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Catastrofi, danni per 6 miliardi. Musumeci, assicuratevi

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L’Italia sempre più vulnerabile di fronte alle catastrofi naturali. Dati dell’Ania alla mano, tra alluvioni e smottamenti, lo scorso anno si è registrato il massimo storico dei danni assicurati, pari a 6 miliardi di euro. Ma nonostante ciò il nostro resta un Paese “sotto assicurato”, malgrado le recenti disposizioni di legge che hanno introdotto per le imprese l’obbligatorietà delle polizze. Di qui l’appello del ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci: assicuratevi, tutti quanti si muovano a sottoscrivere delle polizze. Lo Stato non basta più. Del resto il mondo si trova oramai sempre più alle prese con “sfide drammatiche”, prime fra tutte quelle legate al cambiamento climatico con le catastrofi che spesso ne conseguono

. E tra gli attori principalmente coinvolti ci sono le assicurazioni che soprattutto negli ultimi anni hanno dovuto far fronte a risarcimenti spesso miliardari. L’occasione per fare il punto sul comparto assicurativo e sulle sfide per le compagnie e per lo Stato negli anni a venire è stata l’assemblea dell’associazione nazionale fra le imprese assicuratrici che compie quest’anno 80 anni. A pochi giorni dell’ennesimo disastro meteorologico che si è abbattuto sul nostro Paese, questa volta in Piemonte, la presidente dell’Ania Maria Bianca Farina ha spiegato che “il cambiamento climatico è una sfida cruciale. Assistiamo a catastrofi naturali sempre più estreme, frequenti e distruttive, che mettono a rischio un numero sempre maggiore di persone e beni materiali”. Nel 2023, l’industria assicurativa nel mondo ha pagato quasi 100 miliardi di euro per questo tipo di sinistri.

E in Italia si è registrato il massimo storico dei danni assicurati: oltre 6 miliardi, di cui 5,5 miliardi causati da eventi atmosferici e 800 milioni dalle alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana. Sfide “drammatiche” dunque, per le quali però “le tradizionali garanzie offerte dallo Stato non sono più sufficienti” e il mondo delle assicurazioni assume ancor più un ruolo economico e sociale. I numeri sono infatti molto elevati: secondo le stime Ania in generale per coprire i danni da catastrofi naturali delle aziende italiane le compagnie assicurative devono far fronte in media ogni anno a risarcimenti per 2 miliardi. E gli eventi emergenziali quali alluvioni e terremoti per il settore assicurativo potrebbero tradursi in una perdita assicurativa di circa 15 miliardi una volta ogni 200 anni. D’altra parte il patrimonio delle imprese soggette al nuovo obbligo assicurativo per i rischi da catastrofi naturali introdotto dalla Legge di Bilancio 2023 è stimata in circa 4.000 miliardi. Di questi 2.500 sono già presenti nel portafoglio delle compagnie di assicurazione, mentre 1.500 miliardi derivano da nuovi rischi.

Uno dei grandi problemi che affliggono ancora oggi l’Italia è tuttavia quello della sotto assicurazione. “Solo il 6% delle abitazioni è coperto contro i rischi di terremoto e alluvione e solo il 4% delle piccole imprese possiede una polizza contro tali rischi”, ha sottolineato Farina. E lo riconosce anche Musumeci: “La nuova strada che bisogna imboccare è quella delle assicurazioni. Dobbiamo ricorrere alle polizze assicurative per le aziende, non possiamo pensare che lo Stato possa intervenire sempre e per tutti”, afferma il ministro avvertendo che “non ci sono più le risorse necessarie per un’emergenza che è diventata pressoché quotidiana”.

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L’annuncio di Toti: non mi ricandido alle Regionali

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Il presidente della Liguria Giovanni Toti, agli arresti domiciliari dal 7 maggio, non si “candiderà alle prossime elezioni del 2025”. Una rassicurazione che il suo legale Stefano Savi ha dato ai giudici del Riesame davanti ai quali ha chiesto la revoca della misura o, quantomeno, una sua attenuazione. In un’ora e mezzo il governatore, tramite l’avvocato, ha spiegato perché dopo due mesi non c’è più un rischio di inquinamento delle prove e, tantomeno, di reiterazione del reato. La difesa ha anche chiesto un parere al giurista e giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese – secondo il quale i giudici del Riesame devono bilanciare gli interessi di giustizia e il buon andamento della pubblica amministrazione – per spiegare perché vadano revocati gli arresti o perché possano andare bene anche l’obbligo di dimora a Ameglia, dove Tori risiede, o il divieto di stare a Genova.

“Ciascuna di queste misure – spiega Savi – con modalità diverse, appare tale da riequilibrare, almeno parzialmente, le esigenze di inchiesta a quelle di agibilità politica e istituzionale del governatore. Un equilibrio che anche la Consulta ritiene indispensabile e non valutato adeguatamente nel caso di specie”. Il divieto di dimora a Genova “manterrebbe, per la legge Severino, – dice ancora Savi – la sospensione dall’incarico istituzionale di presidente (come per Pitella in Basilicata). Con l’obbligo di dimora ad Ameglia “pur annullando la sospensione della carica istituzionale… ne sottoporrebbe l’esercizio ad un fattivo controllo del giudice, autorizzante ogni spostamento (come per Oliverio in Regione Calabria)”.

Non la pensano però così i pubblici ministeri Federico Manotti e Luca Monteverde, che hanno ribadito che Toti deve rimanere ai domiciliari. “C’è ancora il rischio di inquinamento delle prove, visto che bisogna anche individuare altri testimoni da sentire e potrebbe reiterare il reato”. I pm hanno depositato ancora venerdì scorso una informativa della Guardia di Finanza in cui emergono nuovi elementi sulla vicenda del finanziamento – secondo l’accusa sotto banco – da parte di Esselunga di spot elettorali sul maxi schermo di Terrazza Colombo, in cambio della velocizzazione dell’iter burocratico per aprire i nuovi supermercati a Sestri Ponente e Savona.

Dalle carte emerge che anche per questi incontri i telefonini sarebbero stati spenti e messi lontano per evitare di essere intercettati. Ci sono poi alcuni messaggi che l’ex capo di gabinetto Matteo Cozzani mandava ai funzionari della Regione per velocizzare le pratiche: “Lo chiede il presidente”. Per gli investigatori Cozzani, Francesco Moncada (ex membro del cda di Esselunga) e Maurizio Rossi (ex senatore ed editore di Primocanale) stringono l’accordo: a fronte di un nuovo contratto da 50 mila euro che la Pvt stipula con Esselunga, Rossi garantirà molti più passaggi elettorali alle liste del presidente Toti per le comunali del 2022 e anche per le successive politiche. Il Riesame, presieduto dal giudice Massimo Cusatti, deciderà entro due giorni. Nel caso in cui dovessero respingere tutte le richieste di Toti il suo avvocato andrà in Cassazione. Ma in quel caso la decisione potrebbe arrivare non prima di settembre aprendo la strada a un eventuale giudizio immediato chiesto dalla procura.

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Bozzoli: una foto conferma la presenza in Spagna

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Sono i primi elementi concreti. La dichiarazione di una receptionist d’albergo e soprattutto un fotogramma. Che testimoniano la reale presenza in Spagna la scorsa settimana, quantomeno fino a prima del primo luglio, di Giacomo Bozzoli, il 39enne bresciano condannato all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario gettato nel forno della fonderia di famiglia l’8 ottobre 2015 a Marcheno nel Bresciano, e latitante dal giorno del verdetto definitivo della Cassazione. Dal sud della Spagna, precisamente da Marbella, la polizia iberica ha fatto sapere alle autorità italiane che le telecamere del resort Hard Rock hanno ripreso il 39enne il 30 giugno, un giorno prima della sentenza definitiva.

Nelle immagini si vede il bresciano con il figlioletto. Non solo: una receptionist dell’albergo di lusso lo avrebbe riconosciuto tra i clienti. Il documento del bresciano – la carta di identità – sarebbe stato registrato proprio il 30 giugno. Poi il vuoto assoluto. Ora la Procura di Brescia che attraverso rogatoria ha chiesto di accedere al sistema di videosorveglianza dell’albergo, aspetta di visionare i filmati che dimostrano che effettivamente era Giacomo Bozzoli la persona che si è presentata al resort. Perché a fronte delle dichiarazioni della compagna del 39enne, “siamo stati insieme in Spagna fino al momento della sentenza”, gli inquirenti non avevano nascosto dubbi sulla reale presenza del bresciano tra il 20 e il 30 giugno.

Troppi erano stati i vuoti e i “non ricordo” nel racconto di Antonella Colossi, compagna sempre fedele di Giacomo Bozzoli interrogata dai carabinieri il giorno stesso del ritorno in Italia in treno che ha fatto mettere a verbale di “aver perso la memoria per lo choc dopo aver saputo della condanna all’ergastolo guardando internet da un computer dell’albergo”. Di certo c’è che la Maserati Levante intestata al 39enne è transitata tre volte sotto i portali-lettori targa la mattina del 23 giugno sulla sponda bresciana del Lago di Garda, poi una volta in Spagna, ma i vetri oscurati impediscono di capire con certezza chi fosse a bordo in quel momento. “Eravamo io, Giacomo e nostro figlio” ha fatto mettere a verbale la compagna del latitante.

Ma dopo il 30 giugno dove è andato Giacomo Bozzoli quando si è separato dalla compagna e dal figlio poi tornati in Italia? È la domanda delle domande per chi indaga, che sta mettendo gli occhi anche sui paradisi fiscali: da Capo Verde, all’Africa fino alla vicina Svizzera dove Bozzoli – che anche a processo non ha mai nascosto di maneggiare molto “nero” per via del lavoro nel campo dei metalli ferrosi – potrebbe aver trasferito capitali nell’arco degli ultimi nove anni. Costruendosi un tesoretto da sfruttare per rimanere lontano dall’Italia. E dal carcere a vita che lo attende dopo la condanna definitiva pronunciata dalla Cassazione lo scorso primo luglio.

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Autonomia, parte dalla Campania l’iter per il referendum

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Parte dalla Campania il percorso delle cinque Regioni a guida progressista per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata. Il Consiglio regionale ha approvato oggi la richiesta di indizione, testo su cui ora dovrebbero convergere l’Emilia-Romagna, la cui assemblea è convocata per le prossime ore, e poi Sardegna, Puglia e Toscana. Come ha ricordato in aula il governatore Vincenzo De Luca, “non prendiamo una decisione per consolidare le bandiere ma per far prevalere la ragione”. Obiettivo, “ricreare uno spirito di difesa dell’unità d’Italia”.

A votare la richiesta sono stati i gruppi di centrosinistra, compreso il M5s (che è all’opposizione della Giunta e per “senso di responsabilità” ha ritirato i suoi emendamenti) e il rappresentante di Azione, che invece a livello nazionale con Calenda si è dissociata dalla campagna referendaria. Su 46 presenti in aula, 35 hanno detto sì, con 9 contrari e una astensione. Ad essere approvato è stato in primis il quesito referendario che propone l’abrogazione totale della riforma Calderoli.

Più tardi sarà messo in votazione anche un secondo quesito che chiede la cancellazione solo di alcune parti della legge, in modo da mettere al riparo il referendum da un eventuale giudizio di inammissibilità dell’abrogazione totale, ipotesi legata ai collegamenti tra il ddl Calderoli e la legge di bilancio. In base all’articolo 75 della Costituzione il referendum abrogativo può essere chiesto da 500mila cittadini oppure da cinque Consigli regionali. I partiti del centrodestra campano, nel dibattito in Aula, hanno accusato i promotori di puntare al referendum solo per consolidare il campo largo, ricordando come lo stesso centrosinistra in passato fosse a favore dell’autonomia.

“La riforma del titolo V – ha risposto De Luca – è stato un errore drammatico. È stata una scelta di debolezza ed opportunismo; scelta fatta a maggioranza, un errore che ha creato un precedente e l’attuale governo ripete quell’errore”. Ma il presidente della Campania non vuole “una crociata referendaria”: “Dobbiamo ritrovare i canali di un dialogo responsabile, è di questo che c’è bisogno”. Il governatore pugliese Michele Emiliano intanto oggi ha ribadito che l’autonomia differenziata “per come l’ha definita Calderoli è una guerra di tutti contro tutti”. Ma anche il presidente della Regione Calabria, il forzista Roberto Occhiuto, è tornato a manifestare preoccupazioni durante il consiglio nazionale del partito.

“Il mio auspicio – ha detto – è che Forza Italia non voti, in Consiglio dei ministri e in Parlamento, alcuna intesa con singole Regioni se prima non saranno interamente finanziati i Livelli essenziali di prestazione, e se non ci sarà la matematica certezza che determinate intese possano produrre danni al Sud”. Timori ai quali il segretario Antonio Tajani risponde rafforzando la proposta dell’Osservatorio sull’autonomia differenziata: “Non sarà un gruppo di studio ma una struttura politica che dovrà fare valutazioni politiche ed eventuali iniziative qualora ci fossero distrazioni nell’applicazione della riforma”.

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