Il vulcano è la culla del caos, il fuoco che lo abita è forza creatrice che forgia la materia. Dalla pietra lavica del Vesuvio, unita all’estro creativo, hanno origine le sculture di Antonio Carotenuto, talentuoso scultore e pittore napoletano di Boscotrecase. Cresciuto alle pendici del Vesuvio, con quella materia stabilisce fin da giovane un legame indissolubile. “Usando la pietra lavica nelle mie sculture racconto la mia storia, la mia biografia”. Antonio ha un carattere schivo e riservato. Nell’era dei social e dell’esposizione mediatica a qualunque costo, rinuncia volentieri alle luci della ribalta. Per lui, però, parlano le sue opere. La pietra del vulcano, levigata e nerissima, lavorata dalle sapienti mani di Carotenuto, acquisisce una forma morbida e una lucentezza in grado di valorizzare i soggetti delle sculture, spesso animali o elementi naturali.
Allievo di Augusto Perez e Angelo Vetere, Carotenuto ha studiato scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Oggi è docente di Arte e Immagine all’Istituto Comprensivo IC1 Prisco di Boscotrecase. Dal 24 ottobre e fino al 17 novembre, alcune delle sue opere sono esposte al Real Orto Botanico della Reggia di Portici, per la mostra d’arte contemporanea “Orto Arte”. Poi, appena il Covid lo consentirà, Antonio girerà l’Italia con una mostra itinerante, “Strada facendo”, una serie di ciottoli che racconteranno la sua vita di artista. Un tuffo nel passato, quando da ragazzo camminava scalzo per le strade in ciottoli del vesuviano, dando vita a quel legame viscerale con la materia che lo avrebbe iniziato all’arte e alla scultura.
Carotenuto, partiamo dalla pietra lavica, protagonista indiscussa delle sue opere.
La pietra lavica l’ho sempre preferita al bronzo e agli altri materiali per un motivo molto semplice: io sono vesuviano, sono cresciuto a Boscotrecase, a metà fra il mare e il Vesuvio. La mia infanzia e la mia adolescenza le ho trascorse a contatto con la materia, ho giocato a calcio nei terreni abbandonati, in mezzo a sabbia e pietra lavica. L’ho toccata, vissuta, sentita sulla pelle, è parte di me. Impiegarla per le sculture significa raccontare la mia storia, farne una sorta di autobiografia.
Quando iniziò ad impiegare la pietra lavica? Che cosa la differenzia da altri materiali?
Ero ai primi anni di Accademia, dovevo partecipare ad un concorso di arte sacra. Pensai subito alla pietra lavica. Andai a prenderla con mio padre in una cava e iniziai a modellare quella prima pietra con gli attrezzi rudimentali di cui disponevo. Quella scultura piacque molto, il risultato fu soddisfacente. Mi innamorai subito di quell’effetto levigato, la pietra è assieme scura e liscia. Un effetto che mi ricordava molto il metallo. Si lascia lavorare ma è dura, granitica, più resistente del marmo. Tende a sfaldarsi con facilità.
Come prende vita una sua opera? Ci parli del processo creativo.
Non è semplice rispondere alla sua domanda. Forse è intuizione, qualcosa che viene da dentro. Devi essere in sintonia con la materia che stai lavorando e con l’idea che hai in testa. Quando provi a realizzare una scultura, la capacità tecnica è fondamentale, ma non basta. Il mio maestro Augusto Perez diceva sempre che non basta manipolare la materia, devi riuscire a darle vita.
Che cos’è per lei il talento?
Per me il talento è soprattutto avere sensibilità verso quello che si sceglie di fare. Una particolare sensibilità nel leggere le cose che abbiamo attorno a noi. L’artista è un grande osservatore e la realtà è come un grande libro da cui estrapoliamo in continuazione fatti, atteggiamenti, tutte le cose che attirano la nostra attenzione.
Che peso ha avuto la città di Napoli nella sua formazione artistica?
A Napoli ci ho fatto l’Accademia, crescendo in un clima molto stimolante. Ho avuto l’immensa fortuna di avere Augusto Perez come maestro, lui è una pietra miliare, per me e per Napoli è stato importantissimo. Vitaliano Corbi mi ha guidato nelle prime esperienze artistiche. Loro due hanno contraddistinto la mia prima fase napoletana, poi mi sono spostato tra Milano e Bologna, staccandomi da Napoli.
In che cosa differisce l’arte di oggi da quella dei suoi inizi?
Oggi siamo chiusi nell’individualismo, ci sono i grandi eventi, le trovate geniali, le mostre per un pubblico che è sempre meno competente e attento. È l’epoca del consumo e del distacco dall’arte, quel fermento culturale del secolo scorso è scomparso. Siamo proiettati verso altre cose, non si vive più l’arte come prima, non ci si ferma a contemplarla, a discuterne. Oggi l’arte è per pochi, le grandi opere sono appannaggio di pochi artisti che fanno un lavoro mediatico, fatto di sponsorizzazioni, di comunicazione, si lavora su questo. Non c’è più chi ti commissiona un’opera, non c’è più il gallerista che ti corre dietro come avveniva trent’anni fa. La verità è che fare l’artista oggi non è per niente facile.
Che cosa consiglierebbe ad un ragazzo che vuole vivere facendo l’artista?
Io ho seguito la mia passione, quella sensibilità di cui parlavo prima, e forse ad un giovane darei lo stesso consiglio. Credo però che sia complicato, l’arte sta cambiando anche nei materiali, nelle modalità di rappresentazione; oggi si parla di installazioni, arte digitale, il mondo va in una direzione diversa. Perseguire la strada della materia, quella che io iniziai a manipolare trent’anni fa, non so se potrebbe essere un buon consiglio oppure rivelarsi un vicolo cieco, qualcosa che non ti porta da nessuna parte. Non so se sarei in grado di dire ad un ragazzo: “se hai talento persegui questa strada, puoi farcela”. È una responsabilità troppo grande.
In questi giorni si parla molto dell’opera di Jago a piazza del Plebiscito, un feto abbandonato a se stesso che è molto simile ad una sua scultura, “mi sono perso per strada”. Che cosa ne pensa?
Ricorda molto il mio lavoro, indubbiamente. Il talento e le capacità di Jago non si discutono, è bravissimo. Ma vedere quell’opera così simile alla mia, sia nella forma che nel significato, mi ha fatto sentire sconfitto come uomo e come artista. Le opere poi parlano da sole, non devo essere io a denunciare una cosa del genere. Ho visto quel bimbo buttato sui ciottoli e mi ha ricordato il mio. “Mi sono perso per strada” l’ho realizzata all’inizio del 2019 e l’ho postata su Facebook nel mese di agosto dello stesso anno. L’intenzione era di provocare un’emozione forte, rappresenta lavita interrotta di un feto abbandonato per strada.
L’opera di Carotenuto del 2019
Jago , Lockdown piazza Plebiscito
Ha progetti in cantiere per i prossimi mesi?
Pochi giorni prima del lockdown avevo stampato un catalogo contenente una serie di immagini di ciottoli, piccole opere (10x10x15) accompagnate da versi, che avrei portato in giro per l’Italia, una mostra itinerante che avrebbe dovuto chiamarsi “Strada facendo”. Poi il Covid mi ha costretto a rimandare il progetto. Si tratta di una raccolta di diciassette pezzi, un percorso autobiografico ed esistenziale, una serie di ciottoli che mi consentono di raccontare brandelli della mia vita, a partire dalla strada percorsa. È un progetto che mi entusiasma molto e mi riporta alle origini, alle strade in ciottoli del vesuviano che calpestavo scalzo e che hanno forgiato quel rapporto diretto e indissolubile fra me e la materia.
(Tutte le opere d’arte raffigurate nelle foto costituiscono solo una piccola parte della produzione artistica di Antonio Carotenuto. Il materiale fotografico pubblicato fa parte del catalogo “Stradafacendo” presentato dal critico d’arte Antonella Nigro)
Un tycoon delle criptovalute sta per mangiare la banana appiccicata alla parete di Maurizio Cattelan. Pagando 6,2 milioni di dollari da Sotheby’s, il collezionista Justin Sun, fondatore della piattaforma Tron, ha battuto altri sei concorrenti per una di tre edizioni dell’opera concettuale Comedian creata nel 2019 dall’artista padovano celebre in tutto il mondo per le sue provocazioni. Sun, che nella sua raccolta ha un Giacometti da 78 milioni comprato nel 2021, ha seguito l’asta da Hong Kong e pagato in criptovalute. Dopo aver messo le mani su Comedian ha fatto sapere che “nei prossimi giorni mangerà la banana come parte di questa unica esperienza artistica, onorandone il ruolo sia nella storia dell’arte che nella cultura pop”.
La banana in questione era stata acquistata poche ore prima dell’asta per 35 centesimi da un banchetto di frutta e verdura dell’Upper East Side: assieme al nastro adesivo grigio che l’attacca alla parete, deve essere sostituita regolarmente e questo fa parte del progetto di Cattelan che aveva inteso Comedian come una satira delle speculazioni del mercato: “Su che base un oggetto acquista valore nel sistema dell’arte?”, si era chiesto l’artista famoso per America, il water d’oro massiccio installato nel 2016 al Guggenheim. Piu’ di recente lo stesso Cattelan aveva aggiunto che “l’asta sara’ l’apice della carriera di Comedian. Sono ansioso di vedere quali saranno le risposte”.
Comedian aveva debuttato ad Art Basel Miami dove la galleria Perrotin ne aveva venduto le tre edizioni, due per 120 mila dollari e la terza per 150 mila, pagati da un anonimo acquirente che l’aveva poi donata al Guggenheim. Durante la fiera, l’artista delle performance David Datuna ne aveva mangiata una, costringendo Perrotin a chiudere lo stand prima del tempo. Un’altra banana era stata mangiata l’anno scorso da uno studente d’arte sudcoreano nel museo della fondazione Samsung a Seul: il giovane si era giustificato dicendo che “aveva fame”. Uno dei concetti alla base dell’installazione e’ che le sue parti devono essere continuamente rigenerate.
“Non è solo un’opera d’arte,” ha dichiarato Sun a Sotheby’s: “Comedian è un fenomeno culturale che collega i mondi dell’arte, dei meme e della comunità delle criptovalute e che ispirerà ulteriori discussioni in futuro”. Fatto sta che gia’ prima di essere messa all’asta, la banana è stata oggetto di attenzione quando, all’inizio di novembre, l’executive di Sotheby’s Michael Bouhanna ha lanciato anonimamente una criptovaluta ispirata a Cattelan e denominata $Ban.
Immediatamente accusato di aver usato informazioni riservate per guadagnare sull’aumento del prezzo del token, l’executive ha negato, dichiarando di aver “scelto di lanciarlo per hobby in modo anonimo”, senza associazioni quindi con il suo profilo personale. Due rivali di Sun all’asta di Sotheby’s avevano investito nella cripto di Bouhanna. Uno dei due, Theodore Bi, voleva comprare Comedian come dono per Elon Musk ma si era fermato alla soglia dei 2,5 milioni di dollari.
Dopo sei anni di chiusura, la Casa della Fontana Piccola di Pompei riapre al pubblico, rivelando nuovamente tutta la sua bellezza. Questo straordinario esempio di architettura pompeiana torna a incantare i visitatori con i suoi affreschi, i colori vividi e una fontana unica, simbolo dell’arte e della cultura dell’antica città.
Un esempio di eleganza pompeiana
La Casa della Fontana Piccola è un autentico capolavoro. I suoi affreschi murari, con il celebre rosso pompeiano, e le decorazioni ricche di dettagli, raccontano la vita e i costumi dell’epoca. Ma ciò che rende davvero speciale questa dimora è la fontana visibile già dall’ingresso. Si tratta di un’opera d’arte decorata con tessere di pasta vitrea e valve di mollusco, con un sistema che faceva sgorgare acqua dalla bocca di una maschera tragica in marmo e dal becco di un’oca tenuta da un amorino in bronzo.
Storia e particolarità della domus
Costruita unendo due abitazioni precedenti, la casa aveva due ingressi su via di Mercurio, simbolo dello stato sociale elevato dei proprietari. Danneggiata dal terremoto del 62 d.C., fu quasi completamente affrescata in IV stile pompeiano, pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio. Le pareti laterali del peristilio presentano paesaggi mozzafiato, tra cui una veduta di città marittima, un tema molto in voga nella decorazione di giardini.
Esplorata tra il 1826 e il 1827 dall’architetto Antonio Bonucci, direttore degli scavi, la casa sarebbe appartenuta a Helvius Vestalis, un pomarius (mercante di frutta), secondo un’iscrizione elettorale trovata sulla facciata.
I restauri e gli interventi strutturali
La casa è stata oggetto di importanti lavori di restauro per preservarne la struttura e garantirne la sicurezza. Tra gli interventi principali:
Rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, utilizzando materiali innovativi come il fibrorinforzo (FRP).
Impermeabilizzazione dei solai per prevenire infiltrazioni.
Revisione delle coperture, inclusa quella del peristilio, per proteggere la casa dagli agenti atmosferici.
Le coperture, già restaurate nel 1971, sono state riportate all’altezza originaria per restituire l’antica volumetria della dimora.
L’iniziativa “Raccontare i cantieri”
Con la riapertura della Casa della Fontana Piccola, prende il via una nuova stagione di “Raccontare i cantieri”, giunta alla sua quarta edizione. Ogni giovedì, fino al 17 aprile 2025, i possessori della MyPompeii Card potranno visitare i cantieri di restauro in corso nel Parco Archeologico, iniziando proprio dalla Casa della Fontana Piccola.
Conclusione
La riapertura della Casa della Fontana Piccola rappresenta non solo un recupero storico di grande valore, ma anche un’occasione per riflettere sulla continua necessità di valorizzare e preservare il nostro patrimonio culturale. Un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della storia e dell’archeologia.
Il Gruppo del Gusto della Stampa Estera ha scelto L’Aquila per celebrare il 20° Premio dedicato all’eccellenza agroalimentare italiana, un traguardo prestigioso che quest’anno rende omaggio a Marino Niola, antropologo e divulgatore scientifico, nella categoria “Divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana”.
Il contributo di Marino Niola all’antropologia della gastronomia
Marino Niola (nella foto Imagoconomica in evidenza) , nato a Napoli nel 1953, è un antropologo della contemporaneità, noto per i suoi studi sulle pratiche devozionali, le trasformazioni culturali legate alla globalizzazione e, soprattutto, per il suo contributo alla comprensione dei riti e simboli della gastronomia contemporanea.
Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Niola insegna discipline come Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea. È inoltre editorialista de La Repubblica, dove cura la rubrica “Miti d’oggi” sul Venerdì, e collabora con testate nazionali e internazionali come Il Mattino e Le Nouvel Observateur.
Tra i suoi numerosi saggi, si ricordano titoli come:
Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina (2009)
Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari (2015)
Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017)
Mangiare come Dio comanda (2023).
Queste opere riflettono il suo impegno nel valorizzare la cultura alimentare italiana, esplorando le radici antropologiche e culturali che legano il cibo alle identità locali e nazionali.
Il Premio del Gruppo del Gusto
Il Premio del Gruppo del Gusto, giunto alla sua 20ª edizione, si propone di valorizzare e promuovere l’agroalimentare italiano a livello internazionale, grazie alla partecipazione di giornalisti esteri provenienti da 34 Paesi e 5 continenti. Marino Niola è stato selezionato per la sua capacità di divulgare l’autenticità e la tradizione agroalimentare italiana, combinando rigore scientifico e passione narrativa.
La cerimonia a L’Aquila
La premiazione si terrà sabato 23 novembre, alle ore 18, nella Sala ipogea del Consiglio Regionale d’Abruzzo, a L’Aquila. Durante l’evento, verranno premiate altre eccellenze del settore, tra cui:
Tenuta Vannulo (categoria “Esercizio legato all’alimentare da almeno 100 anni della stessa famiglia”);
Cooperativa Altopiano di Navelli (categoria “Consorzio/cooperative a difesa dei valori agroalimentari italiani”);
Associazione PIZZAUT (Premio speciale della giuria per l’inclusione lavorativa di giovani autistici).
L’importanza del riconoscimento
Il premio a Marino Niola sottolinea l’importanza di valorizzare le eccellenze italiane, non solo nella produzione agroalimentare, ma anche nella capacità di raccontare il legame profondo tra cibo, cultura e identità. L’impegno di Niola nel promuovere la dieta mediterranea e nel raccontare le tradizioni culinarie italiane lo rende una figura chiave nella diffusione internazionale del patrimonio enogastronomico italiano.
Grazie al suo lavoro, il professor Niola contribuisce a consolidare l’immagine dell’Italia come culla di tradizioni culinarie uniche e radicate nella storia. Questo premio rappresenta un ulteriore riconoscimento del suo ruolo cruciale come ponte tra antropologia, cultura e divulgazione enogastronomica.