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Economia

Alitalia-Ita scalda i motori, vicino accordo con Ue

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Ita scalda i motori e si prepara al decollo. L’accordo con l’Ue per la newco che deve prendere il posto di Alitalia e’ infatti ormai vicino: sul dossier ci sarebbe un’intesa di massima con Bruxelles, con qualche aspetto ancora da definire, e a breve il governo e la Commissione dovrebbero tornare a sentirsi per chiudere l’intesa. Che ci si stia avvicinando ad una soluzione l’ha detto chiaramente giovedi’ il ministro dell’economia Daniele Franco, che parlando in conferenza stampa accanto al premier Mario Draghi, si e’ spinto ad assicurare che su uno dei temi caldi, quello del brand, la partita e’ gia’ risolta: “verra’ comunque mantenuto”. L’accordo, secondo quanto si apprende da fonti vicine alla trattativa, ancora non c’e’, ma ci sarebbe un’intesa di massima, anche se restano ancora da negoziare alcuni punti, e sarebbe gia’ in programma una call nei prossimi giorni con Bruxelles per chiudere. Fonti della commissione, interpellate sul dossier, si limitano a confermare di essere in contatto con le autorita’ italiane. Proprio mercoledi’ il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti sara’ ricevuto a Bruxelles dalla vicepresidente Margrethe Vestager: il ministro va per parlare di altri temi e Ita non e’ di sua competenza (il Mise vigila sull’amministrazione straordinaria), ma non e’ escluso che il colloquio tocchi anche questo argomento. La svolta sarebbe arrivata nelle ultime 48, scrive il Messaggero, che al via libera dell’Ue dedica l’apertura: “Il Tesoro, dopo due call con gli uomini della commissaria Vestager, ha ottenuto da Bruxelles le rassicurazioni che voleva. E si attende, salvo sorprese, un via libera informale entro la prossima settimana”. L’intesa, secondo il quotidiano, prevedrebbe l’acquisto a trattativa diretta del ramo volo, con la nuova compagnia che dovrebbe partire con 4.500-5.000 dipendenti e circa 55-60 aeroplani; questo a patto che nel settore handling o in quello della manutenzione Ita abbia una quota non di maggioranza. Su quest’ultimo aspetto, pero’, la trattativa sarebbe ancora aperta e circola l’ipotesi che Ita sia in maggioranza nell’handling e in minoranza nella manutenzione. Andrebbe a bando anche il brand, che pero’ nella fase iniziale, per mantenere la continuita’, verrebbe ‘affittato’ ad Ita con contratto di servizio. Si tratta anche sul nodo slot, con l’ipotesi che si possa arrivare cedere qualcosa su Linate e Roma. Vedono con favore l’attesa accelerazione i sindacati, che pero’ restano cauti e rimarcano alcuni nodi. Ita non puo’ essere in minoranza nella manutenzione e nell’handling, avverte la Uiltrasporti, chiedendo di prevedere semmai l’intervento di una partecipata pubblica. Attenti a non far pagare i lavoratori, dice la Filt-Cgil, chiedendo l’avvio di un tavolo di confronto. Proposta condivisa dai piloti dell’Anp. Preoccupazione anche per le dimensioni della nuova aviolinea, con la Fit Cisl che chiede che non sia ridotta a navetta per alimentare i voli di altre compagnie. A questo punto comunque per il decollo sembra difficile che venga rispettato l’obiettivo gia’ rivisto di luglio: considerato che per la vecchia Alitalia il governo ha appena stanziato 100 milioni e che dopo l’ok dell’Ue – come spiegato dai vertici della newco – ci vogliono 60-90 giorni per la partire, difficilmente Ita volera’ prima della fine l’estate.

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Economia

Tim tratta in esclusiva col Mef su Sparkle

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La vendita di Sparkle non solo porta nelle casse di Tim altri 700 milioni di euro ma risolverebbe una ‘anomalia’ nella struttura del gruppo che ormai si è dato un’impronta da ‘società di servizi’. Non è da escludere poi che la società dei cavi internazionali possa confluire nella rete unica a cui punta il Mef che, se realizzata entro il 2026, sbloccherebbe quei 2,5 miliardi di ‘earn out’ legati alla cessione di Netco a Kkr. La Borsa, dove il titolo ha fatto un altro piccolo passo avanti (+2% a 0,26 euro) e gli analisti leggono l’operazione come positiva e si aspettano che Tim accetti la proposta del Mef e, con una quota di minoranza, del fondo spagnolo Asterion, attraverso la controllata Retelit.

E Tim non perde tempo. Il cda, dopo meno di 24 ore, si riunisce, esamina la proposta e dà mandato all’amministratore delegato, Pietro Labriola, di avviare interlocuzioni con gli offerenti, in via esclusiva, finalizzate ad approfondire i profili economici e finanziari dell’operazione e a ottenere la presentazione – entro il 30 novembre – di un’offerta vincolante secondo i migliori termini e condizioni.

L’offerta che c’è ora in campo, rispetto alla precedente di 625 milioni di euro più 125 milioni di euro di earn-out, è qualitativamente migliorativa perché i 700 milioni offerti dal Mef e da Asterion sarebbero ‘tutti subito’. “Gli 0,7 miliardi di euro di liquidità in entrata si aggiungerebbero agli 0,24 miliardi proventi dalla vendita di Inwit – ricordano gli analisti di Mediobanca – con un ulteriore taglio di 1 miliardo di euro alla posizione debitoria di Tim, portando il rapporto di leva finanziaria (ebitda/debito) ben al di sotto di 2 volte”.

Equita e Intermonte hanno invece colto le recenti dichiarazioni del direttore generale del Mef Marcello Sala a un convegno che ha espressamente indicato l’obiettivo del governo di avere “un’unica società nel Paese per la fibra ottica”. “Riteniamo che il governo italiano sia estremamente interessato a evitare un default di Open Fiber anche per il rischio di perdere 1,8 miliardi di euro di fondi Pnrr se il progetto Italia a 1Giga non sarà completato entro giugno 2026” scrivono gli analisti.

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Economia

Zuckerberg batte Bezos, è il secondo più ricco al mondo

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Mark Zuckerberg supera Jeff Bezos e diventa il secondo uomo più ricco al mondo alle spalle di Elon Musk. Zuckerberg vale 210,7 miliardi di dollari contro i 209,2 di Bezos. Musk ha una fortuna di 262,8 miliardi. E’ quanto emerge dal Bloomberg Billionaires Index.

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Economia

Salvo l’uso di ‘bistecca’ e ‘salsiccia’ per prodotti veg

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In Francia e in Unione Europea l’uso di nomi tipicamente associati alla carne per i prodotti a base vegetale è salvo: i cibi a base di proteine vegetali potranno continuare a chiamarsi ‘salsicce’, ‘bistecche’ o ‘hamburger’ e nessuno Stato membro può impedirlo. Lo ha messo nero su bianco la Corte di Giustizia dell’Ue accogliendo, in forma di sentenza, l’istanza di quattro organizzazioni francesi attive nel settore dei prodotti vegetali e vegani (l’Association Protéines France, l’Union vegetarienne européenne, l’Association végétérienne de France e la società Beyond Meat Inc.) che hanno contestato al governo di Parigi un decreto che vietava l’uso di termini come ‘bistecca’ o ‘salsiccia’ per indicare prodotti a base vegetale.

Un decreto pensato, secondo Parigi, per tutelare la trasparenza delle informazioni sui cibi, ma finito prima sul tavolo del Consiglio di Stato francese, e poi direttamente alla Corte di Lussemburgo. Per i giudici comunitari le norme sull’etichettatura alimentare tutelano già “sufficientemente i consumatori”, anche in questi casi. Dunque, uno Stato membro “non può impedire con un divieto generale ed astratto” ai produttori di alimenti a base di proteine vegetali di adempiere all’obbligo di indicare la denominazione di questi alimenti con “denominazioni usuali” o “descrittive”. A meno che il Paese non abbia adottato una “denominazione legale” per indicarli e purché le modalità di vendita o di promozione di quel prodotto non siano fuorvianti per i consumatori, inducendoli all’errore.

La Corte dell’Ue parla alla Francia, ma in realtà parla a tutta Europa, dove l’uso di termini associati a cibi contenenti proteine animali a quelli vegetali è sempre più dibattuto, soprattutto per via della diffusione di questi ultimi sul mercato europeo. Le prime divisioni a Bruxelles sono emerse nel 2020, quando nel quadro dei negoziati sulla Politica agricola comune (Pac) al Parlamento europeo di Strasburgo ci fu il tentativo di inserire nella revisione delle norme una serie di emendamenti per eliminare l’uso delle denominazioni di carne per i prodotti a base vegetale. Ma il blitz fallì e il blocco di emendamenti al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli fu respinto. Il dibattito è rimasto aperto ed è, tra l’altro, particolarmente sentito in Italia. La sentenza, ad esempio, potrebbe non piacere a Lega e FdI, che del divieto di etichettatura tradizionale per i prodotti veg ne hanno fatto da tempo una bandiera.

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