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Cronache

Appalti per i lavori ferroviari alle aziende del clan dei casalesi, ecco tutti i nomi e i ruoli dei primi indagati

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L’inchiesta  sull’assegnazione di Appalti da parte di Rfi a ditte riconducibili a imprenditori molto vicini al clan dei casalesi, e in particolare alle aziende vicine al boss in carcere Francesco ‘Sandokan’ Schiavone è alle battute iniziali. Conta già molti indagati. Tra questi ci sono Nicola e Vincenzo Schiavone, lontani parenti del capo clan. Con loro anche dipendenti di Rete ferroviaria italiana, tra cui tre alti dirigenti. Uno è Massimo Iorani, a capo del Dac (Direzione acquisti di Rfi), che secondo l’attività investigativa è risultato molto amico di Nicola Schiavone che lo avrebbe ospitato in noti alberghi della costa campana, e al quale Schiavone, sempre secondo gli inquirenti, avrebbe dato una grossa mano affinchè facesse carriera. Un altro dirigente indagato è Paolo Grassi che, secondo la Dda (pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede coordinati dall’aggiunto Frunzio) si sarebbe occupato di alcuni Appalti finiti nelle mani delle aziende riconducibili a Nicola Schiavone.

Francesco Schiavone detto Sandokan. È stato il primo padrino dei casalesi a manovrare sindaci e piegare istituzioni agli interessi del clan

Il terzo dirigente di Rfi è Giuseppe Russo, dirigente del Dipartimento Trasporti a Napoli. L’inchiesta scaturisce dalla collaborazione di Nicola Schiavone con la procura distrettuale antimafia di Napoli. Il figlio di Francesco Schiavone è ormai un pentito attendibile su molte vicende di camorra.  Otto anni di carcere duro l’hanno piegato e ora da irriducibile camorrista è diventato un ottimo collaboratore di giustizia. Perchè l’ha fatto? Perchè Nicola Schiavone è giovane. Ha due figli adolescenti e non amava  la prospettiva di trascorrere la vita dietro le sbarre. E allora collabora. E sta dicendo tante cose ai pm dell’Antimafia.

 

Camorra ad Alta velocità, perquisizioni nelle sedi di Rete Ferroviaria italiana e a casa di alcuni dirigenti per presunti accordi corruttivi per far lavorare aziende del clan dei casalesi

Nicola e Vincenzo Schiavone, entrambi finiti nel maxi processo Spartacus (il primo ne è uscito indenne, il secondo, invece, è stato condannato) sono imprenditori ritenuti dagli inquirenti molto vicini al clan dei Casalesi, in particolare al boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, recluso in regime di carcere duro. Ai dirigenti finiti nell’inchiesta, che lo avrebbero agevolato, Nicola Schiavone, avrebbe dato una grossa mano per fare carriera all’interno di Rfi (circostanza su cui sono in corso ulteriori accertamenti). Nicola che è risultato a capo di una società di consulenza in una serie di intercettazioni più volte ha ribadito di essere diventato imprenditore grazie all’aiuto di Sandokan, nel 1979 sugella lo stretto rapporto facendo da padrino di battesimo del primogenito di Sandokan, che si chiama anche lui Nicola, attualmente collaboratore di giustizia e, verosimilmente colui che ha dato impulso alle indagini anticorruzione della Dda. Sono, al momento, una decina gli appalti finiti sotto la lente di ingrandimento dei pm Antonello Ardituro, Graziella Arlomede coordinati dell’aggiunto Luigi Frunzio, i quali ritengono che siano stati assegnati in maniera sospetta al gruppo di ditte riconducibili a Nicola Schiavone, risultate intestate a prestanome. Solo la Bcs srl, i cui uffici, come anche altri sempre a Napoli e in provincia, sarebbe direttamente riconducile all’imprenditore.

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Dati rubati: Del Vecchio jr: ho chiarito la mia posizione

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“Sono soddisfatto dell’interrogatorio in quanto ho potuto chiarire la mia posizione. Auspico che la giustizia faccia il suo corso e che il prima possibile venga richiesta l’archiviazione dell’inchiesta a mio carico per l’insussistenza dei reati contestati”. Lo ha dichiarato dichiarato Leonardo Maria Del Vecchio al termine dell’interrogatorio reso ai pm della Dda di Milano e della Dna, nell’ambito dell’indagine su una presunta rete di cyber spie che ruotava attorno alla Equalize, e nel quele è indagato. L’imprenditore aveva chiesto di essere interrogato per chiarire e difendersi dalle accuse,

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Femminicidio a Cagliari, il marito ha confessato

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Ha confessato: dopo oltre sei mesi in cui si è sempre dichiarato innocente ha ammesso le proprie responsabilità Igor Sollai, il 43enne attualmente in carcere con le accuse di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere per aver ucciso e nascosto il corpo della moglie, Francesca Deidda, di 42 anni, sparita da San Sperate, un paese a una ventina di chilometri da Cagliari, il 10 maggio scorso e i cui resti sono stati trovati il 18 luglio in un borsone nelle campagne tra Sinnai e San Vito, vicino alla vecchia statale 125.

Sollai, difeso dagli avvocati Carlo Demurtas e Laura Pirarba, è stato sentito in carcere a Uta dal pm Marco Cocco. Un interrogatorio durato quattro ore durante il quale il 43enne ha confessato il delitto descrivendo come ha ucciso la moglie e come poi si è liberato del cadavere. Non avrebbe invece parlato del movente. Nessun commento da parte dei legali della difesa. Non è escluso che l’interrogatorio riprenda la prossima settimana.

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‘Ndrangheta: patto politico-mafioso, assolti i boss

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Mafia e politica, assolti i boss. La Corte di Appello di Catanzaro ha ribaltato totalmente la sentenza di primo grado riformando la sentenza di primo grado del processo “Sistema Rende”. I giudici di secondo grado hanno assolto i boss e gli appartenenti alle cosche di Cosenza e Rende finiti nell’inchiesta su mafia e politica che coinvolse amministratori ed esponenti dei principali clan cosentini. Assoluzione perche’ il fatto non sussiste per Adolfo D’Ambrosio e Michele Di Puppo (che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a quattro anni e 8 mesi di reclusione), l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli e per Marco Paolo Lento (condannati in primo grado entrambi a 2 anni di carcere). Confermate poi le assoluzioni di Francesco Patitucci e Umberto Di Puppo, condannato in passato per aver favorito la latitanza del boss defunto Ettore Lanzino. Secondo l’inchiesta “Sistema Rende”, alcuni politici e amministratori rendesi (tra i quali gli ex sindaci Sandro Principe e Umberto Bernaudo) avrebbero stipulato un patto politico-mafioso grazie al quale avrebbero ottenuto sostegno elettorale in cambio di favori come le assunzioni in alcune cooperative del Comune. Ora la parola spetta alla Cassazione.

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