Il Consiglio dell’Agcom ha accertato, con due diverse delibere, alcune violazioni degli obblighi di contratto di servizio da parte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. In particolare, in merito a numerosi episodi riguardanti la programmazione diffusa dalle tre reti generaliste, l’Autorita’ ha accertato il mancato rispetto da parte di Rai dei principi di indipendenza, imparzialita’ e pluralismo e ha irrogato una sanzione pecuniaria di 1,5 milioni di euro. L’Agcom – si legge in una nota – ha inoltre accertato il mancato rispetto dei principi di non discriminazione e trasparenza, in relazione al pricing effettivamente praticato, dalla concessionaria Rai, nella vendita degli spazi pubblicitari. L’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni ha deciso di irrogare la sanzione, con il voto contrario del commissario Mario Morcellini e l’astensione del commissario Francesco Posteraro, in ragione dell’ampiezza e della durata delle infrazioni, ma tenendo conto di alcune iniziative ripristinatorie. L’Autorità ha poi diffidato la concessionaria pubblica affinche’ elimini, nella vigenza del contratto di servizio 2018-2022, le violazioni e gli effetti delle infrazioni accertate, adottando specifiche misure volte a garantire il rispetto degli obblighi e a evitare il ripetersi delle violazioni in futuro, richiamando l’importanza della responsabilita’ editoriale pubblica della concessionaria.
“Nella vigilanza della missione di servizio pubblico – precisa Agcom – non sono le singole fattispecie, su cui la societa’ ha spesso messo in atto azioni ripristinatorie o correttive, a rilevare ma l’effetto che tali condotte hanno generato e potrebbero generare sui valori della collettivita’ e i diritti dei cittadini, nonche’ sul valore di utilita’ pubblica e sociale del canone del servizio della concessionaria”. L’Autorita’ ha inoltre accertato, all’unanimita’, il mancato rispetto dei principi di non discriminazione e trasparenza, in relazione al pricing effettivamente praticato, dalla concessionaria, nella vendita degli spazi pubblicitari. Di conseguenza, l’Agcom ha diffidato la Rai a cessare immediatamente i comportamenti contestati, anche al fine di consentire ad Agcom la verifica del corretto utilizzo delle risorse pubbliche (canone) e private (pubblicita’) per il finanziamento delle attivita’ e della programmazione di servizio pubblico.
I vertici Rai. L’Ad Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa
La Rai risposta della Rai sulla sanzione non si è fatta attendere. A stretto giro la Rai, con una nota, spiega che “prende atto con grande stupore delle decisioni del Consiglio di oggi dell’Autorita’ che ha inteso censurare il Servizio pubblico per asserite violazioni del Contratto di servizio, segnatamente in tema di pluralismo informativo”. “Nel riservarsi di esaminare in dettaglio il provvedimento quando sara’ notificato, per una piu’ compiuta valutazione nel merito – si legge in una nota di Viale Mazzini -, Rai non mancherà di rappresentare nelle opportune sedi la correttezza del proprio operato in coerenza con il ruolo assegnatole dalle leggi, anche da quelle che tutelano l’autonomia dei giornalisti”. “Il Servizio pubblico – prosegue la nota – resta sempre impegnato, anche nella presente complessa congiuntura, nella tutela della libera informazione e nella rappresentazione corretta del dibattito presente nel Paese a beneficio in primo luogo dei cittadini che pagano il canone, tutto cio’ sempre nel piu’ scrupoloso rispetto delle norme cui e’ sottoposto”.
L’esecutivo Usigrai, il sindacato interno dei giornalisti, spiega che “la multa ora la deve pagare chi ha sbagliato. Gli errori che hanno portato l’AgCom a sanzionare la Rai non possono ricadere su tutti i dipendenti e sui cittadini. Il provvedimento dell’Autorita’ e’ senza precedenti, e dimostra che le nostre denunce su violazioni dei valori del contratto di servizio erano fondate”. “Ora pero’ serve che si stabilisca il principio che chi sbaglia paga – prosegue il sindacato dei giornalisti -. Ma la responsabilita’, oltre che economica, e’ etica e professionale: chi ha consentito, in testate giornalistiche e reti, la violazione reiterata e manifesta dei valori del Servizio Pubblico ha dimostrato di non poter piu’ restare al proprio posto. Per questo auspichiamo che l’AgCom renda noti i fatti sui quali ha fondato la propria decisione”.
“Dopo la sanzione da 1,5 milioni di euro alla Rai da parte dell’Agcomche ha accertato la violazione del contratto di servizio relativamente agli obblighi di imparzialita’, pluralismo, trasparenza, indipendenza del servizio pubblico all’Ad Salini non resta che valutare la propria permanenza al vertice dell’azienda cosi’ come la permanenza degli attuali vertici dell’informazione”. Cosi’ in una nota il vicecapogruppo Pd alla Camera Michele Bordo. “Le ripetute violazioni del contratto di servizio, accertate dall’Agcom e richiamate piu’ volte in questi mesi, rappresentano una doppia beffa ai danni della qualita’ dell’informazione Rai per i cittadini che dovranno anche pagare la multa visto che ne sono azionisti attraverso il Governo. Per Salini e per il management e’ l’ora della verita’”, ha detto ancora il vicecapogruppo Pd alla Camera Michele Bordo.
“La notizia della sanzione alla Rai da parte dell’Agcom e’ molto grave, ma altrettanto grave e’ che la stessa Agcom dia notizia della multa per gravi violazioni del contratto di servizio pubblico senza indicare le trasmissioni a cui si riferisce. Che nell’azienda pubblica ci siano dei problemi non e’ una novita’ e noi li abbiamo denunciati. Ma questa sortita dell’Authority e le divisioni interne che emergono sulla decisione presa destano preoccupazione e allarme. Aspettiamo cheAgcom fornisca la documentazione dettagliata sulla vicenda. Dopodiche’ come MoVimento 5 Stelle faremo le nostre valutazioni. Sulla Rai non accettiamo giochetti. La par condicio e’ fondamentale, ma dall’Authority vogliamo sapere chi l’ha violata e come”. Cosi’, in una nota, il vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai, Primo Di Nicola, del MoVimento 5 Stelle.
“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.
“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.
L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.
Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.
Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.
L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.
La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.
“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.