Dovrebbero essere fissati a partire dal prossimo marzo gli interrogatori di Chiara Ferragni, del suo stretto collaboratore Fabio D’Amato, dell’imprenditrice Alessandra Balocco e degli altri indagati nell’inchiesta milanese che intende far luce su presunte truffe per i casi del pandoro “Pink Christmas”, delle uova pasquali Dolci Preziosi, della bambola Trudi ed eventualmente dei biscotti Oreo. Prima delle convocazioni, l’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Cristian Barilli e condotta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf, andrà avanti sotto traccia.
Nel senso che gli investigatori dovranno raccogliere altro materiale, come i contratti, querele sottoscritte da singoli consumatori e altra documentazione, e tracciare anche il flusso del denaro incassato per i prodotti venduti e per i cachet versati alla influencer. Dopo di che le Fiamme gialle elaboreranno una relazione in cui metteranno nero su bianco l’esito dei loro accertamenti ed analisi e poi depositeranno il tutto agli inquirenti. Si prevede che per questa attività sia necessario almeno un mese se non di più. E solo dopo la conclusione di questa fare, dovrebbero essere notificati gli inviti a comparire per sentire la versione degli indagati.
Tra le carte che nelle prossime settimane dovranno essere analizzate anche quelle su Oreo e Soleterre trasmesse oggi, assieme agli atti sul dolce natalizio, dai pm di Cuneo ai colleghi di Milano cui tocca indagare, come ha stabilito il pg della Cassazione alla fine di gennaio risolvendo il conflitto di competenza territoriale. Il sostituto procuratore generale Mariella De Masellis, nel suo decreto, condividendo l’impostazione dei pubblici ministeri milanesi, ha parlato di post, stories e “video fuorvianti” per i consumatori, pubblicati da Ferragni sulle pagine social. Inoltre ha ritenuto che il “profitto” delle presunte truffe contestate relative al pandoro, alle uova e alla mascotte di stoffa, sarebbe “consistito anche nel rafforzamento mediatico dell’immagine della influencer”, la quale ha guadagnato “dal crescente consenso ottenuto veicolando una rappresentazione di sé strettamente associata all’impegno personale nella charity”, ossia nella beneficenza. E infine, citando la recente giurisprudenza della Suprema corte, ha spiegato che “la sola menzogna è di per sé sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa”.
Tutte accuse che Chiara Ferragni, difesa dagli avvocati Marcello Bana e Giuseppe Iannaccone, ha sempre respinto, rivendicando “di aver sempre agito in buona fede” cosa che, “sono certa, emergerà dalle indagini”, aveva dichiarato qualche settimana fa, e che lei chiarirà quando sarà sentita dalla magistratura in cui ripone la sua “piena fiducia”. Intanto Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda, sulla conferma o meno del ruolo di Chiara Ferragni come componente del Comitato consultivo nel Camera moda fashion trust, iniziativa non profit, ha affermato: “noi non crocifiggiamo le persone prima che lo faccia la giustizia, l’aspetto mediatico non è il faro delle nostre scelte”. E ancora: “aspettiamo ciò che succede, non ci sentiamo di essere giudici prima dei giudici”.