“Quando uno è un bambino e non ha nulla, a qualche cosa si deve attaccare. Io nelle prime notti ad Auschwitz notai questa stellina che mi sembrava speciale, la guardavo e dicevo: finché tu brilli anche io sarò viva. E per me quella stellina non si è mai spenta”. Hanno risuonato con una grazia speciale, seppure in un luogo che fu di dolore e ingiustizia, le parole toccanti e umanissime di Liliana Segre questa sera, in diretta su Rai1 dal Memoriale della Shoah della Stazione Centrale di Milano da dove è andato in onda “Binario 21”, evento televisivo realizzato in occasione del Giorno della Memoria. Accompagnata da Fabio Fazio, la senatrice, un cappotto scuro e una sciarpa a proteggerla dal freddo, è stata protagonista di un racconto civile collettivo e personale insieme, tornando, come tante volte ha fatto nella vita, ancora in quel sotterraneo, nascosto agli occhi nelle viscere della Stazione posta subito sopra, che tanto ha significato per lei: proprio dal Binario 21 infatti il 30 gennaio del 1944 partì il treno merci che la condusse allora tredicenne al campo di sterminio di Auschwitz, insieme ad altre 604 persone, fra cui suo padre Alberto e da dove fecero ritorno solo in 22.
Davanti al muro del Memoriale su cui campeggia la parola ‘indifferenza’ – termine che per la senatrice è “l’anticamera della violenza: come ha detto oggi il presidente Mattarella, tutto quello che è successo è accaduto nell’indifferenza generale” – Liliana Segre con cuore e lucidità ha ripercorso la sua storia, riportando tutti i presenti – dal sindaco Sala, che ha conferito l’Ambrogino d’oro alla memoria di Alberto Segre, all’ad Rai Carlo Fuortes a Roberto Bolle – e lei stessa a quella terribile giornata di 79 anni fa.
“Arrivammo qui senza capire, eravamo spinti con una brutalità pazzesca in questa specie di antro, c’erano nazisti ma anche tanti italiani ufficiali repubblichini, ci sputavano. Siamo arrivati qui nel silenzio generale della città, nessuno si affacciò dalle finestre, era tarda mattina. Chiusi nei vagoni, non capivamo niente. Mi ricordo i pianti, gli urli”, ha detto di fronte al treno dell’epoca, scegliendo però di non entrare, calpestando quello stesso pavimento rimasto ancora intatto, proprio come era allora. E ha aggiunto: “Per arrivare a non odiare quando si è perso tutto e quando sai come sono finite le persone che amavi, ci vuole un lungo percorso. Io non perdono, non son capace, ma sono riuscita negli anni a non odiare. Ho avuto tre figli, quando li allattavo non potevo odiare, una mamma non può odiare”, ha detto, osservando Fabio Fazio porre una pietra dentro uno dei vagoni in segno di commemorazione.
Donna di pace, “libera dall’odio”, in questo speciale televisivo, nel quale si sono succeduti gli interventi di Paola Cortellesi e Pierfrancesco Favino, la senatrice in un lento e doloroso riavvolgersi della memoria ha raccontato con precisione tutto ciò che ha vissuto, i fatti, le persone, i luoghi simbolo. Tante le foto mostrate (in bicicletta, quelle di famiglia con il papà e i nonni, o quelle delle vacanze, d’inverno a Bardonecchia, d’estate al mare in Liguria) ma molte di più le parole, commosse, ma sempre misurate a descrivere ogni situazione: lo shock delle leggi razziali e l’espulsione dalla scuola, la scelta tardiva (del padre) di fuggire e provare a mettersi in salvo in Svizzera, l’arresto al confine e la prigionia a Varese, Como e poi a San Vittore, nella cella 202, con un secchio per i bisogni e una branda di ferro.
“Ho ancora pena di quella bambina entrata a San Vittore, io poi ho avuto una vita completa, ma la penso spesso”, ha aggiunto, “in quel carcere i detenuti ci mostrarono solidarietà: furono gli ultimi ad avere pietà di noi”. Dopo la lettura di sei nomi di bambini vittime della Shoah – 6 nomi in rappresentanza dei 6 milioni di ebrei morti – in chiusura un toccante Va’ pensiero eseguito dal Coro della Scala.