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Economia

Cause tributarie come una manovra, costano 40 miliardi

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Una mole di cause per circa 40 miliardi, pari al 2% del Pil. E’ quello che gestisce ogni anno la giustizia tributaria. Che migliora la propria efficienza, ma si trova anche di fronte alle sfide poste dalle novità introdotte dalla riforma fiscale avviata dal governo. “Ogni anno vengono gestite cause per un valore di circa 40 miliardi di euro pari al 2% del Pil. Sono cifre da manovra finanziaria che dimostrano l’importanza di quella che viene definita la quinta magistratura del paese”, ha detto Alessandro Colucci, segretario di presidenza della Camera aprendo la cerimonia dell’anno giudiziario tributario 2024.

“Proprio per questi numeri la giustizia tributaria non può non avere un ruolo centrale nell’ordinamento”, ha sottolineato la presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, Carolina Lussana, evidenziando il “ruolo di garanzia” dei giudici. I numeri mostrano che nei processi tributari due volte su tre è il contribuente a perdere il braccio di ferro con il Fisco: nel 2023 quasi la metà delle sentenze di primo grado (il 48,9%) è stato favorevole agli uffici impositori, il 29% al contribuente e circa il 10% prevede ipotesi di accoglimento parziale del ricorso proposto dal contribuente. Migliora inoltre l’efficienza della giustizia tributaria, con meno ricorsi ma un aumento di quelli che vengono definiti. I ricorsi pendenti scendono a 158.468, (-0,5%). Si riduce anche il tempo per definire una causa.

La giustizia tributaria “non deve essere interpretata come una Cenerentola”, ma deve “assumere un rango importante”, ha sottolineato il viceministro all’Economia Maurizio Leo, certo che “con la collaborazione tutti, riusciremo a dare un cambio di passo”. Le direttrici su cui si sta muovendo il governo, ha ricordato, sono da una parte la riforma tributaria, con cui sono state introdotte diverse misure come la “possibilità dell’udienza a distanza”, dall’altra il Pnrr: con l’ultimo decreto, ha puntualizzato Leo, si è avviata una procedura accelerata del reclutamento dei giudici tributari, che saliranno a 146 unità. La riforma fiscale, intanto, dopo i primi nove decreti legislativi, va avanti.

Uno dei prossimi decreti legislativi che sarà portato in cdm sarà sulla riscossione, con “novità importanti”, annuncia il direttore del Dipartimento Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, che in audizione al Senato evidenzia come siano stati ampiamente raggiunti i target del Pnrr sia sulla precompilata Iva che sulla compliance, con 3,2 milioni di lettere inviate in quasi un anno e quasi 3,9 miliardi di gettito recuperato. L’attività della Guardia di Finanza, invece, ha consentito di recuperare nel 2023 oltre 1,5 miliardi dalle frodi fiscali, evidenzia il comandante Andrea De Gennaro.

E mentre dipendenti e pensionati si preparano a salutare riquadri e codici tributo del vecchio 730, che quest’anno sarà sostituito da un nuovo modello più semplice basato sull’interazione con il contribuente, il faro della lotta all’evasione si allarga al mondo degli influencer. Agenzia delle Entrate e Fiamme Gialle hanno siglato un memorandum operativo che mette nel mirino la cosiddetta ‘digital creator economy’, settore ancora poco regolamentato.

Nell’ultimo periodo l’Agenzia ha avviato un controllo verso due noti gamer, proprietari di canali dedicati sulle piattaforme social e utilizzati per finalità di marketing in occasione del rilascio di nuovi videogame, sessioni di gameplay ed organizzazione di eventi. I compensi, strettamente connessi alle visualizzazioni raggiunte, erano conseguiti in completa evasione di imposta, nonostante l’abitualità e il livello di organizzazione professionale dell’attività. Ai due influencer coinvolti sono stati rispettivamente contestati 700mila e 500mila euro di ricavi non dichiarati.

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Orsini: nucleare scelta obbligata se Italia vuol competere

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“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.

“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.

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Economia della Ue con il fiato corto, euro ai minimi

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L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.

Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.

Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.

L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.

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Moody’s, Pil Italia sotto 1%, impegnativa spesa Pnrr

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La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.

“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.

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