Il 23 maggio si celebra il ventottesimo anniversario della Strage di Capaci. Una carneficina in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Una commemorazione che, a causa delle restrizioni per il Covid-19, avrà luogo in rete ed in televisione, senza cortei per le strade di Palermo. Salvatore Calleri, presidente della Fondazione di studi sulla mafia Antonino Caponnetto, ci ha spiegato quanto sia importante alimentare il ricordo di Falcone e delle altre vittime delle stragi, in una fase storica in cui di mafia non si sente più parlare e la lotta alle mafie registra drammatici passi indietro.
Qual è l’eredità più importante di Falcone? Cosa resta oggi del suo messaggio?
A parole resta molto, tutti lo omaggiano oggi, anche quelli che all’epoca lo isolarono. Nei fatti, però, oggi noi assistiamo al depotenziamento delle sue intenzioni e dei punti cardine della lotta alla mafia.
Che cosa manca per arrivare alla verità processuale sulle stragi?
I processi ci han raccontato molto, ma non tutto. Manca ancora la verità sulle parti deviate dello Stato.
Che cosa hanno significato le stragi del ’92 per la storia dell’Italia?
Hanno significato molto; la mia generazione, ossia la generazione X, ne è stata segnata. Ne abbiamo vissuto sia il dolore che la rivalsa. La lotta contro la mafia troverà nuovo vigore per continuare a combattere in nome dei caduti del biennio 92-93.
Qual è lo stato dell’arte della lotta alla mafia nel nostro Paese?
Pessimo. Siamo tornati indietro di trent’anni. Si stanno mettendo in discussione i pilastri della legislazione antimafia nati dalle stragi. Si ammorbidisce il 41bis, si mira ad eliminare le interdittive antimafia e si mettono in dubbio gli scioglimenti dei Comuni per mafia. Infine si scarcerano i mafiosi, com’è avvenuto in questi ultimi mesi. Il papello di Riina sta trovando attuazione.
Come si esce dall’inerzia in cui siamo caduti? È mai possibile che solo eventi drammatici riescano a scuotere le coscienze in questo Paese?
Se ne esce soltanto combattendo. Dobbiamo rimettere la lotta alla mafia al primo posto, una mafia che oggi, grazie alla pandemia, è più forte di prima. Oggi dobbiamo riparlare di mafia in modo giusto; non dobbiamo abbassare la guardia.
Quale crede sia il cambiamento più significativo che ha riguardato la mafia in questi trent’anni?
La mafia muta adattandosi: è come un virus. Spara sempre per utilità e non per terrorismo… Ma spara. È arcaica e moderna al contempo. Oggi la mafia si camuffa perfettamente all’estero dove vive benissimo e dove mancano le norme antimafia. La mafia oggi è internazionale.
Le chiedo un commento sul trasferimento d’ufficio del pm Cesare Sirignano deliberato dal Csm.
Sono rimasto sorpreso ed amareggiato. Il Csm, a due giorni dal ricordo di Falcone, interviene contestando l’isolamento a suo tempo da lui subito. D’altronde nel 1988 il Csm di allora contribuì all’indebolimento di Falcone nominando un altro magistrato al posto che fu di Caponnetto. Oggi il Csm toglie dalla Dna il miglior esperto di Agromafie in Europa, Cesare Sirignano, isolandolo ed indebolendolo. Il Csm commette a mio modesto parere un errore. Il tempo sarà galantuomo. Cesare Sirignano non verrà lasciato solo: è l’insegnamento di Caponnetto.
Le stragi erano parte di una strategia ricattatoria; quante analogie ci sono, con le dovute proporzioni, con le rivolte delle carceri dello scorso marzo? C’è ancora in piedi una trattativa?
A mio modesto parere le rivolte sono state usate dai mafiosi. Chi può indaghi sulla trattativa che potrebbe esserci stata.
E’ la connivenza con una parte delle istituzioni che spiega la longevità delle mafie in Italia?
Le mafie sono come il pesce. La politica è come l’acqua. Il pesce senza l’acqua non sopravvive. Non è una frase mia, l’autore non me lo ricordo, ma rende bene l’idea.