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Esteri

Cina e Usa, la nuova guerra fredda all’ombra del Covid 19

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C’è sempre un evento preciso che scandisce l’inizio di una nuova era. Il destino è come un buco nero, una volta superata la “soglia degli eventi” non si esce più, si può andare solo in una direzione, ignota ma tuttavia già segnata.  Perché storicamente le esigenze più profonde dei popoli, quando vengono sistematicamente ignorate dai loro governanti, si gonfiano nutrendosi di rabbia disperata e poco a poco cominciano a premere sugli argini dell’ipocrisia e del preconcetto degli Stati iniziando inesorabilmente ad indebolirli, in modo invisibile ma costante, fin quando la crepa nella diga cede e tutto viene travolto dalla furia del nuovo corso della storia.

La presa della Bastiglia, l’attentato di Sarajevo, la caduta del Muro di Berlino, il fallimento di “Lehman Brothers”, sono solo alcuni degli eventi che hanno cambiato la storia dell’umanità, o forse ne hanno sancito un nuovo corso, in un punto preciso nella linea temporale universale che devia un flusso. E così veniamo ai tempi della pandemia del Covid19 (John C. Hulsman la indica come “rischio politico”) che vede gli Stati Uniti d’America ancora più feriti, ma proprio per questo sempre più determinati nel ridare al mondo la centralità del loro imprinting liberale, di cui detengono da sempre il marchio morale, e la CINA che proprio dal crollo del muro d Berlino ha puntato quasi tutto sulla corsa alla ricchezza e poco sulle enormi problematiche rappresentate principalmente dall’arretratezza dei territori dell’interno ed una stasi demografica che tra qualche decennio la vedrà con un terzo della popolazione anziana, quindi bisognevole di assistenza e cure mediche che non potranno più essere garantite così come già non vengono garantiti tutti quei diritti che noi consideriamo irrinunciabili.

Xi Jinping. Il Presidente della Repubblica Popolare di Cina

Se il primato del Colosso orientale si è dunque consolidato attraverso un’espansione commerciale internazionale senza precedenti, sempre più veloce quanto però sempre più fragile, perché  espressione di una struttura capace di arrivare molto in alto ma con una base debole, al contrario gli States, grazie alla stratificazione sociale ed economica storicamente ben distinta, saldata bullone su bullone, si dimostrano capaci di flettersi fino all’inverosimile anche di fronte al flagello “coronavirus”, pur tuttavia senza mai spezzarsi.

Così l’Aquila a Testa Bianca tanto più viene ferita tanto più reagisce, come all’indomani della sconfitta di Pearl Harbor del 1943 che paradossalmente segnò proprio la fine del Giappone, così come dopo l’11 settembre 2001, quando nel giro di pochi giorni le più grandi aziende statunitensi rispristinarono la piena operatività delle loro sedi nella stessa New York devastata e la macchina militare a stelle e strisce iniziò immediatamente la persecuzione degli attentatori che non si sarebbe mai fermata senza la morte di Bin Laden. Così come sempre puntualmente accaduto, perché gli Stati Uniti hanno memoria perenne e consapevolezza di ciò che sono, che coincide esattamente con quanto vogliono essere, perché sono la sostanza dei simboli di cui si fregiano, perpetuati nell’esempio immortale degli uomini che li hanno resi grandi.

Ecco dunque che quelle che possono essere considerate come delle “zavorre” per l’economia, come i diritti dei lavoratori o delle classi deboli quanto le rivendicazioni ecologiste e sanitarie, molto care al presidente Obama, se da un lato si traducono in costi aggiuntivi sul prodotto finito che così fatica ad essere non solo esportato, ma finanche venduto nello stesso suolo nazionale, dall’altro lato garantiscono uno spirito di identificazione irrinunciabile che genera una forza inesauribile di resistenza ed autodeterminazione. E con radici così profonde questo popolo non accetterà mai di essere secondo a nessuno. Di contro, l’impero commerciale cinese prima o poi dovrà pagare con gli interessi i traguardi economici raggiunti forse troppo in fretta, con un apparato nazional capitalista che non ha saputo o voluto dare reale benessere al proprio popolo, allontanandosi palesemente proprio dall’ideale comunista che solo in apparenza dice di continuare a perseguire. Del resto proprio dalla Cina si è propagato il coronavirus che, per qualsiasi ragione si voglia addurre, non è stato contenuto o gestito come ci si aspetta da una potenza che vuole assumere il reale ruolo di leader mondiale, laddove è stato subito pensato di far tacere il dottor Li Wenliang che per primo ha comunicato l’allarme del rischio pandemico,  poi morto in ospedale proprio a causa del Covid19 dopo essere stato screditato e persino arrestato, salvo essere riabilitato dal Governo post mortem. Sempre da quella fetta di Oriente partì anche la diffusione della SARS. Dunque la percezione è che tali disastri siano stati generati da un sistema che non è in grado di gestire se stesso, se non con la forza dell’imposizione e tralasciando basilari canoni di democrazia, igiene e  rispetto dell’ambiente che poi generano inesorabilmente fame e distruzione. E tutta la sfiducia che ne deriverà per il futuro non gioverà certo ai progetti di espansione economica che da oggi saranno inevitabilmente posti sotto la costante lente d’ingrandimento di tutti i maggiori players internazionali.

Ed ecco l’evento, la crisi come momento di esplosione di ogni sistema mondiale che per anni è stato modellato vendendo l’anima alla speculazione finanziaria dei derivati che hanno infettato mercati e prodotto crisi divenute perenni. Ma dopo l’onda d’urto e l’inverno economico che al Covid19 seguiranno, i popoli ritorneranno a pretendere il ripristino dei valori accantonati e mai superati, perché posti di fronte alla morte ed alle restrizioni sociali, sono tornati alle origini del proprio essere.

Allora la tragedia potrà tramutarsi in opportunità, anche per l’Europa, se non vorrà ritagliarsi un misero ruolo di spettatore in quella che si profila una nuova guerra fredda, perché  Trump lo ha già ribadito a suo modo, brutale ed irrispettoso, ma dal punto di vista mediatico maledettamente efficace: “la Cina la pagherà”, così rimarcando, attualizzandola, la linea di contrasto ed opposizione assunta già durante la sua prima campagna presidenziale. Ma guai a relegare solo a slogan elettorali le parole del Presidente, perché Mr. Donald potrebbe aver attinto ad un sentimento molto condiviso nella sua nazione che a volte si presenta forse rude, ma quindi anche autentica ed implacabile, capace di far venire alla luce l’essenza della comunità che si cinge attorno alla bandiera e ricostruisce un paese dopo una devastazione. Ovviamente anche loro pagano i loro peccati, non a caso cresciuti esponenzialmente proprio negli ultimi decenni, quando il denaro da mezzo è diventato fine. Eppure, il limite invalicabile dei valori di cui sono intrisi, saldati sulla Costituzione, sullo Spirito della Frontiera e sull’amor di Patria, edificano un limite invalicabile dove finanche la finanza più eccentrica e sfrenata si infrange.

In Cina, come in tutti i paesi dove la democrazia è barattata per la stabilità imposta dal regime, mancherà sempre quell’energia vera e profonda di un popolo libero di autodeterminarsi, capace di superare ed anzi sintetizzare al meglio tutte le differenze culturali e razziali della sua gente.

Il Covid19 tutto falcia e massacra, riportando le lancette del tempo tanto indietro o tanto avanti, certamente tanto da far ritenere già lontano il presente e ci insegna che le alleanze non si fanno con la moneta o la finanza, ma sulla condivisione di ideali veri, profondi, irrinunciabili, quelli che l’Unione Europea non riesce ancora a fare propri.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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