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Cronache

Amianto killer sulle navi della Marina, 1100 morti e nessun colpevole: prosciolti 8 ammiragli perchè il fatto non sussiste

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“Vergogna, 1100 morti, oggi li uccidete un’altra volta!”. Sono rimbombate nell’aula del Tribunale di Padova le urla di disperazione dei parenti dei militari morti per l’amianto sulle navi della Marina alla lettura della sentenza che ha mandato assolti gli 8 ammiragli imputati per omicidio colposo e lesioni. Un esito previsto, perchè era stato lo stesso pm Sergio Dini a chiedere l’assoluzione perche’ il fatto non costituisce reato. Il giudice monocratico Chiara Bitozzi e’ andata oltre, assolvendo gli ex vertici della Marina con formula piena, perche’ il fatto non sussiste. Gli otto ammiragli (in origine erano 40, ma molti nel frattempo sono deceduti), erano imputati per le morti dei loro sottoposti e per le malattie dei tanti superstiti che ora stanno affrontando impegnative chemioterapie. Si tratta degli alti ufficiali che dal 1980 si sono succeduti alla guida delle flotte della Marina, accusati di aver avuto responsabilita’ nei danni patiti da svariate decine di ex militari – l’Osservatorio Amianto cita il rapporto della Commissione parlamentare d’Inchiesta, parlando di 830 casi di mesotelioma – in servizio sulle navi. Le ragioni di questa decisione si conosceranno tra 90 giorni, al deposito della motivazione della sentenza. Ma secondo la stessa pubblica accusa, i vertici della Marina non avevano autonomia di spesa nel budget assegnato, e non potevano stanziare fondi per l’eliminazione del pericolo amianto. Duro il commento dell’avvocato Giovanni Chiello, rappresentante delle associazioni delle vittime. “Ho poche parole da dire, la sintesi di questo processo – ha affermato – l’hanno formulata oggi in aula gli ex militari e i familiari di deceduti a causa dell’amianto”. Incredulita’ e’ stata espressa anche dall’Osservatorio nazionale Amianto: “non puo’ calare il sipario sulla responsabilita’ della morte di centinaia di vittime” ha detto il presidente Ezio Bonanni, annunciando che la sua organizzazione fara’ ricorso contro la sentenza del Tribunale di Padova. “Una decisione – ha aggiunto – in netto contrasto con la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione”. Questo infatti e’ il secondo processo per l’amianto sulle navi. Anche il primo si era chiuso sempre a Padova con l’assoluzione degli ex vertici della Marina, sentenza confermata in appello. Ma la Cassazione, il 6 novembre 2018, aveva annullato l’assoluzione e disposto un nuovo processo d’appello. E la giustizia civile, ricorda ancora l’Osservatorio, si sta comportando in modo opposto. Il 10 gennaio scorso la Sezione Lavoro del Tribunale civile di Roma ha emesso una sentenza di condanna a carico del Ministero della Difesa perche’ indennizzi i danni subiti dalla vedova e dall’orfana di un militare deceduto per l’esposizione all’amianto sulle navi militari.

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Cronache

Il culto di Medjugorje: tra devozione popolare e cautela del Vaticano

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Anni fa, mentre si trovava in Argentina, il cardinale Victor Manuel Fernandez propose di collocare alcune edicole votive dedicate alla Madonna lungo le strade della sua diocesi. La prima immagine suggerita dai fedeli fu quella della Madonna di Medjugorje. Nonostante una suora avesse sollevato dubbi sull’approvazione della Chiesa riguardo a tale devozione, il vescovo tagliò corto con una frase significativa: “Ma che male può fare?”. Oggi, da prefetto dell’ex Santo Uffizio, con l’avallo di papa Francesco, Fernandez ha autorizzato la devozione per la Madonna di Medjugorje.

Il culto della Madonna di Medjugorje ha avuto inizio nel 1981, quando sei bambini riferirono di aver visto la “Regina della Pace” apparire nella piccola cittadina della Bosnia Erzegovina, all’epoca parte della Jugoslavia. Da allora, Medjugorje è diventata una meta di pellegrinaggio globale, attirando oltre 50 milioni di fedeli. Tuttavia, Roma ha sempre mostrato cautela nei confronti di queste apparizioni. Nonostante l’autorizzazione recente, il Vaticano non riconosce ufficialmente il carattere soprannaturale delle visioni, ma approva la “esperienza spirituale” che esse generano. “Non accogliamo questi messaggi come rivelazioni private, perché non abbiamo la certezza che siano messaggi della Madonna”, ha dichiarato Fernandez, “ma come testi edificanti”.

Il cammino per arrivare a questa decisione è stato lungo e accidentato. Il primo vescovo locale negò la veridicità delle apparizioni, e le tensioni tra i francescani e la diocesi, inizialmente di natura immobiliare, furono esacerbate dal fenomeno delle apparizioni. Negli anni successivi, il Vaticano avanzò dubbi, parlando di possibili “eresie e scismi”. Nel 2010, papa Benedetto XVI incaricò una commissione guidata dal cardinale Camillo Ruini, che espresse ulteriori perplessità. Nel frattempo, intorno a Medjugorje si era sviluppato un florido business di pellegrinaggi, alberghi e gadget religiosi, mentre alcuni scandali personali e abusi sessuali complicavano ulteriormente il quadro.

Papa Francesco, pur esprimendo ironia sulla frequenza delle apparizioni, a volte paragonandola a una “Madonna postina”, ha riconosciuto i “frutti positivi” della devozione: conversioni, guarigioni, riavvicinamenti alla fede e la riscoperta della preghiera e della messa da parte di milioni di fedeli. Questo ha portato alla decisione di autorizzare il culto pubblico, già anticipata dall’approvazione ufficiale dei pellegrinaggi qualche anno fa. L’arcivescovo Aldo Cavalli, nominato visitatore apostolico, sta vigilando attentamente su eventuali abusi legati al business dei pellegrinaggi, mentre il dicastero per la Dottrina della fede ha messo ordine negli innumerevoli messaggi attribuiti alla Vergine, approvando solo quelli in linea con il magistero della Chiesa.

In definitiva, i “frutti positivi” del culto di Medjugorje sono stati riconosciuti e separati dalle figure dei veggenti, che ora non sono più considerati i mediatori centrali di questo fenomeno. Con queste precauzioni, come direbbe il cardinale Fernandez, “che male può fare?”

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Saverio Amato, il bagnino di Venezia punito per aver salvato una turista tedesca

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A Venezia, una turista tedesca di settant’anni ha rischiato la vita mentre faceva il bagno, colta da un malore improvviso. A salvarla è stato il bagnino Saverio Amato, che, dalla sua torretta di sorveglianza, si è tuffato immediatamente in acqua per soccorrerla e riportarla in salvo. Una scena che potrebbe sembrare ordinaria, se non fosse che l’eroico gesto di Amato è stato seguito da una sanzione di 1.032 euro, quasi tutto il suo stipendio mensile. La colpa? Non aver segnalato tempestivamente l’incidente alla Capitaneria di porto, nonostante avesse avvisato il 118.

Questa vicenda rappresenta perfettamente la figura dell’Eroe Multabile: una persona che compie un gesto esemplare, ma che, per una ragione burocratica, si ritrova punita invece che premiata. Tre estati fa, lo stesso Saverio Amato aveva salvato altri bagnanti e in quell’occasione ricevette una lettera d’encomio. Questa volta, però, ha ricevuto solo una multa. Ironico, se non fosse amaro.

L’episodio solleva una riflessione più ampia sulla nostra società, in cui il rispetto rigido delle norme burocratiche sembra prevalere su ogni altro principio, anche quando questo porta a punire chi si comporta con altruismo e senso del dovere. Come sosteneva Leo Longanesi, forse sulla bandiera italiana bisognerebbe aggiungere la frase «Tengo famiglia» e, oggi, anche «e penso ai fatti miei». Perché chiunque decida di fare di più, di prendersi una responsabilità che esula dai propri compiti strettamente regolamentati, rischia di trovarsi invischiato in lungaggini legali o, peggio, sanzionato.

Saverio Amato, con il suo gesto istintivo di salvare una vita, ha agito con coraggio e prontezza. Eppure, il suo intervento ha scatenato una reazione che lo ha trasformato da eroe a multato. Si spera che almeno la turista tedesca, riconoscente, decida di farsi carico della sanzione, ma la questione di fondo resta: in una società dove chi si assume una responsabilità viene punito, non c’è da sorprendersi se il lamento e lo scaricabarile rimangono le uniche azioni che non vengono mai sanzionate.

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Camorra: il pentimento shock di Luisa De Stefano, la boss del rione Pazzigno

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È un vero colpo di scena quello che emerge dalle aule di giustizia napoletane: Luisa De Stefano, leader indiscussa del gruppo camorristico delle “pazzignane”, ha deciso di collaborare con la giustizia dopo otto anni di detenzione. La notizia, riportata oggi dal Corriere del Mezzogiorno, getta nuova luce sulle dinamiche criminali di San Giovanni a Teduccio, rione di Napoli Est, dove il gotha della camorra era solito emettere le sue sentenze di morte.

Il nome di Luisa De Stefano è stato associato a crimini. Siamo in un quartiere dove sono stati commessi due omicidi di spicco  nel 2016: quello di Francesco Esposito, affiliato al gruppo Piezzo, e di Raffaele Cepparulo, scissionista del rione Sanità. Quest’ultimo agguato, avvenuto in un circolo ricreativo di via Cleopatra, costò la vita anche all’innocente Ciro Colonna, appena 19enne. De Stefano, durante una serie di udienze, ha ammesso le proprie responsabilità e ha iniziato a fornire dettagli preziosi sul ruolo del suo gruppo e dei clan rivali.

Secondo le prime dichiarazioni della neo pentita, le riunioni per decidere le sorti delle vittime avvenivano su una scala condominiale, fuori dall’abitazione di Ciro Rinaldi, storico capo dell’omonimo clan. Luisa De Stefano, tuttavia, poteva permettersi il lusso di dare del tu ai capi della malavita e di partecipare attivamente alle decisioni di vita e di morte.

Il suo pentimento, consumato in due udienze consecutive, potrebbe rappresentare un duro colpo per il cartello criminale di Napoli Est e segnare un’importante svolta nelle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia.

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