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Azerbaigian: ministero Esteri ricorda il 34esimo anniversario del Gennaio nero

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 Oggi sono trascorsi 34 anni dall’assalto militare contro il popolo dell’Azerbaigian e dal massacro senza precedenti contro i civili da parte dell’ex regime sovietico in violazione del diritto internazionale. Lo si legge in una nota del ministero degli Esteri di Baku. “Verso la fine degli anni Ottanta, l’indifferenza dell’ex Unione Sovietica per le rivendicazioni territoriali illegali dell’Armenia contro il nostro paese, la deportazione di centinaia di migliaia di azerbaigiani dalle loro terre ancestrali nell’attuale Armenia e l’incitamento a rivolte etniche a sostegno delle attivita’ separatiste nella regione del Karabakh in Azerbaigian, stimolo’ ulteriormente l’ascesa del movimento di indipendenza nazionale contro il regime sovietico in Azerbaigian”, si legge nella nota.

“Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1990, a seguito dell’aggressione militare da parte di unita’ e forze speciali dell’esercito sovietico, nonche’ di contingenti di truppe interne contro l’Azerbaigian, furono compiuti massacri contro civili, comprese donne, bambini e anziani, a Baku e Sumgayit, Lankaran e Neftchala, con l’intenzione di reprimere con la forza il movimento indipendentista nazionale in Azerbaigian. L’aggressione militare delle forze di occupazione ha causato la morte di 150 cittadini, il ferimento grave di altri 744 e 4 persone scomparse”, prosegue la nota.

Il 21 gennaio 1990 presso la Missione permanente dell’Azerbaigian a Mosca, “il leader nazionale Heydar Aliyev riusci’ a rompere il blocco informativo del regime sovietico rivelando questo atroce crimine contro il nostro popolo e a trasmettere alla comunita’ mondiale la verita’ sulla massacri. La tragedia del 20 gennaio ha avuto un impatto decisivo sulla formazione dell’identita’ nazionale dell’Azerbaigian e ha segnato una svolta storica nel ripristino dell’indipendenza dell’Azerbaigian. Il popolo azerbaigiano, esposto all’aggressione militare, politica e morale del regime sovietico 34 anni fa, ha dimostrato devozione alle proprie tradizioni storiche di lotta. I figli e le figlie della madrepatria, che in quel tragico giorno sacrificarono la propria vita per la giustizia, hanno lasciato una pagina straordinaria nella storia eroica del nostro popolo”, ricorda il ministero degli Esteri.

“Il 20 gennaio 1990, che e’ stato segnato nella nostra storia come un giorno di tragedia, ma anche di orgoglio nazionale, il popolo azerbaigiano ha comunicato al mondo che meritava di vivere libero, sovrano e indipendente. Dopo il ritorno al potere nel nostro paese del Leader nazionale Heydar Aliyev, nella sessione straordinaria del Milli Majlis (Parlamento) tenutasi nel febbraio 1994, la brutale uccisione di persone innocenti il ​​20 gennaio 1990 e’ stata qualificata come aggressione militare e crimine, e nel marzo 1994 e’ stata adottata la decisione ‘Sui tragici eventi commessi a Baku il 20 gennaio 1990′”, prosegue la nota.

“Nonostante le terribili atrocita’ commesse contro il nostro popolo, i tentativi di minare la nostra integrita’ e sovranita’ territoriale e l’occupazione militare delle nostre terre da parte dell’Armenia per quasi 30 anni, la Guerra patriottica durata 44 giorni ha portato al completo ripristino della nostra integrita’ territoriale, mentre le misure di antiterrorismo locali del 19 e 20 settembre 2023 hanno portato al completo ripristino della nostra sovranita’”, si legge nella nota.

“Per la prima volta quest’anno, il 34mo anniversario della tragedia del 20 gennaio, che si e’ dimostrata diventare il culmine del movimento per l’indipendenza nazionale, coincide con il momento del completo ripristino della nostra sovranita’, per il quale i nostri figli e le nostre figlie hanno sacrificato la loro vita. Ricordiamo con profondo rispetto e gratitudine la memoria dei nostri martiri che hanno sacrificato la loro vita per la nostra indipendenza, integrita’ territoriale e sovranita’”, conclude la nota del dicastero di Baku.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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