Collegati con noi

Economia

Confindustria: turismo record, tiene a galla l’economia

Pubblicato

del

“Il turismo da record tiene a galla l’economia italiana”, evidenzia un ‘focus’ del centro studi Confindustria che sottolinea come il settore appaia oggi “decisivo per la dinamica del Pil nel 2023”. Con un +4,1% nei primi nove mesi dell’anno dell’export di servizi, “non è mai stata così elevata la spesa dei turisti stranieri”. “Gli arrivi possono ancora crescere”. Ma restano “prospettive incerte. Il rilancio del turismo – avvertono gli economisti di via dell’Astronomia – è compiuto in termini di livelli, ma il ritorno sulla traiettoria di crescita pre-pandemia potrebbe essere ritardato dalla fase di stagnazione che coinvolge l’economia italiana e mondiale”.

“C’è una voce tra le componenti del Pil italiano (appena +0,1% tendenziale nel 3° trimestre 2023) che è andata molto bene nei primi nove mesi di quest’anno e sta sostenendo la dinamica complessiva: fa parte dell’export di servizi (+4,1%) ed è la spesa degli stranieri in viaggio in Italia, ovvero gran parte del valore economico diretto del turismo nel Paese”, evideziano gli economisti del centro studi di via dell’Astronomia diretto da Alessandro Fontana.

“Il contributo degli stranieri al boom turistico è stato cruciale: a settembre 2023 è proseguita l’espansione della spesa dei viaggiatori esteri in Italia: +11,8% sul 2022 (a prezzi correnti); il record è stato toccato a luglio. Questa spesa, se comparata con i livelli pre- pandemia, mostra un +24,5% sul 2019. Che è solo in piccola parte dovuto all’aumento dei prezzi dei servizi turistici (circa +6,0% nel 2023). Complessivamente, a fine 2023 gli introiti dal turismo straniero arriveranno oltre i 50 miliardi di euro, superando ampiamente i 30 miliardi relativi al turismo italiano all’estero”. E’ un fattore “cruciale per l’economia italiana”, come anche epr quella spagnola.

“La ripresa dei viaggi, fin dal 2021 e poi con più forza nel 2022 e 2023, ha influito positivamente soprattutto nei paesi in cui il peso (totale) del turismo in percentuale del Pil è maggiore, come Spagna e Italia (circa 11% del valore aggiunto). La ripartenza del turismo si è riflessa, infatti, in tali paesi, in una dinamica dei consumi e dell’occupazione molto positiva, come evidenziato anche nell’ultimo rapporto previsivo del Fmi (WEO di ottobre 2023)”.

L’extra-risparmio alimenta i consumi di servizi. “Un ruolo decisivo nella ripresa del turismo lo ha svolto, nel 2023, il decumulo di extra-risparmio messo da parte durante la pandemia. In Italia, la propensione al risparmio delle famiglie è stata quest’anno ben sotto i livelli pre-Covid, registrando un 6,7% nel 1° trimestre e un 6,3% nel 2° (contro l’8,2% in media nel periodo 2015-2019).

Anche all’estero le famiglie hanno decumulato risparmio, spendendolo in patria, ma anche in Italia e altrove, per viaggi e gite turistiche. I risparmi in eccesso, italiani ed esteri, hanno così alimentato la spesa per i servizi in Italia, che è aumentata in tutti e tre i trimestri del 2023: +0,4% nel 1°, +2,4% nel 2° e +1,4% nel 3°. Tale espansione sembra riflettere, in particolare, un supporto più consistente proveniente dalle famiglie più abbienti, che sembrano aver aumentato la propria propensione marginale al consumo perché più in grado di finanziare la spesa per il tempo libero, avendo accumulato più risorse ‘extra’ durante la pandemia (dati Banca d’Italia)”. I servizi di alloggio sono “ai massimi”.

L’ottima performance turistica “si è riflessa nel settore alberghiero italiano, che ha beneficiato di un vero e proprio boom. Il fatturato dei servizi di alloggio, che è andato meglio del totale dei servizi, già nel 2022 si collocava sopra i valori pre-pandemia e ha proseguito la crescita quest’anno: +28,8% nel 3° trimestre rispetto allo stesso periodo del 2019, di cui +7,1% rispetto al 3° 2022. Sembra perciò essere tornato l’ottimismo tra le imprese del settore dell’ospitalità: secondo il Barometro di Booking, il 41% degli albergatori italiani prevede che il 2023 sarà l’anno con il fatturato più alto di sempre.

Gli arrivi possono ancora crescere”. Nell’analisi del centro studi di Confindustria “nonostante i recenti record, rimane ancora un margine di crescita nel settore dell’alloggio in Italia: l’utilizzazione dei letti negli esercizi alberghieri è risalita al 48,3% nel 2022, rispetto al 49,0% nel 2019 e dovrebbe essere cresciuta ancora nel 2023, ma comunque su valori che possono salire ulteriormente. Anche le strutture non-alberghiere possono continuare a fornire un contributo importante: fino al 2022 le presenze in tali strutture sono cresciute di più rispetto a quelle negli alberghi”.

Ma le prospettive sono comunque “incerte”. “Il rilancio del turismo è compiuto in termini di livelli, ma il ritorno sulla traiettoria di crescita pre-pandemia potrebbe essere ritardato dalla fase di stagnazione che coinvolge l’economia italiana e mondiale.

Decisivo sarà cogliere i cambiamenti in atto nel settore, che le imprese italiane sembrano aver ben individuato: preferenze dei viaggiatori più orientate ad esperienze di lusso (+57% nell’ultimo decennio il numero di alberghi a 5 stelle); nuove destinazioni e cambiamento climatico; nuove tecnologie ‘virtuali’, per preparare (sostituire?) i viaggi “in presenza”.

Advertisement

Economia

Orsini: nucleare scelta obbligata se Italia vuol competere

Pubblicato

del

“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.

“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.

Continua a leggere

Economia

Economia della Ue con il fiato corto, euro ai minimi

Pubblicato

del

L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.

Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.

Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.

L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.

Continua a leggere

Economia

Moody’s, Pil Italia sotto 1%, impegnativa spesa Pnrr

Pubblicato

del

La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.

“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto