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Economia

Cina-Ue, colloqui sui dazi di Bruxelles per le e-car

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La Cina e l’Ue hanno deciso di riprendere il dialogo sui veicoli elettrici, primo passo degli sforzi per evitare una guerra commerciale dalle conseguenze imprevedibili. Le parti hanno concordato l’avvio di colloqui sui piani di Bruxelles per rialzare i dazi fino a un ulteriore 38,1% massimo all’import di veicoli elettrici made in China, a chiusura dell’apposita indagine anti-sovvenzioni. A due settimane dall’entrata in vigore delle tariffe, il ministro del Commercio Wang Wentao, il plenipotenziario di Pechino sul delicato dossier, “ha tenuto un incontro video su richiesta con il vicepresidente esecutivo della Commissione europea e Commissario al Commercio Valdis Dombrovskis. Le due parti hanno concordato di avviare consultazioni sull’indagine antisovvenzioni dell’Ue sui veicoli elettrici importati dalla Cina”, ha riferito il ministero cinese in una breve nota, senza fornire dettagli. Altri elementi, tuttavia, sono emersi dall’incontro di Wang con il vicecancelliere tedesco Robert Habeck, di cui sempre il ministero ha dato conto oggi.

La Cina “è pronta al dialogo e alle consultazioni sui veicoli elettrici se l’Ue è disposta a sedersi al tavolo dei negoziati con sincerità” allo scopo di “considerare le ragionevoli preoccupazioni di entrambe le parti per evitare l’escalation degli attriti commerciali in modo razionale e professionale”, ha osservato Wang nei colloqui con Habeck, che è anche ministro per gli Affari economici e l’Azione per il clima e il politico europeo di più alto livello a visitare il Dragone dopo l’annuncio sui dazi della Commissione Ue. La Cina, inoltre, “spera che la Germania svolga un ruolo positivo, spingendo la parte europea ad incontrare la Cina a metà strada”, ha aggiunto Wang, mettendo in guardia che “se la parte europea continua con ostinazione a seguire la strada sbagliata, la Cina adotterà le misure necessarie, inclusa il ricorso nell’ambito del meccanismo di risoluzione delle controversie del Wto, per difendere fermamente i suoi legittimi diritti e interessi”.

Parlando a Shanghai, invece, Habeck ha affermato che le porte sono “aperte alle discussioni” con Pechino sulle tariffe Ue, adottando invece una linea molto più dura sull’export cinese verso la Russia, utile a sostenere la macchina bellica di Mosca contro l’Ucraina. E ha detto di sperare in colloqui imminenti tra Pechino e Bruxelles e di ritenere che i dazi “sono punitivi”, aggiungendo in una conferenza stampa di vedere “spazio per la discussione”. Nel frattempo, Pechino, come ritorsione, ha già avviato indagini su carne di maiale e prodotti derivati in arrivo dall’Ue, mentre si profilano altri fronti come i dazi al 25% sulle auto tradizionali di grossa cilindrata importate dal Vecchio Continente, il cui valore ha toccato nel 2023 i 18 miliardi di dollari. I tempi per scongiurare la guerra commerciale sono davvero stretti.

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Economia

Tim tratta in esclusiva col Mef su Sparkle

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La vendita di Sparkle non solo porta nelle casse di Tim altri 700 milioni di euro ma risolverebbe una ‘anomalia’ nella struttura del gruppo che ormai si è dato un’impronta da ‘società di servizi’. Non è da escludere poi che la società dei cavi internazionali possa confluire nella rete unica a cui punta il Mef che, se realizzata entro il 2026, sbloccherebbe quei 2,5 miliardi di ‘earn out’ legati alla cessione di Netco a Kkr. La Borsa, dove il titolo ha fatto un altro piccolo passo avanti (+2% a 0,26 euro) e gli analisti leggono l’operazione come positiva e si aspettano che Tim accetti la proposta del Mef e, con una quota di minoranza, del fondo spagnolo Asterion, attraverso la controllata Retelit.

E Tim non perde tempo. Il cda, dopo meno di 24 ore, si riunisce, esamina la proposta e dà mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di avviare interlocuzioni con gli offerenti, in via esclusiva, finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione – entro il 30 novembre – di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

L’offerta che c’è ora in campo, rispetto alla precedente di 625 milioni di euro più 125 milioni di euro di earn-out, è qualitativamente migliorativa perché i 700 milioni offerti dal Mef e da Asterion sarebbero ‘tutti subito’. “Gli 0,7 miliardi di euro di liquidità in entrata si aggiungerebbero agli 0,24 miliardi proventi dalla vendita di Inwit – ricordano gli analisti di Mediobanca – con un ulteriore taglio di 1 miliardo di euro alla posizione debitoria di Tim, portando il rapporto di leva finanziaria (ebitda/debito) ben al di sotto di 2 volte”.

Equita e Intermonte hanno invece colto le recenti dichiarazioni del direttore generale del Mef Marcello Sala a un convegno che ha espressamente indicato l’obiettivo del governo di avere “un’unica società nel Paese per la fibra ottica”. “Riteniamo che il governo italiano sia estremamente interessato a evitare un default di Open Fiber anche per il rischio di perdere 1,8 miliardi di euro di fondi Pnrr se il progetto Italia a 1Giga non sarà completato entro giugno 2026” scrivono gli analisti.

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Economia

Zuckerberg batte Bezos, è il secondo più ricco al mondo

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Mark Zuckerberg supera Jeff Bezos e diventa il secondo uomo più ricco al mondo alle spalle di Elon Musk. Zuckerberg vale 210,7 miliardi di dollari contro i 209,2 di Bezos. Musk ha una fortuna di 262,8 miliardi. E’ quanto emerge dal Bloomberg Billionaires Index.

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Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

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In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

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