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Autonomia differenziata: Luca Zaia chiede un tavolo con Giorgia Meloni, ma Musumeci frena

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Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, ha chiesto a Giorgia Meloni di istituire un tavolo di discussione per trattare le nove materie su cui il Veneto chiede piena titolarità. Inoltre, Zaia ha proposto un gemellaggio con una Regione del Sud per testare insieme l’autonomia.

Il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, ha risposto bruscamente alla richiesta di Zaia, definendola “assolutamente precoce”. Nel frattempo, le cinque Regioni guidate dal centrosinistra stanno preparando una richiesta per un referendum abrogativo dell’autonomia. La presidente della Sardegna, Alessandra Todde, ha espresso orgoglio per il ruolo della sua regione come capofila contro l’autonomia differenziata e ha dichiarato di aver contattato personalmente i presidenti delle altre regioni coinvolte. È probabile che queste regioni rafforzeranno l’iniziativa referendaria già nella prossima Conferenza Stato-Regioni.

Anche all’interno del centrodestra ci sono dubbi sull’autonomia differenziata. Nello Musumeci ha dichiarato: “Io sono per l’autonomia differenziata, a patto che si mettano le regioni svantaggiate in condizione di partire tutte dalla stessa linea”. Ha inoltre sottolineato che la richiesta di Zaia è prematura e che “in questo momento permangono delle perplessità anche all’interno della maggioranza di governo che ha votato quella riforma”.

Nonostante le resistenze, il presidente del Piemonte, Alberto Cirio (FI), ha annunciato la richiesta di nove materie, in linea con quanto richiesto da Zaia. Il presidente del Veneto ha ribadito che non si tratta di una fuga in avanti, ma di seguire una legge della Repubblica. A breve, Zaia riunirà la Consulta per l’autonomia veneta, coinvolgendo i rappresentanti di 50 categorie economiche, per discutere ulteriormente l’iniziativa.

Le opposizioni sostengono che l’iniziativa di Zaia possa creare problemi, poiché molte delle competenze richieste non dispongono attualmente di LEP (Livelli essenziali di prestazione) quantificabili. Francesco Boccia, capogruppo del PD, ha chiesto al ministro dell’Economia, Giorgetti, di chiarire in Aula se il principio di coordinamento della finanza pubblica rimane un punto di riferimento. Ha inoltre sollevato la questione delle risorse necessarie per le materie non LEP, che richiedono personale e una parte dei fondi nazionali destinati alla perequazione.

Dal Veneto, il segretario della CGIL, Maurizio Landini, ha criticato la legge sull’autonomia, affermando che essa “aumenta i divari e le disuguaglianze”. La richiesta di autonomia differenziata del Veneto ha suscitato un dibattito acceso, con posizioni contrastanti sia all’interno della maggioranza che tra le opposizioni. Le prossime settimane saranno cruciali per capire se e come questa iniziativa procederà.

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Cultura

Donatella Di Pietrantonio dopo il trionfo al Premio Strega 2024 con “L’età fragile”: sono a mio agio nel mondo letterario

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Non può più sentirsi un’intrusa nel mondo letterario Donatella Di Pietrantonio, che il 4 luglio ha trionfato al Premio Strega 2024 con 189 voti per il suo romanzo L’età fragile (Einaudi). Attraverso il rapporto tra una madre, Lucia, e la figlia ventiduenne Amanda, il romanzo scardina gli stereotipi sugli anni e sulla sicurezza dei piccoli luoghi di provincia, con la pandemia e il lockdown come sfondo.

Già vincitrice del Premio Strega Giovani 2024 e del Premio Campiello nel 2017 con L’arminuta, questa è la quarta volta che Di Pietrantonio partecipa al più ambito riconoscimento letterario italiano. “A me non piace vincere facilmente. Un percorso così lungo alla fine mi gratifica ancora di più. La prima volta non sono entrata in dozzina con il mio primo romanzo Mia madre è un fiume, la seconda non sono entrata in cinquina con Bella mia, poi non ho vinto con Borgo sud e questa volta è andata bene. Sono sempre restia a parlare di me stessa in toni trionfalistici però è stata un’emozione fortissima”, dice Di Pietrantonio il giorno dopo la vittoria.

“Sono molto felice di potermi considerare accolta con pieno diritto nel mondo della letteratura. Sentirsi a casa tra le scrittrici e gli scrittori è molto importante. È una conferma di quella spinta, di quella urgenza che viene da dentro e ti porta a esprimere le tue istanze più profonde con le parole, sulla pagina”, spiega Di Pietrantonio, 62 anni, che finora ha coniugato la scrittura con la sua professione di dentista dei bambini, professione che ha intenzione di lasciare per vivere questa parte della sua vita con maggiore tranquillità.

Per la prima volta in L’età fragile, dedicato a tutte le sopravvissute, la scrittrice ha affrontato la violenza di genere rievocando un fatto di cronaca nera, il delitto del Morrone, in cui furono trucidate due ragazze in escursione sulla Maiella nel 1997. “Con un certo sgomento, mi ritrovo a veder messi in discussione, a volte attaccati, tutti quei diritti e conquiste delle donne che risalgono agli anni Settanta-Ottanta e che io stessa ho dato per acquisiti ormai. Dover ancora battersi per difenderli da una parte è sconvolgente ma dall’altra penso che ci trovi tutte pronte a farlo”, dice Di Pietrantonio.

Quando è uscito L’età fragile, Di Pietrantonio aveva parlato della sua intenzione di lasciare il romanzo per dedicarsi ai racconti. “Il formato dei racconti sia da lettrice che da scrittrice mi è sempre piaciuto molto e mi dispiace che in Italia abbiano così poco seguito. Vedremo che cosa sgorgherà da dentro. È sempre quella la sorpresa”, conferma la scrittrice. Vincitrice del David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale, insieme a Monica Zapelli per il film di Giuseppe Bonito ispirato a L’arminuta, a Di Pietrantonio “piacerebbe tantissimo che L’età fragile diventasse un film”.

L’Abruzzo, terra della scrittrice che vive a Penne, è sempre protagonista dei suoi romanzi. “Uso l’Abruzzo a cui sono profondamente legata, proprio come rappresentante dei luoghi della provincia di cui in qualche modo credo che tutti gli italiani siano figli. Mi interessano quelle dinamiche che si costruiscono nei piccoli luoghi, ma gli Abruzzi potrebbero essere l’Umbria, le valli alpine, qualsiasi altro luogo”, sottolinea Di Pietrantonio.

Alla serata di premiazione è stato grande assente il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. “Non conosco le motivazioni dell’assenza del ministro. Certamente per quello che è il più prestigioso premio letterario italiano una presenza del massimo rappresentante istituzionale della cultura sarebbe stata assolutamente auspicabile. Ce la siamo cavata lo stesso”, ha detto la scrittrice.

Come si spiega il grande successo de L’età fragile che ha conquistato anche i giovani? “Quello che posso capire dai tanti incontri con le lettrici e i lettori è che ciascuno ha riconosciuto una parte di sé nei personaggi e nelle storie. Molti giovani si sono riconosciuti in Amanda ma si sono poi calati anche nel punto di vista della madre, Lucia, che è la voce narrante. Un ragazzo mi ha detto con molta commozione: ‘È stata la prima volta che ho capito cosa prova mia madre'”, racconta la scrittrice che ora vuole tornare, anche per un solo giorno, a casa.

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Svelata l’origine dell’emicrania, colpisce 1 italiano su 4

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È stata finalmente svelata l’origine, finora avvolta nel mistero, dell’emicrania, una patologia che colpisce 1 italiano su 4 e le donne il triplo degli uomini: la causa sta in una via di segnalazione del cervello finora sconosciuta, che mette in contatto alcune proteine con i nervi sensoriali responsabili della percezione del dolore. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, apre la strada a nuovi trattamenti validi anche per altre tipologie di mal di testa, come quello provocato dal ciclo mestruale. I ricercatori guidati dall’Università di Copenaghen hanno condotto lo studio sui topi, ma i dati indicano che il meccanismo dovrebbe essere lo stesso anche negli esseri umani. L’emicrania è la forma di mal di testa più comune.

Si presenta con un dolore acuto o pulsante solitamente in un solo lato della testa, con sintomi molto variabili da soggetto a soggetto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha inquadrata come la seconda patologia più disabilitante per il genere umano e la terza più frequente. La Legge italiana 81/2020, infatti, prevede il riconoscimento della cefalea primaria (il gruppo del quale fanno parte anche le varie forme di emicrania) come malattia sociale invalidante, ma il primo decreto legislativo per consentirne l’attuazione è stato emanato solo nel 2023.

Secondo i dati della Società Italiana di Neurologia, colpisce il 14,4% della popolazione mondiale, con una prevalenza 3 volte maggiore nelle donne. In Italia ne soffre il 25% circa degli individui, percentuale che sale quasi al 33% se si considera solo il sesso femminile. Gli autori dello studio guidato da Martin Kaag Rasmussen hanno scoperto che, durante un attacco di emicrania, il cervello produce delle proteine che raggiungono un’area alla base del cranio, una sorta di porta di accesso al sistema nervoso periferico che mette in comunicazione il cervello con il resto del corpo. Da qui, le proteine sono quindi libere di attivare i nervi sensoriali che segnalano il dolore, provocando il mal di testa.

I risultati spiegano anche perché l’emicrania colpisce di solito un solo lato della testa, un altro quesito rimasto finora senza risposta: le proteine non si diffondono in tutto il cervello, ma colpiscono per lo più il sistema sensoriale del lato nel quale sono state prodotte. I ricercatori hanno esaminato oltre 1.400 proteine presenti nel liquido cerebrospinale durante le emicranie indotte nei topi: l’11% delle molecole hanno mostrato variazioni durante gli attacchi e, di queste, solo 12 sono in grado di attivare i nervi sensoriali. Questo gruppo include anche una proteina chiamata Cgrp, già nota per il suo legame con l’emicrania e utilizzata nei trattamenti esistenti, ma le altre non erano mai state associate a questa patologia e potrebbero quindi portare a nuove cure. “Il prossimo passo per noi sarà identificare la proteina con il maggiore potenziale – dice Rasmussen – e procederemo con test sugli esseri umani per determinare se l’esposizione a queste sostanze scatena effettivamente l’emicrania”.

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Esteri

Al Labour una valanga di seggi, non di voti

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La valanga di seggi c’è stata, quella di voti no. E’ l’altra faccia della luna dietro il trionfo elettorale britannico – indiscutibile nella sostanza degli equilibri di potere – incassato dal Labour in salsa moderata di Keir Starmer. A sottolinearlo fin dalla notte dello scrutinio (“una sconfitta Tory, più che una vittoria laburista”, le sue parole), è stato per primo il professor John Curtice, guru dei sondaggi e dell’analisi dei flussi di consenso ed analista di riferimento della Bbc. Ma a certificarlo sono soprattutto i numeri definitivi dello spoglio. Numeri che confermano il partito di Starmer a un soffio dal suo record storico dei 418 seggi della super maggioranza conquistata da Tony Blair nel 1997; ma in termini di suffragi lo inchiodano poco oltre il 33%, non molto meglio del 32 e spiccioli che nel 2019 suggellò la disfatta subita sotto la leadership di sinistra-sinistra di Jeremy Corbyn.

E addirittura con un perdita di oltre mezzo milione di voti in cifra assoluta (9,6 milioni contro 10,2), complice un’affluenza precipitata ai minimi dal 2005, attorno ad appena il 60% degli aventi diritto. A distanza persino siderale se il paragone lo si fa con il 2017 e con il 40% (e quasi 13 milioni di voti) valso allo stesso Labour di Corbyn soltanto un ‘hung Parliament’ con meno di 300 seggi. L’arcano si spiega con il sistema maggioritario uninominale del ‘first past the post’, in base al quale conta solo arrivare primi collegio per collegio. Sistema secolare che, a determinate condizioni, come nel caso dell’allineamento degli astri del 4 luglio, può finire per garantire il controllo di due terzi della Camera dei Comuni con non più di un terzo dei suffragi dei votanti e un quarto scarso del corpo elettorale.

Un jackpot reso possibile in questo caso dal tracollo di 20 punti dei conservatori di Rishi Sunak, fermatisi sotto il 24% (peraltro un po’ meno peggio di quanto vaticinato dai sondaggi della vigilia) e soprattutto ad appena 120 seggi o poco più. Un disastro senza precedenti in 190 anni segnato dalla perdita a favore del Labour, ma anche dei centristi liberaldemocratici, di decine di collegi; ma dietro il quale pesa soprattutto l’impennata della concorrenza a destra dei populisti di Reform UK di Nigel Farage, terza forza nazionale in termini di voti (seppure ferma a 4 seggi, comunque suo record storico).

A sinistra, viceversa, il Labour può dire di aver guadagnato davvero tanti consensi rispetto al 2019 solo in Scozia, grazie alla debacle degli indipendentisti dell’Snp figlia dei loro scandali locali. Mentre è in affanno, specie in Inghilterra, in tutte le aree a forte presenza di britannici di radici musulmane, molti dei quali indignati per la mancata condanna netta di sir Keir dei raid israeliani sulla Striscia di Gaza.

Con la conseguente perdita di seggi in non poche ex roccaforti (ad esempio Leicester); o il salvataggio per un pugno di voti di circoscrizioni sulla carta blindate come a Birmingham, dove Jess Phillips, paladina dei diritti delle donne, è stata fischiata persino a margine della proclamazione e ha denunciato la campagna appena conclusa come “la peggiore della sua vita” in quanto donna. Il tutto a beneficio di rivali più radicali o progressisti: dai Verdi (che salgono ai loro massimi, con oltre il 6% e 4 deputati eletti), a 6 indipendenti fra cui spiccano vari filo-palestinesi dichiarati e, in primis, lo stesso Corbyn. Rieletto nel suo feudo quarantennale di Islington North, dove ha umiliato il candidato starmeriano: in barba all’espulsione subita dal successore (e suo ex ministro ombra della Brexit) per la polemica sulla mancata autocritica sulle infiltrazioni dell’antisemitismo nel Labour.

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