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Cronache

Chiude per restauro il Giardino romantico di Palazzo Reale di Napoli

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Chiude da oggi il Giardino Romantico del Palazzo Reale di Napoli per un articolato progetto di restauro che prevede la risistemazione della componente vegetale, impiantistica e architettonica per restituire la complessa e stratificata immagine storica di questo spazio ottocentesco. A presentare i lavori, che si concluderanno nella primavera del prossimo anno, è stato l’architetto paesaggista Marco Ferrari, progettista e direttore dei lavori, che ha illustrato gli interventi programmati insieme al direttore del Palazzo Reale, Mario Epifani e alla responsabile del progetto architetto Almerinda Padricelli. Un intervento che è stato analizzato e progettato nel corso degli ultimi 2 anni, attraverso studi, ricerche e indagini e che prevede un arricchimento del patrimonio vegetale per recuperare la valenza del collezionismo botanico di metà Ottocento, periodo in cui il giardino fu progettato da Friedrich Dehnhardt, a testimonianza del quale sopravvivono gli imponenti esemplari di Ficus magnolioides e Pinus canariensis. Già due anni fa è stato effettuato un intervento per salvare il prezioso pino delle Canarie, in sofferenza per l’occlusione delle radici creata dalla pavimentazione in asfalto. Quello che verrà restituito ai visitatori sarà uno spazio rispettoso delle necessità degli alberi, prima ancora che dei suoi fruitori, arricchito da bordure fiorite che ne esalteranno l’aspetto cromatico.

I lavori dello storico e prezioso giardino di oltre 1.440 mq prendono il via oggi con una prima fase che prevede un intervento sugli esemplari arborei esistenti, sia con potature finalizzate a riequilibrare portamento e dimensione delle piante, sia con eventuali abbattimenti necessari per la messa in sicurezza dei luoghi a seguito di indagini diagnostiche e fitostatiche. Si procederà con la riprofilatura delle aiuole, lavorando e arieggiando in profondità il terreno per migliorarne le condizioni chimiche e fisiche rendendole adatte alla crescita ottimale delle piante e al rifacimento dei tappeti erbosi. “Parallelamente si lavorerà per la ricomposizione della collezione botanica – spiega il progettista Marco Ferrari – con la messa a dimora di nuovi alberi, arbusti e piante erbacee, la cui selezione attinge dagli elenchi redatti da Friedrich Dehnhardt, ‘giardiniere botanico’ di re Ferdinando II di Borbone e valutati nel rispetto dei mutati scenari ambientali. L’inserimento del piano arbustivo ed erbaceo permetterà di restaurare la composizione spaziale del giardino, valorizzando nel tempo le visuali prospettiche sulla città e mitigando l’impatto acustico legato al traffico veicolare di via San Carlo”.

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Perizia del Tribunale di Roma: sulla morte di Andrea Purgatori una catastrofica sequela errori

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“Una catastrofica sequela di errori ed omissioni”. E’ il giudizio tranchant sull’operato dei medici contenuto nella perizia medico legale svolta su richiesta del Tribunale di Roma in merito alla morte del giornalista Andrea Purgatori, deceduto il 19 luglio del 2023.

Nel procedimento, coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi, sono finiti nel registro degli indagati, per l’accusa di omicidio colposo, il radiologo Gianfranco Gualdi, il suo assistente Claudio Di Biasi e la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo, entrambi appartenenti alla sua equipe, e il cardiologo Guido Laudani. L’attività peritale era stata disposta nel maggio scorso dal giudice nell’ambito dell’incidente probatorio e verrà illustrata nell’udienza fissata per il 26 settembre. Nel documento i periti, quattro specialisti tra cui un cardiologo e un neuroradiologo, ricostruiscono il percorso clinico del giornalista, un calvario durato alcuni mesi fatto di visite specialistiche e ricoveri poi culminate con la morte a 70 anni di età. Per i periti “i neuroradiologi indagati refertarono non correttamente l’esame di risonanza magnetica dell’8 maggio 2023 per imperizia e imprudenza e quelli del 6 giugno e dell’8 luglio per imperizia.

Il cardiologo Laudani effettuò approfondimenti diagnostici insufficienti” e da lui, in particolare scrivono i periti, c’è stata “una catastrofica sequela di errori ed omissioni”. Nel documento di oltre cento pagine gli specialisti mettono nero su bianco che “un corretto trattamento diagnostico-terapeutico avrebbe consentito al paziente Purgatori un periodo di sopravvivenza superiore a quanto ebbe a verificarsi”. La letteratura scientifica “considera il tasso di sopravvivenza a 1 anno in misura dell’80% qualora l’endocardite venga tempestivamente adeguatamente trattata”. Si afferma che l’endocardite, che fu la causa del decesso di Purgatori, “avrebbe potuto essere individuata più tempestivamente, per lo meno all’inizio del ricovero dal 10 al 23 giugno del 2023, od ancora prima, nella seconda età di maggio 2023 qualora i neuroradiologi avessero correttamente valutato l’esito degli accertamenti svolti l’8 maggio”. I medici nominati dal tribunale ritengono che “la condotta dei neuroradiologi abbia concorso nel ritardare il trattamento dell’endocardite”.

In riferimento all’operato di Laudani, i periti affermano che “interpretò non correttamente i risultati dell’esame holter, giungendo alla conclusione che l’embolizzazione multiorgano fosse conseguenza di fibrillazione atriale”. Inoltre non valutò adeguatamente il quadro clinico e gli effetti della terapia anticoagulante che aveva impostato. Si tratta – aggiungono- di comportamenti che possiamo definire non adeguati sotto l’aspetto della perizia”. Nel documento viene ricostruita anche la gestione clinica del paziente e in riferimento al ricovero del luglio del 2023 i periti affermano che Purgatori “viene dimesso apparentemente senza visionare i risultati di un prelievo effettuato il giorno 19, dove si rileva la severa anemia che avrebbe controindicato la dimissione”.

Per i periti, infine, “non vi è dubbio che l’errata diagnosi di secondarismi neoplastici piuttosto che di lesioni ischemiche abbia condizionato il percorso assistenziale”. Purgatori “è stato inviato a radioterapia encefalica quando non ve ne era la necessità e non è stato effettuato alcun tempestivo approfondimento diagnostico e trattamento per l’endocardite che ha causato lesioni diffuse e progressive e, in ultima analisi, ha portato a morte”.

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Benevento, abusi sessuali sulle pazienti: in carcere cardiologo e amico avvocato

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Sono gravemente indiziati dei delitti di violenza sessuale di gruppo, aggravata dalla circostanza di essere stata realizzata da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, Giovanni Vetrone, all’epoca dei fatti cardiologo beneventano del Fatebenefratelli, e Antonio Zito, avvocato originario della provincia di Taranto, viceprocuratore onorario in servizio a Lecce, ambedue già ai domiciliari dal mese di giugno. Entrambi sono stati arrestati e rinchiusi in carcere: nei loro confronti anche l’accusa di esercizio abusivo della professione medica e interferenze illecite nella vita privata.

Il provvedimento restrittivo è stato emesso dal gip del tribunale di Benevento su richiesta della locale procura della Repubblica, retta da Aldo Policastro. Ai due indagati sono stati addebitati ulteriori episodi di violenza sessuale di gruppo, per le condotte, successivamente emerse, che sarebbero state realizzate ai danni di ulteriori due pazienti, nonché i delitti di interferenza illecita nella vita privata ed esercizio abusivo della professione medica. Nel mirino degli inquirenti sono finite le condotte che il cardiologo e Zito, che si spacciava per medico, avrebbero tenuto in un ambulatorio dell’ospedale, dove avrebbero compiuto atti sessuali ai danni di alcune donne.

Scene, tra l’altro, che sarebbero state riprese con un telefonino piazzato sotto la scrivania. Nel corso delle indagini e successivamente alla prima richiesta cautelare, gli indagati sono stati sottoposti ad una articolata e approfondita attività di perquisizione che ha consentito il sequestro di numerosi supporti informatici: dall’analisi dei computer, supporti informatici e device sequestrati.

E’ stato così possibile ricostruire compiutamente le condotte realizzate dai due uomini ai danni delle pazienti, le quali via via sono state identificate ed ascoltate in ambiente protetto, decidendo quasi tutte di presentare querela per le condotte subite. Allo stesso modo le analisi dei supporti sequestrati e la successiva attività di indagine a riscontro ha permesso di individuare ulteriori condotte di diffusione illecita dei video delle pazienti riprese dal medico. I filmati, infatti, venivano inoltrati dal medico beneventano al viceprocuratore onorario mediante il proprio telefono cellulare.

E’ sempre il caso di ricordare a chi ci legge che chiunque è da considerarsi innocente sino a sentenza definitiva perchè nel nostro Paese vige il principio di innocenza e non quello di colpevolezza. La colpevolezza la accertano i giudici e una sentenza è definitiva quando viene pronunciata in ultima istanza dalla Cassazione.

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Condannato a risarcimento, ospedale romano paga solo la metà

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A dodici anni dalla morte della sorella per un caso di malasanità e una sentenza ormai definitiva che ha quantificato in un milione di euro il risarcimento, i familiari hanno ricevuto solo la metà della somma perché l’Istituto sanitario condannato a pagare ha congelato la restante cifra ritenendola “impignorabile”. La vicenda risale al 2012. Donatella Pellegrino, palermitana di 57 anni, viene operata all’istituto Regina Elena di Roma per un intervento al surrene. La notte dopo l’operazione la donna accusa forti dolori segnalati ai medici, ma solo la mattina successiva viene accertata un’emorragia alla milza: è necessario un secondo intervento d’urgenza ma da quel momento per la donna inizia un calvario tra terapia intensiva, dialisi e trasfusioni: muore circa cinque mesi dopo.

I fratelli della donna si sono rivolti al Tribunale di Roma che nel marzo 2015, con sentenza di primo grado, ha stabilito che l’istituto Regina Elena avrebbe dovuto risarcirli con un milione di euro. La struttura sanitaria ha fatto appello, la Corte ha confermato il verdetto di primo grado a maggio dell’anno scorso. “L’istituto Regina Elena non ha fatto ricorso in Cassazione, la sentenza è dunque definitiva – dice l’avvocato palermitano Marco Favarò, legale dei familiari della donna – eppure dopo che nel 2017 sono stati erogati i primi 500 mila euro, non è mai stata versata la seconda metà”.

Trascorsi invano i termini di legge, i familiari hanno avviato un’azione legale presso la sezione esecuzioni mobiliari del Tribunale di Roma chiedendo il pignoramento dei 500 mila euro, ma ancora la vicenda non si è conclusa. “Abbiano interpellato il gestore della tesoreria del Regina Elena, uno dei principali istituti di credito nazionali – aggiunge Favarò – che ci ha comunicato che la somma, pur presente in cassa, è stata ‘accantonata’ ma non sarebbe pignorabile in quanto una delibera interna della struttura sanitaria l’avrebbe destinata ad altre spese. La normativa vigente prevede che le somme a disposizione di enti pubblici, ed in particolare delle aziende ospedaliere, non possano essere pignorate se preventivamente destinate a mutui, stipendi o servizi indispensabili – prosegue il legale – Ma nella delibera in questione, che oltretutto è successiva alla nostra richiesta di pignoramento, l’istituto avrebbe destinato le somme a spese che a nostro parere non rientrano tra quelle che la legge indica come impignorabili: tra queste risultano ad esempio ‘godimento di beni e servizi’, ‘organi aziendali’ e ‘acquisto di beni non sanitari'”.

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