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Brasile nel caos, Bolsonaro cambia mezzo governo e i vertici delle Forze Armate

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Terremoto politico in Brasile, gia’ in ginocchio per la pandemia. Jair Bolsonaro procede ad un rimpasto di governo per provare a scrollarsi di dosso le critiche per la pessima gestione del Covid tentando di compiacere gli alleati del ‘Grande centro’, unico scudo politico contro le richieste di impeachment pendenti contro di lui alla Camera, e garantirsi al contempo l’appoggio dell’ala piu’ radicale delle Forze armate. Dopo aver incassato le dimissioni del ministro degli Esteri Ernesto Araujo e del ministro della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva, il presidente brasiliano ha cambiato altri quattro ministri, garantendo l’entrata della deputata centrista Flavia Arruda e piazzando al ministero chiave della Difesa il generale Walter Souza Braga Netto, piu’ in linea del suo predecessore con le posizioni autoritarie del presidente. Braga Netto ha rimosso subito i comandanti delle tre Forze armate, Edson Pujol (Esercito), Ilques Barbosa (Marina) e Antonio Carlos Moretti (Aeronautica), che avevano messo gli incarichi a disposizione del nuovo ministro. E’ la prima volta dalla dittatura militare che i comandanti delle tre Forze armate vengono rimossi tutti insieme senza un cambio di governo. La notizia ha colto di sorpresa gli osservatori in quanto si attendeva la rimozione solo di Pujol, mostratosi insofferente alle pressioni di Bolsonaro di associare le Forze armate al suo governo. Pujol e’ stato anche attaccato da Bolsonaro per aver criticato la nomina del generale Eduardo Pazuello a ministro della Salute in piena emergenza sanitaria. Ma i fatti gli hanno dato ragione: il presidente e’ stato infatti costretto a sostituire Pazuello, quarto ministro della Salute dall’inizio della pandemia, con il cardiologo Marcelo Queiroga, che sembra aver cambiato rotta rispetto alla strategia negazionista del governo dichiarandosi favorevole alle misure di isolamento e alla vaccinazione di massa. Bolsonaro e’ fortemente criticato da molti governatori e dai sindaci delle piu’ importanti citta’ del Paese – dove contagi e morti aumentano a causa della variante di Manaus e le terapie intensive sono al massimo dell’occupazione – per la gestione caotica della pandemia e per le sue continue esternazioni antiscientifiche. Al coro delle critiche si e’ unita di recente anche la voce dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, che ha accusato Bolsonaro di essere “responsabile del piu’ grave genocidio della storia del Brasile”. Dopo la cancellazione delle condanne inflittegli nella Tangentopoli brasiliana, Lula e’ tornato al centro della scena politica e il suo consenso e’ in aumento. “Non ho mai visto il popolo brasiliano soffrire cosi’ tanto come oggi. Si muore nelle corsie degli ospedali, e’ tornata la fame”, ha rincarato Lula, che sembra sempre piu’ intenzionato a sfidare Bolsonaro alle presidenziali del 2022. L’attuale capo di Stato di estrema destra non nasconde di puntare alla rielezione ma dopo un anno di pandemia la sua popolarita’ e’ offuscata e le sue possibilita’ di un secondo mandato cominciano a vacillare. Il Brasile ha superato la soglia dei 300 mila morti, e’ il Paese dove si muore di piu’ al mondo per il Covid-19 con una media di 2.400 morti giornalieri, e sta affrontando una grave crisi economica. Elementi che rischiano di ampliare ulteriormente la forbice sociale. Il Pil e’ calato del 4,1%, la disoccupazione e’ intorno al 14% e quasi 15 milioni di famiglie vivono sotto la soglia di poverta’. Un dato allarmante per un Paese che un decennio fa era la locomotiva trainante dell’America latina. Il governo Bolsonaro e’ intervenuto garantendo un sussidio mensile di emergenza di 600 reais, circa 100 euro, ma il programma di aiuti federali e’ stato sospeso alla fine del 2020. Forse riprendera’, in maniera ridotta, ad aprile. Ma l’emergenza sanitaria in Amazzonia, con le terribili immagini degli ospedali di Manaus senza piu’ ossigeno da somministrare ai pazienti Covid e le ruspe al lavoro giorno e notte nei cimiteri per scavare fosse comuni, il ritardo nell’acquisto dei vaccini, dopo averne negato l’utilita’ in maniera sprezzante, hanno messo Bolsonaro all’angolo. Una terza ondata pandemica, da molti virologi ritenuta inevitabile, potrebbe decretare la fine politica dell’ultimo leader negazionista alla guida di un grande Paese dopo la sconfitta elettorale di Donald Trump.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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