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Addio al mitico Carletto Mazzone, primatista di panchine nel cuore della gente

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E’ morto oggi ad Ascoli Piceno Carlo Mazzone, storico allenatore dell’Ascoli e di tante altre squadre. Lo hanno confermato fonti di famiglia all’ANSA. Aveva 86 anni. Conosciuto come Sor Carletto, era il detentore di record di panchine in serie A: 792 quelle ufficiali, 797 considerando anche i cinque spareggi. Nel 2019 gli è stata intitolata la nuova tribuna Est dello stadio “Cino e Lillo Del Duca” di Ascoli Piceno, e nello stesso anno è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano.

Il primatista di panchine, veterano dei tecnici, ‘padre’ adottivo di tanti calciatori. L’immagine della corsa sfrenata di Carlo Mazzone sotto la curva avversaria dopo un pari in Brescia-Atalanta, a sfogare la rabbia per gli insulti ricevuti, lo ha inseguito a dispetto di una carriera a schiena dritta, povera di risultati eclatanti ma ricca di riconoscimenti personali. Ma con la morte di Mazzone, se ne va il re dei tecnici di provincia, dove per provincia si intende il cuore del calcio italiano. Li’ dove la passione regna, oltre il palmares o i soldi spesi. Mazzone e’ stato primatista di presenze sulle panchine della Serie A, con 795, oltre che veterano dei tecnici in attivita’ prima di ritirarsi a fare il nonno nella ‘sua’ Ascoli. Il ‘sor Magara’ – epiteto guadagnato dal suo modo romano di storpiare l’esclamazione, moltiplicandola all’infinito – non è stato soltanto un allenatore di calcio ma anche, per molti ragazzi che hanno lavorato con lui, un secondo padre. Non a caso, un film dell’ottobre 2022 su di lui era intitolato proprio così, “Come un padre”.

Perché tutti conoscono il tecnico, ma pochi hanno conosciuto veramente l’uomo che c’era dietro e quanto sia stato importante per la carriera e la vita di gente come Totti, Baggio, Guardiola (che gli dedicò la vittoria della Champions del 2009), Materazzi, Toni, Pirlo e tanti altri. Di sicuro Mazzone non avrà vinto come altri suoi illustri colleghi, ma ha ottenuto il successo più grande: essere rimasto nel cuore di tutti, gente comune e addetti ai lavori, a prescindere dal tifo e dal colore della maglie. Baggio nel suo contratto con il Brescia fece mettere una clausola che prevedeva l’interruzione dell’accordo con i lombardi qualora il tecnico romano fosse stato esonerato. E fu un suo gol per il 3-3 nel derby con l’Atalanta a scatenare quella corsa del tecnico furioso, spiegò poi, “per le offese fatte a mia madre, a Roma quelle parole sono una cosa molto grave”. In una scuola, quella italiana degli allenatori, che è una delle migliori del mondo, con gente come Rocco, Trapattoni, Sacchi, Lippi, Capello, Ranieri, Ancelotti, Conte ed Allegri, lui ‘romano de Roma’, e trasteverino, è il simbolo dei tecnici di provincia, termine che non lo hai fatto sentire minore di altri, anzi il contrario perché quell’Italia non da primissima pagina è sempre stata la sua forza.

Mazzone lo aveva capito fin da quando era calciatore e la Roma lo mandò ad Ascoli per ‘farsi le ossa’ e lui, invece, decise di rimanervi non solo a giocare ma anche a vivere. E ad Ascoli il suo nome rimarrà per sempre legato, perché fu lui, da allenatore, a regalare la prima storica promozione in Serie A alla squadra marchigiana, una delle prime in Italia a giocare un calcio totale ‘all’olandese’, come andava di moda in quegli anni ’70.

Come presidente aveva Costantino Rozzi, altra indimenticabile icona di un calcio ‘verace’. In panchina Mazzone era passione e grinta, simbolo di uno sport vero e genuino, senza tanti schemi, ripartenze e alchimie tattiche da ‘professori’, ma basato principalmente sulla cultura del lavoro, la voglia di andare in campo e di regalare gioia e divertimento ai tifosi. La sua carriera da allenatore è durata quasi 40 anni, sulle panchine di Ascoli, Fiorentina, Catanzaro, Bologna, Lecce, Pescara, Cagliari, Roma (allenarla fu per lui un sogno realizzato), Napoli, Perugia, Brescia e Livorno, con cui ha stabilito il record di panchine nella storia del calcio italiano, con 1.278 ufficiali. Ma i numeri non dicono tutto, tanto meno nel caso di Mazzone, primatista di presenze anche nei cuori della gente.

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Spalletti entra nella Hall of Fame, un’altra emozione

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“Nessuno sa quello che ho sofferto per averle a disposizione, quelle scarpe lì”: e ora i vecchi scarpini di Luciano Spalletti sono uno dei cimeli patrimonio della Hall of Fame del calcio italiano, di cui il ct della Nazionale è entrato ufficialmente a far parte oggi. Un riconoscimento conferito, al centro tecnico federale di Coverciano, anche a Daniele De Rossi, Andriy Shevchenko, Valentina Giacinti, Roberto Boninsegna e Ariedo Braida. “Mi emoziona avere un riconoscimento di questo livello, pensando a tutti quelli che mi hanno preceduto, e a quelli seduti vicino a me stasera”, ha detto Spalletti ai cronisti.

“Ho visto i più brutti campi sportivi e poi ho visto gli stadi più belli del mondo da allenatore”, ha osservato, spiegando che “anche se sembrano mondi apparentemente distanti poi invece sono vicinissimi, perché quelle che fanno da traino sono le emozioni: io mi sono sempre emozionato in tutte queste situazioni molto differenti fra loro”. Per Gabriele Gravina, presidente della Figc, Spalletti e tutti gli altri “rappresentano dei modelli da seguire”, e per questo “nessuno li dimenticherà mai”.

Premi alla memoria per Agostino Di Bartolomei e Vincenzo D’Amico, storiche bandiere di Roma e Lazio, e Manlio Scopigno, allenatore del Cagliari dello scudetto, mentre il premio ‘Davide Astori’ per il fair play è andato al medico psichiatra Santo Rullo per il progetto ‘Crazy for Football’, la nazionale di calcio a 5 per persone con problemi di salute mentale. Tra i presenti De Rossi, sul palco, ha ricordato l’avventura del Mondiale 2006 e il rigore segnato ala Francia: e a chi gli chiedeva della frase “Qui non ci torno più”, che secondo alcune ricostruzioni avrebbe detto il giorno dell’esonero a Trigoria, ha risposto precisando di non averlo mai detto, perché lì “sono di casa”, e “come torno a Coverciano, tornerò anche a Trigoria”.

Shevchenko ha letto una lettera al calcio italiano, piena di affetto per gli anni al Milan, e con un appello agli Azzurri di oggi: “Il calcio italiano è amatissimo in tutto il mondo, difendetelo e onoratelo”. Braida, che portò il campione ucraino in Italia da dirigente rossonero, si è commosso: “Si parla sempre di algoritmi, e sono utili – ha detto – ma i calciatori hanno gli occhi e il cuore che l’algoritmo non ha. Vedere Sheva mi emoziona: ho fatto l’impossibile per portarlo al Milan, e sono orgoglioso”.

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Sinner incoronato, è il re del tennis nel 2024

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Non poteva esserci un luogo migliore delle Atp Finals di Torino per incoronare Jannik Sinner come re del tennis mondiale nel 2024. L’investitura ha avuto come scenario la Inalpi Arena, sede del ‘torneo dei maestri’. Il tennista altoatesino è stato premiato per aver chiuso l’anno al numero 1 del ranking: succede nell’albo d’oro a Nole Djokovic e Carlos Alcaraz. Un anno che ha dominato, con la vittoria di due slam (Australian Open e Us Open) e di tre Atp Masters 1000. A consegnargli il prestigioso riconoscimento è stato Boris Becker, indimenticato campione degli anni ’80 e ’90. “Non c’è posto più bello per festeggiare questo trofeo. Torino è sempre stata importante per me, festeggiare con tutti voi è davvero speciale” ha detto un emozionato Sinner, aggiungendo: “Questo è un club molto molto esclusivo, ne fanno parte solo 29 persone. Quando ero giovane non pensavo di arrivare a questo punto, ma piano piano e con tanto lavoro ci sono arrivato”.

Domani l’azzurro sfiderà lo statunitense Taylor Fritz, numero 5 del ranking mondiale, reduce dal convincente successo su Daniil Medvedev. L’ultima volta che i due si sono affrontati è stato l’8 settembre scorso alla finale degli Us Open: nell’occasione finì con un largo successo dell’altoatesino, 6-3, 6-4, 7-5 in due ore e 15 minuti di gioco. Sinner ha preparato il match con la solita, maniacale, attenzione: due ore di allenamento tra campo e palestra (Fritz ha preferito conservare le energie e ha svolto una sessione più leggera, di circa un’ora).

Allo Sporting di Torino, sotto gli occhi attenti di Simone Vagnozzi e Darren Cahill, l’azzurro nel pomeriggio ha svolto una sessione completa: prima un’ora con lo sparring partner e poi un’ora con il team. Esercizi sulle diagonali, sulle volée, sugli smash, sui servizi e sulle risposte. Hanno studiato la strategia migliore per affrontare Fritz. E’ scattato l’applauso quando Jannik ha cambiato il campo e si è piazzato sotto la tribuna. Sugli spalti dalla parte opposta i familiari – mamma, papà, fratello e zio – hanno seguito l’allenamento. Una pallina dietro l’altra, colpi piatti alternati a colpi ‘arrotati’. Sinner “sul pezzo”, Vagnozzi non ha avuto bisogno di stimolarlo. Solo a metà allenamento il team si è fermato per qualche minuto e in panchina l’atmosfera si è sciolta.

Ormai è tutto pronto per l’ennesima sfida di un anno esaltante. Domani alle 20.30 l’atmosfera sarà bollente all’Inalpi Arena, sempre gremita in questi giorni. Ed è proprio sull’entusiasmo della piazza che si punta per avere la conferma di Torino come sede della prestigiosa manifestazione anche per il quinquennio 2026-2030. Nell’ambiente sportivo si dà per scontato che le Nitto Atp Finals resteranno in Italia: per la destinazione sono in ballo Torino e Milano – anche con un possibile ticket – con quest’ultima preferita da alcuni sponsor. La decisione si conoscerà solo domenica prossima, il giorno della finale. A livello sportivo è inutile fare pronostici per ora, le soprese sono dietro l’angolo: dopo la sconfitta di Medvedev con Fritz è arrivata anche quella di Alcaraz con Ruud. Troppo falloso lo spagnolo (frenato da un’indisposizione), che ha perso in due set 6-1, 7-5.

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Salernitana, esonerato Martusciello: il tecnico paga per una gestione sportiva complessa e difficoltosa

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La Salernitana ha ufficializzato l’esonero di Giovanni Martusciello dalla guida tecnica della prima squadra. La società campana ha comunicato la decisione, ringraziando l’allenatore per la dedizione e la professionalità dimostrate fin dall’inizio dell’incarico. Nonostante l’impegno del tecnico, la direzione ha scelto di interrompere il rapporto e ora il nome più accreditato per la sostituzione sembra essere quello di Stefano Colantuono, già responsabile del settore giovanile granata, che potrebbe tornare a guidare la squadra per la quarta volta.

L’allontanamento di Martusciello non è però una questione di sola responsabilità tecnica. Il tecnico paga infatti una gestione sportiva complessa e difficoltosa, segnata da una campagna acquisti poco efficace e da numerose cessioni di calciatori validi. Nonostante queste difficoltà, Martusciello era riuscito a costruire una squadra competitiva, capace di esprimere un ottimo gioco in molti incontri. Tuttavia, il reparto offensivo è stato il punto debole: dopo la cessione di Boulaye Dia alla Lazio, una punta di riferimento non è stata degnamente sostituita, lasciando un vuoto che ha pesato notevolmente sulle prestazioni offensive.

Inoltre, il tecnico ha dovuto fare i conti con una rosa segnata da infortuni e problemi fisici, costringendolo a schierare frequentemente giocatori fuori condizione o non in perfetta forma fisica. Nonostante queste difficoltà, la squadra ha mostrato buone qualità in difesa e centrocampo, ma la mancanza di incisività in attacco ha limitato fortemente i risultati.

Ora si guarda al futuro: con Colantuono in pole position per la panchina, la Salernitana avrà la possibilità di ripensare una strategia di mercato che supporti adeguatamente la guida tecnica. L’obiettivo sarà offrire al prossimo allenatore una rosa ben equilibrata, priva di debolezze che, come nel caso di Martusciello, hanno pesato non solo sui risultati, ma anche sulla carriera di un tecnico che ha sempre lavorato con grande dedizione per il club.

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