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Cronache

Cassazione, ‘il killer di Luca Sacchi mirò a organi vitali’

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“Valerio Del Grosso non solo aveva per primo concepito l’idea di commettere la rapina per sopperire al fallimento dell’operazione di compravendita di stupefacente, approfittando della contingente disponibilità da parte delle vittime di una rilevante somma di denaro, ma si era attivato per procurarsi un complice all’altezza, Paolo Pirino, ed una pistola con più colpi in canna, ed aveva manifestato nelle ore precedenti al tragico epilogo, una ferma determinazione a portare a compimento il piano criminoso”. E’ quanto scrivono i giudici della Cassazione nella sentenza con cui, nel maggio scorso, hanno reso definitiva la condanna a 27 anni per Del Grosso, accusato dell’omicidio di Luca Sacchi, avvenuto a Roma nell’ottobre del 2019. La Suprema Corte ha invece disposto un appello bis, al fine di aumentare la condanna, per Paolo Pirino, presente sul luogo del delitto con Del Grosso, e Marcello De Propris, accusato di aver fornito l’arma con cui è stato ucciso Sacchi, le cui condanne in secondo grado erano scese da 25 anni a 14 anni e 8 mesi.

Appello bis, fissato al 10 dicembre, anche per Anastasiya Kylemnyk, condannata a 3 anni per violazione della legge sugli stupefacenti, in quanto i giudici hanno giudicato carenti le motivazioni del secondo grado. Per la Cassazione Del Grosso “non solo ha sparato servendosi di un mezzo dotato di elevatissima efficacia lesiva da tutti conosciuta, ma aveva indirizzato li colpo, dopo avere mirato, verso gli organi vitali della vittima designata, effettivamente attinti, così da eliminare in modo diretto ed immediato l’ostacolo frappostosi alla riuscita del piano criminoso in corso e all’impossessamento dello zaino con il denaro da parte del complice. Per quanto riguarda la posizione di Anastasiya i Supremi giudici ritengono che in riferimento alla sua “consapevolezza in ordine all’attività illecita organizzata dal Princi le risposte fornite dalla Corte distrettuale sono incomplete. La sentenza impugnata non ha affrontato la quaestio facti relativa al momento in cui è intervenuta la partecipazione all’accordo di Kylemnyk nonostante la sua evidente decisività ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputata in ordine al reato contestato”. E ancora: la Corte di assise di appello “non ha preso esaustivamente in esame i rilievi articolati dalla difesa sull’assenza di adeguato sostegno probatorio alla prospettazione accusatoria” secondo cui Anastasiya “era presente all’incontro svoltosi il 18 ottobre 2019 a Casal Monastero”.

Secondo la Cassazione “non è spiegato, in definitiva, in che termini la disponibilità non preconcertata di Kylemnyk a partecipare, sia pure con un ruolo astrattamente rilevante, alla fase successiva all’accordo per consentirne la concreta esecuzione, abbia comunque contribuito alla realizzazione in forma collettiva del reato contestato, una volta dato per accertato che la consumazione era intervenuta prima ed indipendentemente dalla sua adesione”.

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Boccia indagata, perquisita la casa di Pompei: sequestrati telefono, pc, occhiali smart e altri supporti

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La procura di Roma ha disposto la perquisizione domiciliare, il sequestro del telefono cellulare e l’acquisizione di materiale informatico nei confronti di Maria Rosaria Boccia dopo la denuncia dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. L’attività istruttoria, anticipata da ‘Dagospia’, è stata confermata. Le indagini sono curate  dai Carabinieri del nucleo investigativo di Roma. Boccia è stata iscritta nel registro degli indagati, come scritto oggi da ‘Repubblica’.

In base a quanto si apprende la perquisizione è stata svolta nell’abitazione dell’imprenditrice a Pompei. Gli inquirenti avrebbero trovato in casa anche gli occhiali smart, utilizzati in passato da Boccia per effettuare una serie di filmati anche all’interno della Camera dei deputati. Quanto posto sotto sequestro verrà adesso analizzato dai carabinieri che hanno ricevuto la delega dai pm di piazzale Clodio.

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Tenta di difendere una donna rapinata, giovane ucciso a Mestre

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Questa sera doveva suonare con la sua crew, Flour Sound, aprendo il Veneto Blaze 18 al centro sociale Rivolta di Marghera, ma la vita di Giacomo “Jack” Gobbato, 26enne di Jesolo, si è spezzata ieri sera per un gesto di generosità. E’ stato accoltellato insieme ad un amico, Sebastiano, in pieno centro a Mestre, per difendere una donna da un uomo che stava tentando di rapinarla. Quando è giunto all’ospedale era già in fin di vita per i fendenti che gli sono stati inferti soprattutto all’addome ed è morto poco dopo nel pronto soccorso.

Meno gravi le condizioni di Sebastiano, colpito ad una gamba e già dimesso dai sanitari. Figlio di un imprenditore jesolano, la vittima si era diplomata al liceo artistico e da alcuni anni lavorava in uno studio di tatuaggi a Vicenza. Il presunto assassino è un cittadino moldavo di 40 anni che sembrerebbe non avere precedenti penali. L’uomo è stato fermato dalla squadra mobile per omicidio, poco dopo il fatto. Stamane si è tenuta una riunione di coordinamento convocata d’urgenza in Prefettura assieme a tutte le forze dell’ordine, alla quale ha partecipato anche il sindaco Luigi Brugnaro. “Questo è il momento del cordoglio e del dolore. Non ci sono parole” ha detto al termine dell’incontro.

I giovani del centro sociale Rivolta hanno annullato l’evento di stasera, organizzando invece un raduno di cordoglio, al quale hanno preso parte in 300 – compresi i genitori della vittima, l’amico Sebastiano e il sociologo Gianfranco Bettin – nel tardo pomeriggio. proprio al’altezza del liceo Guggenheim in Corso del Popolo dove è accaduto il fatto. “Giacomo è morto perchè non si è girato dall’altra parte- hanno scritto su Facebook – non ha fatto finta che tutto andasse bene, perchè era un fratello generoso che quotidianamente lottava contro le ingiustizie, per un mondo più giusto e senza discriminazioni”. Oggi a Mestre in Corso del Popolo i ragazzi che frequentano il centro sociale erano ammutoliti ed hanno preferito non commentare. “Era un ragazzo altruista, generoso – sottolinea per tutti Michele Valentini – e lo è stato fino alla fine”.

Significativo lo striscione che hanno esposto sul luogo del delitto, scandendo lo slogan “Jack è vivo e lotta insieme a noi. Le nostre idee non moriranno mai”. Sono stati i residenti della zona, svegliati dal trambusto, a chiamare le pattuglie della polizia che sono giunte immediatamente insieme ai mezzi di soccorso. Dal riserbo delle indagini, emergerebbe comunque che l’aggressore è stato bloccato a poca distanza dall’omicidio, mentre cercava un altro colpo, per portare via la borsa ad un’altra donna. “Il primo pensiero e omaggio va alla vittima e all’amico aggredito, che hanno dimostrato abnegazione e altruismo in aiuto di una persona in pericolo – ha commentato il prefetto di Venezia, Darco Pellos, sottolineando che nella valutazione degli investigatori “si tratta di un fatto isolato”.

L’intenzione del Rivolta è quella di porre con forza il tema della sicurezza a Mestre, da tempo una delle piazze più frequentate dello spaccio di droga, con iniziative che proseguiranno anche nei prossimi giorni. Per il presidente del Veneto, Luca Zaia, quanto avvenuto “è di una gravità inaudita. Un fatto sul quale sono sicuro che gli inquirenti sapranno fare luce rapidamente, anche a tutela di tutta la comunità”. La morte di Giacomo, afferma Monica Sambo, segretaria del Pd di Venezia, “questo episodio è l’ennesimo di una lunga sequenza che ormai dura da anni: questa città ha smarrito la propria anima nelle strade e nei palazzi”

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L’ora della giustizia per Giulia, al via il processo a Filippo Turetta

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E’ l’ora della giustizia per Giulia Cecchettin, a meno di un anno dal delitto consumatosi in un parcheggio di Fossò l’11 novembre dello scorso anno, con la fuga e l’abbandono del cadavere in Friuli e infine la cattura in Germania del suo omicida. Lunedì 23 settembre inizierà davanti alla Corte d’Assise di Venezia il processo a Filippo Turetta, il suo ex ragazzo, che con ogni probabilità però non sarà in aula. Una scelta coerente con la linea difensiva del suo legale, Giovanni Caruso, dai primi interrogatori fino alla decisione di rinunciare al passaggio in udienza preliminare optando per il giudizio immediato: nessuna ricerca di spettacolarizzazione della vicenda, che è diventata agli occhi della società e della politica come un caso emblematico della violenza di genere, che ha scosso e mobilitato le coscienze ma ha anche avuto cadute di stile e di comunicazione.

C’è, a detta del difensore, “un percorso di maturazione personale del gravissimo delitto commesso”, e la “volontà che la giustizia faccia il proprio corso nei tempi più rapidi possibili e nell’interesse di tutti” alla base della strategia processuale. La difesa, gli avvocati Caruso e Monica Cornaviera, non chiederà nemmeno la perizia psichiatrica, a meno di intenzioni diverse che emergano dal processo, evitando anche eventuali discussioni sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato. Turetta, che ha confessato il delitto dopo l’arresto, deve rispondere di omicidio volontario, aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza e stalking, oltre che di occultamento di cadavere, reati per cui rischia l’ergastolo. Un solo teste sarà chiamato a deporre per Turetta, il medico legale Monica Cucci, mentre una trentina sono quelli del pm Andrea Petroni, la metà carabinieri che hanno condotto le indagini, il padre di Giulia, Gino, la sorella Elena e le amiche, poi i consulenti medico legali e l’uomo che aveva chiamato il 112 segnalando la lite e la prima aggressione in ordine cronologico nel parcheggio vicino alla casa dei Cecchettin, a Vigonovo.

La parte civile per la famiglia Cecchettin non ha depositato liste di testimoni. I comuni di Fossò e di Vigonovo, il paese dove abita la famiglia Cecchettin, hanno dato incarico a legali per una costituzione in giudizio, che verrà valutata dal collegio. Di basso profilo è anche la scelta del luogo del processo, l’aula della nuova Cittadella di Giustizia in piazzale Roma. Inagibile la storica aula di Rialto, non si è optato per la più grande aula bunker di Mestre, teatro dei grandi processi veneziani. Il presidente del collegio, Stefano Manduzio, ha ritenuto sufficienti i 18 posti per le parti processuali più le 40 suddivise in egual misura tra pubblico e giornalisti, con le riprese video affidate alla sola Rai. E’ comunque prevedibile che al di fuori del palazzo vi sia una folta partecipazione di pubblico, interessato alla vicenda processuale. Ed è ipotizzabile che il “cuore” del giudizio sia la premeditazione del delitto da parte di Turetta, basato sulla sua “ossessiva pretesa” di laurearsi insieme a Giulia, al non rassegnarsi sulla fine della relazione. Nei suoi interrogatori, aveva ammesso di aver portato in macchina la notte del delitto due zainetti, uno con alcuni regali, l’altro con un kit per il delitto. Verrà ripercorsa la vicenda tragica con la fuga di otto giorni di Filippo, conclusasi in Germania, che tenne col fiato sospeso l’Italia, suscitando poi un moto di partecipazione al dolore dei Cecchettin, e di rabbia per i femminicidi, che non sono diminuiti.

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