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Spettacoli

Addio a Glauco Mauri, maestro del teatro italiano

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Il teatro italiano perde uno dei suoi volti più straordinari: Glauco Mauri, attore e regista di immenso talento, si è spento all’età di 93 anni. Nato a Pesaro nel 1930, il prossimo 1° ottobre avrebbe compiuto 94 anni. Colpito da un malore nei giorni scorsi, aveva recentemente rinunciato ad andare in scena con “De Profundis” al Teatro Vascello di Roma.

Glauco Mauri debuttò giovanissimo sul palcoscenico, ottenendo il suo primo ruolo da protagonista a soli 15 anni in una compagnia amatoriale di Pesaro. Da quel momento, il teatro divenne la sua vita. Nel 1949 fu ammesso all’Accademia di Arte Drammatica di Roma, diretta da Silvio D’Amico, il suo debutto professionale avvenne nel 1953, quando interpretò il Macbeth di Shakespeare. Nello stesso anno, Mauri conquistò il pubblico con la sua interpretazione di Sir Tobia in La dodicesima notte di I fratelli Karamazov.

Nel 1981, insieme a Roberto Sturno, fondò la Compagnia Glauco Mauri , Compagnia Mauri-Sturno.  Glauco Mauri ha interpretato e diretto oltre 40 produzioni, dando vita a ruoli memorabili tratti dai più grandi autori della letteratura mondiale. Tra le sue interpretazioni più significative spiccano Re Lear , Edipo a Colono di Sofocle, il Faust.

Con la sua scomparsa, il teatro perde un interprete straordinario e un uomo che ha dedicato tutta la sua vita all’arte.

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Musica

David Gilmour al Circo Massimo, tra passato e presente

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L’incontro tra passato e presente. Tra ciò che è stato e ciò che è. David Gilmour è tornato sul palco dopo otto anni e lo ha fatto portando i brani del suo ultimo album appena uscito (il 6 settembre), Luck and Strange, mescolandoli con quelli della storia leggendaria dei Pink Floyd. Dopo le due anteprime a Brighton, in Gran Bretagna, il chitarrista britannico ha dato il via da Roma al tour mondiale, con la prima delle sei serate in programma al Circo Massimo (poi 28 e 29 settembre, 1, 2 e 3 ottobre, unici spettacoli nell’Europa continentale), davanti a 15mila persone – altrettante sono attese per ciascuna delle altre serate – rigorosamente sedute nell’arena appositamente costruita per l’occasione. “Buona sera”, ha salutato in italiano il 78enne artista che ha imbracciato la sua chitarra per quasi tre ore di show (con pausa di mezz’ora annessa), uno spettacolo di luci, laser e fumogeni colorati, dove la musica è stata la regina incontrastata tra assoli di chitarra e un solido impianto strumentale a sostenere il tutto. Un concerto che strizza l’occhio alla nostalgia, senza farsene però ingabbiare e senza compiacimento verso un passato che pure esiste.

L’apertura è affidata a 5 A.M. tratto da Rattle That Lock, mentre la chiusura è un omaggio alla sua vecchia band con Comfortably Numb. Nel mezzo 60 anni di storia. Sei le canzoni soliste di Gilmour che hanno visto il loro debutto dal vivo: Luck and Strange, Black Cat, The Piper’s Call, Dark and Velvet Nights, Scattered e la sua cover di Between Two Points dei Montgolfier Brothers, che canta insieme alla figlia 22enne Romany (“Ho dimenticato qualcuno?”, scherza quando la presenta insieme al resto della band). Poi pesca a piene mani dal repertorio dei Pink Floyd, dall’immancabile Wish you were here a Sorrow, passando per Fat Old Sun e Marooned che non entrava in scaletta dal 2004.

Ma altri brani mancavano da tempo, come Breathe (In The Air) (da The Dark Side Of The Moon e A Great Day For Freedom (contenuto in The Division Bell come Marooned). Tra i brani iconici dei Pink Floyd fa capolino anche Time. Dietro di lui, uno schermo circolare rimanda immagini e luci. Su High Hopes i palloni che compaiono nel visual si materializzano come una magia sulle teste del pubblico. Gilmour ringrazia più volte il pubblico durante la serata (“Thank you, Thank you indeed”) e anche la città che lo ospita (“Che bella serata qui a Roma”), tra gli applausi dei presenti, tra i quali anche Sabrina Ferilli e il musicista Phil Palmer. Sul bis, la compostezza dei posti a sedere apre la strada alla corsa sotto palco dei 15mila. Dopo Roma, Gilmour suonerà a Londra e Los Angeles, con la band composta da Guy Pratt al basso, Greg Phillinganes e Rob Gentry alle tastiere, Adam Betts alla batteria, Ben Worsley alla chitarra e Louise Marshall insieme a Hattie e Charley Webb alle voci.

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Cinema

Addio Maggie Smith, icona di Harry Potter e Dowton Abbey

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Un volto e una voce unici, irripetibili e inconfondibili nelle sue capacità di espressione: una leggenda del teatro britannico e del cinema mondiale. Il Regno Unito e moltitudini di spettatori sparsi per il pianeta dicono addio a Maggie Smith, attrice iconica, protagonista d’interpretazioni memorabili in più di 70 anni sulle scene, morta oggi 89enne in un ospedale di Londra. “È con grande tristezza che dobbiamo annunciare la morte di Dame Maggie Smith”, ha scritto la famiglia nel rendere pubblica la notizia, non senza ricordarne quel titolo di ‘dame’, frutto della decorazione a cavaliere dell’ordine dell’impero britannico concessole a suo tempo dalla regina Elisabetta II, raramente più meritato e dovuto.

“È spirata pacificamente in ospedale questa mattina presto, venerdì 27 settembre”, hanno precisato in un breve comunicato i due figli, Chris Larkin e Toby Stephens, attori come lei. Innescando una cascata di messaggi di cordoglio, dal mondo delle istituzioni britanniche a quello dell’arte e della cultura, da Londra a Hollywood al resto del pianeta. L’aggettivo “leggendaria”, troppo spesso abusato, si adatta del resto alla perfezione alla sua lunga, straordinaria carriera: iniziata negli anni ’50 sul palcoscenico inglese dell’Oxford Playhouse Theatre come interprete shakespeariana, sino agli esordi cinematografici al tramonto di quel decennio, al temporaneo trasferimento negli Usa negli anni ’60 e ai primi grandi successi dei ’70.

Una carriera andata avanti fino ad appena un anno fa, quando recitò in ‘The Miracle Club’, di Thaddeus O’Sullivan, e che non si esaurisce certo nella pur enorme popolarità globale assicuratale in età matura, negli anni 2000, sia dalla saga cinematografica di Harry Potter (dove fu l’unica attrice ad essere personalmente richiesta dall’autrice JK Rowling, per la parte di Minerva McGranitt, e in cui recitò a dispetto di un tumore al seno poi superato), sia dalla serie televisiva cult Downton Abbey (nelle vesti di Violet Crawley, inflessibile contessa madre di Grantham). Come dimostra un palmares d’eccezione in cui spiccano non solo i due premi Oscar ricevuti nel 1970 come migliore attrice protagonista per ‘La strana voglia di Jean’ di Ronald Neame (nei panni dell’anticonformista professoressa Jean Brodie) e come non protagonista accanto a Michael Caine in ‘California Suite’ di Herbert Ross (1979); ma pure altre quattro nomination dell’Academy hollywoodiana, tre Golden Globe, cinque premi BAFTA britannici, cinque Screen Actors Guild Awards, quattro Emmy, un Tony Award e tutta una serie di candidature sparse lungo i decenni.

Il segno di un riconoscimento a tutto tondo del suo talento, e di una personalità tanto marcatamente inglese quanto universale, che già nel 1963 – anno in cui il grande Laurence Olivier le offrì la parte di Desdemona accanto al suo trionfale Otello sulle tavole del National Theatre – le aveva permesso “quasi di rubare la scena” a Richard Burton e Liz Taylor – nella parole della critica – comparendo da coprotagonista nel suo primo vero film di successo al cinema, ‘International Hotel’ di Anthony Asquith. Il tutto passando attraverso esperienze e generi di ogni tipo, da ‘Camera con vista’ di James Ivory (1985) a ‘Gosford Park’ di Robert Altman (2001, ultima sua nomination all’Oscar); da ‘In viaggio con la zia’, di George Cukor (1972) a ‘Il giardino segreto’ e ‘Washington Square’ di Agnieszka Holland. Senza dimenticare i ruoli nei kolossal ‘Assassinio sul Nilo’, tratto da Agatha Christie, del 1978, o ‘Capitan Uncino’, di Steven Spieberg, del 1991, entrambi con cast stellari; o ancora le partecipazioni in ‘Sister Act’ e ‘Sister Act 2’, la reunion datata 2004 in ‘Ladies in Lavender’ con l’amica e coetanea Judi Dench, altra grandiosa dama del cinema e del teatro d’oltre Manica, e la prova magistrale esibita a 80 anni compiuti in ‘The Lady in the Van – La signora del furgone’, del 2015, valsale l’ennesima candidatura a un Golden Globe.

E infine, sul fronte dei rapporti con l’Italia, l’incontro con Franco Zeffirelli: dapprima in teatro a Londra, poi sul set cinematografico di ‘Un tè con Mussolini’ del 1999. Nata a a Ilford, nell’Essex, il 28 dicembre 1934, Maggie Smith si è sposata due volte: la prima nel 1967 con l’attore Robert Stephens, dal quale ha avuto entrambi i suoi figli e da da cui divorziò nel 1975 dopo un matrimonio segnato da infedeltà e alcolismo; la seconda col drammaturgo Beverley Cross, morto nel 1998. Ora, la sua uscita di scena.

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Spettacoli

Tony Effe a Vanity Fair, ‘il dissing con Fedez è tutto un gioco’

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Nicolò Rapisarda, in arte Tony Effe, parla in esclusiva a Vanity Fair del dissing più chiacchierato del momento che lo vede coinvolto insieme a Fedez. Protagonista della cover digitale di questa settimana, il rapper romano, 33 anni, una band con cui ha raggiunto successo e fama (la Dark Polo Gang), una hit estiva da milioni di stream (Sesso e samba, con Gaia), un tour nei palazzetti in partenza a breve, è l’autore della canzone virale Chiara, piena di accuse e insulti al rapper di Rozzano. Com’è cominciato il dissidio con Fedez? Eravate amici, poi che cos’è successo?

“Ma no, è solo musica. Il dissing è una cosa che si fa da sempre e che non si deve spiegare, altrimenti finisce il gioco. C’è chi sfrutta l’onda per i propri scopi, chi per divertirsi come me”, la risposta. “Fa parte del gioco”, aggiunge Tony Effe che ricorda “Il dissing esiste da sempre, l’ultimo famoso è quello tra Kendrick Lamar e Drake. Forse in Italia la gente non lo capisce. È solo musica”. È stato accusato di misoginia per come parla delle donne nel dissing.

“Non sono misogino, ci mancherebbe, io lavoro con le donne e le tratto benissimo. È solo musica e bisogna leggere quel verso nel contesto: è rap. Si usano quelle parole, quella forma. Si raccontano cose belle, cose brutte, si raccontano le donne in tutte le sfaccettature”. “È una battaglia a chi fa più male. Magari la gente che non conosce questa cultura non capisce”. Ma perché tirare in mezzo le donne? “Perché le donne sono più potenti di noi”. Può esistere un rap non misogino? “Può esistere ma non è il mio rap. Io poi faccio di tutto, anche pop. Sono bravo a fare tutti i tipi di musica, molto semplicemente”.

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