’ di coloro che effettuano i controlli antidoping e cosi’ chi ‘bara’, o ha la tentazione di farlo, potrebbe approfittarne. Ecco allora che c’e’ chi si e’ industriato per trovare un rimedio, almeno parziale, come l’Usada, l’agenzia statunitense antidoping, che ha varato i controlli online, su piattaforme come Zoom e Facetime. “Dovevamo fare qualcosa – ha spiegato alla Bbc il direttore esecutivo di Usada, Travis Tygart -, perche’ ci sentivamo in colpa nei confronti degli atleti puliti. Come ti senti se, per cause che certo non dipendono da te, i controlli non possono essere condotti nel modo in cui si facevano prima? Nonostante il senso di frustrazione, ci siamo detto che dovevamo trovare una soluzione e ci siamo reinventati un ruolo”. Che sara’ poi quello di controllori online, su un gruppo di atleti che, per ora su base volontaria, hanno deciso di sottoporsi periodicamente ai test. Fra loro ci sono fuoriclasse come la nuotatrice Katie Ledecky, cinque ori olimpici, e star dell’atletica come Allyson Felix, Emma Coburn e Noah Lyles. Ma come funzionano questi controlli a distanza, in videochat, per effettuare i quali c’e’ bisogno anche di una telecamera piazzata fuori della porta del bagno di ogni atleta? A ciascuno viene spedito un kit, e i controllori li chiamano quotidianamente, nel corso di una ‘finestra’ di un’ora, su Zoom o Facetime. “Ricevono i kit sigillati – spiega Tygart – e quando, nel corso della chiamata, sono pronti per urinare vanno al bagno, ce lo mostrano e piazzano la telecamera appena fuori sulla porta. Poi, ovviamente, per motivi di privacy non ci e’ permesso vederli mentre fanno i loro bisogni, ma possiamo controllare quanto tempo ci mettono, cosi’ come facevamo quando i test erano svolti di persona. Inoltre nel kit e’ incluso un termometro che gli atleti devono utilizzare per assicurare che la temperatura del campione fornito sia in linea con quella corporea”. “Noi controlliamo che tutto cio’ venga fatto nel modo giusto – continua -, e poi che la fiala venga etichettata e che ci venga spedita”. Ma ci sono anche i test ematici, e per questo a i ‘volontari’ viene fornito uno strumento di puntura, plastico, con il quale possono farsi il prelievo da soli, sulla parte superiore di una delle due braccia. “Sappiamo benissimo che il metodo migliore rimane quello dei controlli a sorpresa – chiosa il d.e. dell’Usada – , ma in questo periodo ci siamo detti che c’e’ un problema da risolvere, e pensiamo di aver messo in piedi un buon sistema alternativo di sorveglianza. C’e’ il monitoraggio delle temperatura, vediamo il tempo che ci mettono per urinare, e poi possiamo sempre fare paragoni con i campioni prelevati in passato, e che conserviamo, ad esempio per vedere se ci sono tracce di steroidi. Lo stesso vale per i profili ematici”. Coloro che, come Ledecky e Felix, si stanno sottoponendo ai controlli si dicono felici di farlo, “perche’ cosi’ dimostrano di essere puliti – dice Tygart – e noi pensiamo che cio’ aiuti la lotta al doping. Ma certo il problema non puo’ essere risolto se in altre parti del mondo fanno zero controlli”. Ma forse il buon esempio degli americani verra’ seguito da altri, visto che gia’ le agenzie antidoping di Norvegia, Germania e Canada hanno chiesto informazioni e stanno seguendo da vicino l’evolversi di questa situazione, per dare un contributo affinche’ quelli di Tokyo siano Giochi puliti.