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Esteri

Allarme sulle armi chimiche. La grande fuga da Kiev

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Kiev si svuota aspettando il grande assalto. Ma la preda piu’ ambita per i russi al momento rimane Mariupol, la citta’ portuale sul Mare di Azov su cui si stringe la manovra a tenaglia delle truppe di Mosca e delle milizie dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk. E il peggio potrebbe ancora venire, almeno stando agli allarmi provenienti dagli Usa e dalla Gran Bretagna secondo i quali le truppe d’invasione potrebbero fare ricorso alle armi chimiche per avere ragione della resistenza nemica. Le prime accuse, arrivate dalla Casa Bianca, sono state rilanciate dalla ministra degli Esteri britannica Liz Truss, e poi da Boris Johnson. In un’intervista a Sky News il premier ha addirittura illustrato lo scenario di un possibile attacco di Mosca con le armi proibite: “Cominciano col dire che armi chimiche sono state immagazzinate dai loro nemici, o dagli americani. E quindi quando sono loro ad usarle, come temo che possano fare, hanno in serbo una sorta di maskirovka, una storia falsa”. Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha controbattuto accusando a sua volta il Pentagono di utilizzare il territorio ucraino per sviluppare agenti patogeni che potrebbero essere utilizzati per creare armi biologiche. Sul terreno, per ora, “la situazione piu’ tragica e’ a Mariupol”, ha affermato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. E’ su questa citta’ che gli invasori concentrano gran parte del loro fuoco nel tentativo di bloccare uno degli strategici accessi al mare dell’Ucraina. Qui 400.000 civili cercano di sopravvivere a un assedio che li ha lasciati in condizioni disumane senza acqua, elettricita’ e riscaldamento, mentre imperversano i bombardamenti. La vicepremier Iryna Verschuk ha detto che un convoglio umanitario che cercava di raggiungere la citta’ e’ stato costretto a tornare indietro, mentre il ministero della Difesa russo ha annunciato che le milizie della Repubblica di Donetsk sono penetrate per un chilometro da nord verso il centro della citta’. Foto pubblicate dalla Cnn mostrano alcuni corpi di persone uccise che vengono gettati in una fossa comune. Le violenze, qui come nel resto dell’Ucraina, non risparmiano i bambini. Liudmyla Denisova, responsabile per i diritti umani al Parlamento di Kiev, ha affermato che son 71 quelli rimasti uccisi e 100 feriti dall’inizio dell’invasione. Tra le vittime, sempre secondo le autorita’ di Kiev, una bambina morta con altre due persone nel bombardamento russo sulla clinica ostetrica di Mariupol. Un’accusa che i russi respingono, bollandola come “una messinscena provocatoria”. L’Organizzazione mondiale della sanita’ invece ha denunciato che dall’inizio dell’invasione, il 24 febbraio, sono state 24 le strutture sanitarie bombardate, con un bilancio di almeno 12 morti e 17 feriti. Anche se non ha indicato i responsabili. Nelle strade deserte di Kiev regna un’atmosfera di tragica attesa. Le sirene antiaereo sono tornate a suonare e il municipio ha invitato i cittadini a nascondersi nei rifugi. Ma il sindaco ha riferito che meta’ della popolazione della capitale, che conta circa 3,5 milioni di residenti, e’ gia’ fuggita. Mentre continua ad avanzare molto lentamente il maxi-convoglio militare russo, combattimenti sono segnalati a nord della citta’, nelle localita’ di Bucha, Irpin e Hostomel e, ad est, nell’area di Brovary. Per quanto riguarda le altre regioni, fonti ucraine hanno parlato di un bombardamento su un edificio residenziale vicino alla citta’ di Kharkiv, nel nord-est, che ha provocato 4 morti, tra cui 2 bambini, e di un raid sulla citta’ di Okhtyrka, nella regione settentrionale di Sumy, che avrebbe provocato la morte di un ragazzo di 13 anni e di due donne. In questa situazione risulta estremamente difficile garantire la sicurezza dei corridoi umanitari per le evacuazioni dei civili. La sola operazione di successo segnalata nelle ultime ore riguarda la partenza di 2.000 persone a bordo di autobus dalla citta’ di Izium, nell’est del Paese.

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Georgia: Putin promulga cooperazione con Ossezia separatista

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Il presidente russo Vladimir Putin ha promulgato oggi la legge che ratifica il trattato di cooperazione tecnico-militare con la regione separatista georgiana dell’Ossezia del Sud, la cui indipendenza e’ stata riconosciuta dal Cremlino nel 2008. “Il rispetto dell’accordo consentira’ di approfondire la cooperazione tecnico-militare per rafforzare la capacita’ difensiva della Federazione Russa e della Repubblica dell’Ossezia del Sud”, si legge nella nota emessa a settembre dalla Duma russa.

Putin ha poi inviato alla camera bassa del parlamento russo un disegno di legge per la ratifica del trattato firmato nell’agosto 2023. Il documento, simile a quelli firmati con Bielorussia, Armenia o Kazakistan, regola la fornitura di armi ed equipaggiamento militare e rafforzera’ la presenza russa nel Caucaso. L’Ossezia del Sud, che conta quasi 50.000 abitanti, e’ praticamente un protettorato, il cui bilancio dipende per il 90% dalle casse dello Stato russo. La Russia ha basi militari sia nell’Ossezia del Sud che nella separatista Abkhazia, repubbliche che hanno inviato volontari per combattere l’Ucraina nelle file dell’esercito russo.

L’accordo e’ stato firmato poco dopo che l’Ossezia del Sud ha celebrato lo scorso anno il 15 anniversario del riconoscimento russo dell’indipendenza del territorio, riconosciuta anche da Venezuela, Nicaragua, Repubblica di Nauru e Siria. Il Cremlino ha riconosciuto l’indipendenza di entrambe le regioni separatiste georgiane – Ossezia del Sud e Abkhazia – il 26 agosto 2008, due settimane dopo la firma dell’accordo per porre fine al breve ma sanguinoso conflitto con la Georgia per il controllo del territorio dell’Ossezia del Sud la Guerra dei Cinque Giorni. La Georgia continua a non riconoscere l’indipendenza di entrambi i territori e ha invitato a revocare il suo riconoscimento il Cremlino, che ha il sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e ritiene che le truppe russe siano forze di occupazione.

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Arresto di Sansal incendia i rapporti Francia-Algeria

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Si infiammano i rapporti già tesi tra la Francia e l’Algeria per la sorte di Boualem Sansal, lo scrittore algerino che da qualche mese ha ottenuto anche la nazionalità francese. Da sabato scorso, quando è stato arrestato all’aeroporto di Algeri, non si sa più nulla di lui. Settantacinque anni, da 25 impegnato da scrittore contro il potere di Algeri e i cedimenti all’integralismo islamico, potrebbe – secondo fonti algerine – essere processato per “violazione dell’unità nazionale e dell’integrità nazionale del Paese”. Preoccupati i familiari, gli amici, i sostenitori, mobilitata la stampa e il mondo degli intellettuali francesi, silenzioso il governo di Parigi con l’eccezione di Emmanuel Macron, che ieri sera ha espresso pubblicamente la sua forte preoccupazione.

L’arresto di uno degli intellettuali più critici contro il potere di Algeri ha inasprito i già tesi rapporti tra Francia ed Algeria, che avevano fatto toccare proprio nelle scorse settimane nuovi picchi per la visita di Macorn in Marocco e i toni di grande vicinanza col regno di Mohammed VI. Oggi anche l’editore francese Gallimard, che pubblica le opere di Boualem Sansal fin dall’uscita del suo libro più famoso, ‘Le serment des barbares’ (Il giuramento dei barbari), si è detto “molto preoccupato” e ha chiesto la “liberazione” dello scrittore. “Sgomento” ha espresso per l’arresto di Sansal anche la sua casa editrice italiana, Neri Pozza.

Dopo l’intensificarsi della pressione mediatica sulla sorte dello scrittore, l’Algeria è uscita oggi duramente allo scoperto attraverso la sua agenzia di stampa, accusando Parigi di essere covo di una lobby “anti-algerina” e “filo-sionista”. L’agenzia Aps conferma, nella sua presa di posizione, l’arresto di Sansal e attacca senza mezzi termini Parigi, la “Francia Macronito-sionista che si adombra per l’arresto di Sansal all’aeroporto di Algeri”. “La comica agitazione di una parte della classe politica e intellettuale francese sul caso di Boualem Sansal – scrive l’agenzia di stato – è un’ulteriore prova dell’esistenza di una corrente d’odio contro l’Algeria. Una lobby che non perde occasione per rimettere in discussione la sovranità algerina”. Si cita poi un elenco di personalità “anti-algerine e, fra l’altro, filo-sioniste” che agirebbe a Parigi, e del quale farebbero parte “Éric Zemmour, Mohamed Sifaoui, Marine Le Pen, Xavier Driencourt, Valérie Pécresse, Jack Lang e Nicolas Dupont-Aignan”.

Ad offendersi, secondo l’Aps, è uno stato che “non ha ancora dichiarato al mondo se ha la necessaria sovranità per poter arrestare Benyamin Netanyahu, qualora si trovasse all’aeroporto Charles de Gaulle!”. L’agenzia passa poi all’attacco diretto di Macron e di Sansal stesso: il presidente che “torna abbronzato da un viaggio in Brasile” scrive Aps, parla di “crimini contro l’umanità” in Algeria ricordando la colonizzazione francese “ma prende le difese di un negazionista, che rimette in discussione l’esistenza, l’indipendenza, la storia, la sovranità e le frontiere dell’Algeria!”, riferendosi a Sansal. Nel suo primo e più celebre libro, Sansal racconta la salita al potere degli integralisti che contribuì a far precipitare l’Algeria in una guerra civile negli anni Novanta. I libri di Sansal, editi in Francia, sono venduti liberamente in Algeria, ma l’autore è molto controverso nel suo Paese, in particolare dopo una sua visita in Israele nel 2014.

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Il porno attore italo egiziano Sharif nel carcere di Giza, rischia 3 anni di carcere

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E’ un appello accorato quello che arriva dall’Egitto dalla madre di Elanain Sharif, quarantaquattrenne nato in quel Paese ma cittadino italiano, fermato al suo arrivo in aeroporto al Cairo. “Sono molto preoccupata perché mio figlio sta male. Aiutatemi, lui ha bisogno di me e io di lui. Non so cosa fare” ha detto la donna con un audio diffuso tramite il legale che l’assiste, l’avvocato Alessandro Russo. E proprio per accertate le condizioni in cui è detenuto, le autorità italiane hanno già chiesto a quelle egiziane di poter effettuare una visita in carcere, alla quale dovrebbe partecipare anche la donna, e sono in attesa di una risposta. Sharif è accusato di produzione e diffusione di materiale pornografico.

Si tratta di reato, secondo la normativa egiziana, punibile con una pena da 6 mesi a tre anni. Il capo di imputazione è stato comunicato dal Procuratore egiziano al legale del 44enne e in base al codice penale egiziano, un qualunque cittadino di quel paese che commette un reato, anche fuori dall’Egitto, può essere perseguito. Un principio giuridico analogo a quello previsto dal nostro ordinamento. L’ex attore porno è stato già ascoltato dal procuratore che ha convalidato il fermo per 14 giorni, disponendo che il caso sia nuovamente riesaminato il 26 novembre. Le Autorità egiziane stanno infatti attendendo il risultato della perizia tecnica sul materiale presente online. Dopo il fermo all’aeroporto, il 9 novembre, l’uomo si trova ora nel carcere di Giza. “E’ stato messo in carcere appena siamo arrivati in aeroporto” ha detto ancora la madre di Sharif dall’Egitto.

“Non posso sapere come sta – ha aggiunto – perché non riesco a parlarci e sono molto preoccupata”. Sono in particolare le sue condizioni di salute a preoccuparla perché, ha spiegato, “mio figlio ha subito tre interventi alla schiena, l’ultimo 30 giorni fa a Londra”. Dal giorno in cui è stato bloccato la madre ha incontrato un paio di volte il figlio. “La prima – ha detto il legale – il giorno dopo a quello in cui era stato preso in consegna dalle autorità, in carcere al Cairo e poi dopo cinque o sei giorni trasferito dove è ora e l’ha visto sempre per un paio di minuti”. Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. Vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aveva ricordato ieri il legale – Le procedure di arresto sono state fatte utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. L’avvocato Russo ha poi spiegato che la madre si trova ancora in Egitto “assieme al fratello, che lavora nella polizia egiziana, e spera di avere notizie di un suo rilascio”. Con la donna, e con gli avvocati italiano ed egiziano e le autorità del Cairo, sono in contatto fin dall’inizio della vicenda sia l’ambasciata italiana sia la Farnesina.

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