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C’è il caos nel M5s di Conte: non si capisce nulla sul ritiro dei ministri, e c’è l’ipotesi voto iscritti

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La scelta di ritirare o meno la propria delegazione dal governo divide il M5s. Serviranno ancora ore di riunioni per arrivare a una linea unica, con Giuseppe Conte davanti ad almeno tre anime, considerando anche gli ‘attendisti’, in un partito in cui, dicono i piu’ critici, regnano caos e confusione. Non e’ detto che l’epilogo arrivi al termine di una nuova seduta – via zoom – del Consiglio nazionale convocato in serata e preceduto da una lunga giornata di riunioni informali in cui non sono mancati momenti di tensione. Le scelte definitive, e’ un’altra delle soluzioni al vaglio, potrebbero poi essere sottoposte alla consultazione degli iscritti online. L’ennesima tormentata giornata dei 5 Stelle comincia con l’incontro in mattinata fra Conte, i tre ministri e i sottosegretari del partito, in cui il leader illustra l’ipotesi, emersa nel Consiglio nazionale di ieri (e non chiesta da lui, precisano fonti del M5s), di ritirarli dal governo. Netta la replica di Federico D’Inca’, contrario perche’ significherebbe il tramonto definitivo dell’idea di un nuovo sostegno al premier Mario Draghi, scenario a suo dire preoccupante per il Paese, per le sorti del Pnrr e per le conseguenze europee. Sulla stessa linea il ministro Fabiana Dadone, il sottosegretario Carlo Sibilia e il capogruppo alla Camera Davide Crippa, che intanto convoca per domani un’assemblea dei deputati, divisi ben piu’ di quanto lo sia il gruppo al Senato. “Si e’ dimesso il presidente del Consiglio, di fatto e’ il governo dimissionario”, dichiara dopo l’incontro il terzo ministro 5s, Stefano Patuanelli, fra quelli che chiedono di attendere e valutare bene la strategia prima di prendere la decisione finale, come la sottosegretaria Alessandra Todde, Alfonso Bonafede e Chiara Appendino. Spingono invece per uscire dal governo i vicepresidenti Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa, Mario Turco e Paola Taverna: presentarsi gia’ come opposizione quando mercoledi’ Draghi rendera’ comunicazioni alle Camere, sarebbe una linea condivisa da circa il 70% dei parlamentari, secondo alcuni calcoli interni. Una mossa, e’ uno dei ragionamenti che si fanno in quest’area, che metterebbe al riparo da situazioni come quella in cui lo stesso Conte in Aula, il 20 agosto 2019, critico’ l’opportunismo di Matteo Salvini, protagonista dello strappo del Papeete che apri’ la crisi del Conte 1 ma ancora seduto nei banchi del governo. Una scena rievocata nel fotomontaggio con il volto del leader M5s al posto di quello leghista davanti alla consolle da dj, pubblicata “per errore” su WhatsApp dal deputato M5s Riccardo Fraccaro, che ieri comunque ha espresso i suoi dubbi sull’Aventino al Senato, prospettando che “fuori dal governo c’e’ il caos”. Secondo una fonte che sta partecipando ai confronti interni, nel dibattito finora non si e’ sentita chiara la voce di Beppe Grillo. Le analisi in corso si estendono a tutti gli scenari, inclusi un nuovo governo senza Draghi e il voto anticipato. L’ultima prospettiva preoccupa anche quei ‘pontieri’ del Pd da cui Conte, raccontano in ambienti M5s, starebbe ricevendo numerose telefonate: anche loro vogliono cercare di capire dove porteranno i tormenti del Movimento. Al di la’ del destino della legislatura, il rischio e’ che la dinamica della crisi trasformi le primarie di sabato prossimo per le Regionali in Sicilia nel capolinea del campo largo.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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