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Biden: Putin è un irresponsabile, mai una guerra nucleare

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Il conflitto in Ucraina “e’ la guerra di un solo uomo”, Vladimir Putin, che inseguendo “ambizioni imperiali” vuole “estinguere il diritto dell’Ucraina ad esistere come Stato”, ricorrendo a “referendum farsa” e a minacce nucleari “spericolate e irresponsabili”: Joe Biden attacca frontalmente lo zar davanti alla platea dell’assemblea generale dell’Onu (presente anche il premier Mario Draghi), rispondendogli poche ore dopo la sua decisione di alzare il livello dello scontro con una mobilitazione parziale di 300mila riservisti e agitando lo spettro della bomba atomica. Una mossa che ha spinto l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell a convocare nelle prossime ore a New York un Consiglio Esteri Ue straordinario: “Si tratta di un’altra enorme escalation. Sembra che stia parlando per disperazione, con la minaccia nucleare tenta di intimidire l’Ucraina e i Paesi che la supportano, ma ha fallito e fallira’ ancora”. Raramente un presidente americano ha preso di mira cosi’ direttamente un Paese e un leader al Palazzo di vetro: l’ultimo era stato George W. Bush nel 2003, quando mise sotto accusa Saddam Hussein. “Una guerra nucleare non puo’ essere mai vinta e non deve essere combattuta”, ha messo in guardia Biden, che resiste alle richieste ucraine di missili a piu’ lungo raggio proprio per evitare “una terza guerra mondiale”. “No, non siamo per nulla in guerra con la Russia, Mosca e’ in guerra con l’Ucraina”, aveva detto poco prima alle tv americane il portavoce del consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca John Kirby, assicurando pero’ che gli Stati Uniti “prendono sul serio la minaccia nucleare” da parte di Putin e che nel caso dovesse passare ai fatti “ci saranno conseguenze gravi”. Nel frattempo Washington potrebbe cambiare la sua “postura strategica” se necessario, ha avvisato. Per la Casa Bianca comunque il discorso del presidente russo “e’ chiaramente un segno che e’ in difficolta’: ci aspettavamo il richiamo dei riservisti, Putin sta facendo combattere anche i soldati feriti”, ha detto ancora Kirby. Neppure il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nel giorno del suo video intervento al Palazzo di Vetro, ha escluso completamente un attacco nucleare ma ha ammonito che non si puo’ comunque cedere ai ricatti russi: “Domani Putin puo’ dire: vogliamo, oltre all’Ucraina, anche una parte della Polonia, altrimenti useremo le armi nucleari”. Biden ha dedicato gran parte dei 30 minuti del suo intervento a condannare e isolare Putin, senza mai evocare la parola “pace” ma limitandosi ad auspicare “la fine della guerra a condizioni giuste” e sollecitando il mondo a continuare a sostenere la “coraggiosa” resistenza ucraina. “Lasciate che parli francamente: un membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu ha invaso il suo vicino”, ha esordito, contestando a Putin di aver violato i principi basilari della carta delle Nazioni Unite e rilanciando poi la necessita’ di allargare lo stesso Consiglio di sicurezza per superare la paralisi del potere di veto. “Se un Paese puo’ perseguire ambizioni imperiali senza conseguenze, questo mette a rischio tutto cio’ per cui lottano le Nazioni Unite”, ha rincarato, rievocando le accuse di imperialismo lanciate ieri anche da Emmanuel Macron e Olaf Scholz. “Nessuno ha minacciato la Russia e nessun altro oltre alla Russia ha cercato il conflitto. Questa e’ la guerra brutale di un solo uomo”, ha incalzato scaricando su Putin ogni responsabilita’ del conflitto. Biden non ha infierito invece contro il Dragone, assicurando che gli Stati Uniti “non stanno cercando il conflitto ne’ la guerra fredda con Pechino” e ribadendo che restano fedeli allo loro politica ‘One China’ (che riconosce una sola Cina, ndr) ma sono contrario a cambiamenti unilaterali sullo status di Taiwan. Stoccata invece contro Teheran, nel pieno delle manifestazioni per la morte di una 22enne arrestata perche’ portava male il velo: “Gli Usa sono al fianco delle coraggiose donne iraniane che protestano per i loro diritti fondamentali”, ha detto il leader americano, rispondendo cosi’ al presidente iraniano Ebrahim Raisi che poco prima aveva messo sotto accusa i doppi standard occidentali sui diritti umani ricordando anche i bimbi migranti in gabbia e gli afroamericani uccisi dalla polizia in Usa. Biden ha quindi avuto un incontro con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e il primo bilaterale con la neo premier britannica Liz Truss, che ha attaccato Putin prima del suo esordio ufficiale all’Onu. In serata ha poi fatto il padrone di casa accogliendo ad un gala i leader mondiali al Museo americano di storia naturale.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

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La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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