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Politica

Boccia non molla la presa su Arianna Meloni

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Maria Rosaria Boccia non molla la presa su Arianna Meloni, alimentando così i sospetti che il vero bersaglio possa andare oltre l’ex ministro Gennaro Sangiuliano. L’imprenditrice, dopo le rivelazioni di Bianca Berlinguer da lei solo parzialmente smentite, torna a parlare della presunta telefonata tra Sangiuliano e la sorella della premier, che a suo dire potrebbe essere alla base della decisione di stoppare la sua nomina a consigliere del ministero. “La domanda è sempre la stessa – scrive su Instagram -: come è stato possibile che un decreto di nomina sia stato strappato senza lasciare traccia? E qual è il motivo? È stato per un capriccio della moglie di Sangiuliano? Perché c’era un’incompatibilità di curriculum? (Il ministro al TG1 ha detto di no). Perché c’era un conflitto di interesse con la mia azienda? (Se così fosse, anche tutti gli altri consiglieri avrebbero un conflitto).

È avvenuto dopo il dialogo con Arianna Meloni? (Il ministro mi chiamò subito dopo e mi chiese di vederci per raccontarmi il contenuto della conversazione)”. Nel nuovo post, dunque, Boccia, confutando le prime tesi, sembra accreditare quest’ultima ipotesi, aggiungendo un particolare in più, che lascerebbe pensare al fatto che sia a conoscenza del contenuto di quella conversazione e che aspetti il momento giusto per rivelarlo, forse in una nuova comparsata televisiva. Secondo le indiscrezioni, l’accusa potrebbe riferirsi a un intervento di Arianna Meloni per sconsigliare di procedere con la nomina di Boccia, che era già nota negli ambienti di Fratelli d’Italia ed era ritenuta inaffidabile. Comunque sia, un’altra donna finisce nel mirino, dopo la moglie dell’ex ministro che in una conversazione con il marito, ascoltata al telefono dall’imprenditrice, avrebbe spinto per lo stop alla nomina. In quel dialogo, secondo Boccia, ci sarebbe anche la testimonianza che lei non aveva una relazione con Sangiuliano, come da lui affermato. Da qui tutte le indiscrezioni sul fatto che altre donne e altri politici possano essere coinvolti e sull’esistenza di foto compromettenti nei cassetti di qualche redazione, che metterebbero ulteriormente in fibrillazione i palazzi del potere.

Il partito della premier mantiene per lo più il silenzio, preferendo non alimentare le polemiche, ma il deputato Luca Sbardella attacca Berlinguer protagonista – a suo dire – “di uno squallido giornalismo spazzatura”. “Dopo aver incassato dalla Boccia un imbarazzantissimo forfait – afferma – ha provato a trascinare nel battibecco un soggetto terzo, come Arianna Meloni. Finendo poi con l’essere smentita dalla stessa Boccia”. Quest’ultima, intanto, attacca la stampa perché – sostiene – si occupa della sua vita privata spostando “l’attenzione dalla verità su un decreto stracciato”. E pubblica i documenti che dimostrano l’esistenza dei suoi incarichi universitari, dopo che la Federico II di Napoli ha smentito che sia titolare di alcuna cattedra, a differenza di quanto riportato sul suo account Linkedin, che ora non risulta più consultabile. Anche l’Università Vanvitelli smentisce che sia docente, spiegando che ha realizzato solo un “intervento a titolo gratuito”.

Nel frattempo, Sangiuliano, rientrato in Rai dopo le dimissioni da ministro, ha avuto in assegnazione provvisoria una stanza nella sede di Rai Vaticano a Borgo Sant’Angelo. L’ex direttore del Tg2, che ha incontrato i vertici di Viale Mazzini nei giorni scorsi, dovrebbe smaltire nei prossimi mesi il monte ferie che ha a disposizione e per il momento resta a disposizione dell’amministratore delegato Roberto Sergio, in attesa di conoscere il futuro incarico: si parla della guida di una testata, della direzione generale della Tv di San Marino, dell’affidamento al Centro Studi. La decisione verrà probabilmente presa solo dopo che si sarà sbloccata la trattiva sulle nomine e si sarà definito il futuro dei vertici Rai.

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Draghi contro i falchi: il debito comune è necessario

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Le critiche di Berlino e dei falchi del Nord sono arrivate forti e chiare, la risposta di Mario Draghi non poteva essere da meno. Nel giorno della nascita della nuova Europa targata Ursula von der Leyen, l’ex premier ha colto l’occasione dell’Aula di Strasburgo al gran completo per dare ancora una volta la scossa alla politica continentale, tornando a riaffermare il ruolo cruciale di nuovi eurobond per dare vita a quel doppio piano Marshall necessario a rilanciare la competitività. “Chi si oppone al debito comune, si oppone agli obiettivi Ue”, è stato l’attacco frontale dell’ex numero uno dell’Eurotower, che ha voluto sottolineare come quegli stessi obiettivi siano “già stati concordati da tutti”, parte dell’impegno a partecipare alla casa comune. Arrivato davanti alla plenaria dell’Europarlamento poco prima delle due di pomeriggio, Super Mario ha rivolto agli eurodeputati lo stesso messaggio deciso già espresso a Bruxelles e a Milano nei giorni scorsi. In gioco, ha rimarcato, c’è “il destino” dell’Europa che, davanti alla sfida lanciata da Stati Uniti e Cina, rischia di diventare nel tempo “meno prospera, meno equa, meno sicura” e “meno libera di scegliere” per se stessa.

Una prospettiva che tiene “tutti in ansia”, è stata la nuova sottolineatura dell’ex governatore prima di illustrare i punti principali di un report che vuole essere bussola e ‘trait d’union’ delle rinnovate politiche di von der Leyen. Svelando la sua nuova rosa, la tedesca ha ribadito la volontà di seguirne “le raccomandazioni” per un’Europa “più fluida, più interconnessa, più coordinata”. Un impegno riflesso in tutte le lettere di missione con le quali la tedesca ha investito i suoi nuovi commissari designati, chiamati ad attingere a piene mani dal documento redatto da Draghi e dal report complementare sul mercato unico firmato Enrico Letta. Ai vertici di Palazzo Berlaymont, le indicazioni dell’ex presidente della Bce si rintracciano nei compiti affidati al nuovo vicepresidente esecutivo per la Politica industriale, il francese Stéphane Séjourné, e alle colleghe parigrado Teresa Ribera e Henna Virkkunen, responsabili – nel caso della spagnola – di mantenere la coerenza sulle politiche green Ue e ridisegnare le regole sugli aiuti di Stato per favorire i progetti di interesse comune (Ipcei), e – nel caso della finlandese – di cambiare marcia sullo sviluppo in-house di cloud, IA, capacità di calcolo e chip quantistici.

Nessun riferimento esplicito a quel debito comune inviso alla stessa von der Leyen, consapevole dell’opposizione dei frugali e di Berlino resa manifesta dal ministro delle Finanze, Christian Lindner. La sfida davanti allo sforzo finanziario titanico (servono 750-800 miliardi l’anno di investimenti aggiuntivi tra pubblico e privato) necessario a tradurre le ambizioni dell’Ue in realtà è però ineludibile. Per ora, il fulcro dei finanziamenti legati alla competitività sarà nelle mani del rigorista dei conti pubblici, Valdis Dombrovskis, chiamato a garantire “coerenza” tra le politiche di bilancio dei Ventisette ma anche responsabile – insieme a Séjourné – dello sviluppo di “un nuovo strumento di coordinamento” legato al “futuro fondo europeo per la competitività”. Le preoccupazioni e i dubbi sul debito comune sono “legittimi”, ha concesso Draghi, ma questo sforzo “non è per la spesa pubblica generale o per i sussidi”, ma “per realizzare gli obiettivi fondamentali” comuni. “A me – l’ammonimento finale – spetta il compito di presentare la diagnosi. A voi, rappresentanti eletti, quello di tradurre questo programma in azione”. Superando “le divisioni” e trovando “un consenso”.

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Esodo da Azione per campo largo, dopo Costa vanno via anche Gelmini e Carfagna

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Il campo largo, seppur ancora in fase embrionale, fa perdere pezzi a Azione: quattro addii in 48 ore. Le alleanze per le regionali con Pd, Avs e M5s e la prospettiva nazionale di un’intesa di centrosinistra innescano l’esodo degli ex forzisti dal partito di Carlo Calenda: dopo il deputato Enrico Costa, tornato tra gli azzurri, è la volta delle ex ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna e della senatrice Giusy Versace. “La decisione di entrare nel campo largo in un’alleanza che comprende il Movimento 5 Stelle e la sinistra di Bonelli e Fratoianni nelle tre regioni che andranno al voto in autunno, mi costringe a prendere atto con rammarico che non posso rimanere”, spiega Gelmini dopo un lungo faccia a faccia con Calenda.

Dura la risposta del partito: “Rispettiamo le scelte personali ma riteniamo grave e incoerente passare dall’opposizione alla maggioranza a metà legislatura contravvenendo così al mandato degli elettori”. In Azione si prende atto “con rammarico della decisione di Mariastella Gelmini, Giusy Versace e Mara Carfagna di lasciare un partito che le ha accolte e valorizzate in un momento particolarmente critico del loro percorso politico”. Una nota in cui si può leggere in controluce tutta l’amarezza e il disappunto di Calenda che aveva nominato le ex ministre una presidente e una portavoce del suo partito. Gelmini parla di un “confronto sereno e leale” con il leader di Az, nei cui confronti “la stima e la gratitudine restano immutati”.

“Non provengo dalla sinistra e non intendo aderirvi adesso: ero e resto una moderata popolare e continuerò con linearità le medesime battaglie”. Ora andrà ad ingrossare le file del gruppo misto del Senato, ma a livello politico voci insistenti parlano di un suo prossimo passaggio a Noi Moderati con Maurizio Lupi. Un’ipotesi molto accreditata in ambienti parlamentari, che coinvolgerebbe anche Carfagna. Ma i rispettivi staff non confermano. In giornata va via anche Versace: “Già prima dell’estate avevo manifestato a Carlo Calenda il mio disagio, nonché il mio disappunto rispetto all’ipotesi di aderire a un campo largo anche in Liguria.

Le scelte politiche, benché legittime, portano il partito in una direzione che non è quella che auspicavo”. L’addio di Mara Carfagna fa scendere a quota dieci i deputati di Azione: il gruppo alla Camera resiste ma sul filo. Anche il suo disagio era noto da tempo: da centrista e moderata una eventuale collocazione più a sinistra non l’avrebbe trovata d’accordo. Se lei e Gelmini davvero abbracciassero il partito di Maurizio Lupi la strategia di rafforzare l’ala moderata della maggioranza segnerebbe un punto a suo favore. Anzi due.

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Mappa e tempi del nuovo esecutivo Ue, domina il Ppe

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Sei vicepresidenti esecutivi, undici donne su 27 commissari in totale, egemonia politica dei Popolari. La mappa dell’esecutivo Ue proposto da Ursula von der Leyen si basa innanzitutto su questi tre pilastri. Tra i vicepresidenti esecutivi, quattro sono donne e due uomini, in un rapporto inversamente proporzionale a quello che emerge nel totale dei commissari designati.

– I PARTITI. Da un punto di vista politico ed escludendo la presidente von der Leyen, 14 sono i commissari del Ppe, cinque dei Liberali, cinque dei Socialisti (con l’incognita Maros Sefcovic, membro degli slovacchi di Smer, attualmente sospesi). Raffaele Fitto è il solo esponente di Ecr, Oliver Varlhelyi, pur essendo un tecnico, è stato nominato dal kingmaker dei Patrioti, Viktor Orban.

– I TEMPI. I due slot scelti per le audizioni dei commissari designati sono il 15-18 ottobre e il 4-7 novembre. Von der Leyen punta al primo, per ottenere il via libera della Plenaria a novembre e l’entrata in vigore il primo dicembre. E’ quasi impossibile, invece, che la Commissione abbia poteri pienamente efficaci già il primo novembre. Anzi, le complesse procedure delle audizioni rendono ulteriori ritardi più che possibili.

– I COMMISSARI DESIGNATI: Presidente: Ursula von der Leyen. Vicepresidenti esecutivi: Teresa Ribera (Spagna) vicepresidente esecutiva per la transizione pulita, giusta e competitiva e la concorrenza; Henna Virkkunen (Finlandia) vicepresidente esecutiva per la sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia; Stéphane Séjourné (Francia) vicepresidente esecutivo per la prosperità e la strategia industriale; Roxana Minzatu (Romania) vicepresidente esecutiva per le persone, le competenze e la preparazione; Raffaele Fitto (Italia) vicepresidente esecutivo per la coesione e le riforme; Kaja Kallas (Estonia) Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Commissari: Magnus Brunner (Austria) agli Affari interni e migrazione; Hadja Lahbib (Belgio)alla Preparazione, gestione delle crisi, uguaglianza; Ekaterina Zaharieva (Bulgaria) per Start-up, ricerca e innovazione; Dubravka Šuica (Croazia) al Mediterraneo; Costas Kadis (Cipro) alla Pesca e oceani; Jozef Síkela (Repubblica Ceca) per i Partenariati internazionali; Dan Jorgensen (Danimarca) a Energia e alloggi; Apostolos Tzitzikostas (Grecia) per Trasporti sostenibili e turismo; Olivér Várhelyi (Ungheria) Salute e benessere animale; Michael McGrath (Irlanda) Democrazia, giustizia e stato di diritto; Valdis Dombrovskis (Lettonia) all’Economia e produttività, implementazione e semplificazione; Andrius Kubilius (Lituania) alla Difesa e spazio; Christophe Hansen (Lussemburgo) Agricoltura e alimentazione; Glenn Micallef (Malta) all’Equità intergenerazionale, gioventù, cultura e sport; Wopke Hoekstra (Paesi Bassi) al Clima, crescita pulita e obiettivi net-zero; Piotr Serafin (Polonia) al Bilancio, anti-frode, pubbliche amministrazioni; Maria Luís Albuquerque (Portogallo) per i Servizi finanziari; Maroš Šefcovic (Slovacchia) al Commercio e sicurezza economica, relazioni interistituzionali e trasparenza; Marta Kos (Slovenia) all’Allargamento; Jessika Roswall (Svezia) all’Ambiente, resilienza idrica ed economia circolare competitiva.

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