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Cronache

Accusò Creazzo di abusi sessuali, ora Csm la censura

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Nel 2021 la Sezione disciplinare del Csm aveva condannato l’allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo alla perdita di 2 mesi di anzianità con l’accusa di aver molestato sessualmente la collega Alessia Sinatra. A distanza di quasi due anni lo stesso “tribunale” , ma in una diversa composizione, ha condannato lei alla sanzione della censura, per aver tenuto un comportamento “gravemente scorretto” nei confronti di Creazzo. La sentenza è arrivata inaspettata, visto che la Procura generale della Cassazione aveva chiesto l’assoluzione. E ha provocato reazioni anche fuori dal Csm. La protagonista del caso non parla. E’ “sconvolta” dice ora il suo avvocato Mario Serio, che denuncia: questa sentenza rappresenta un “precedente pericoloso” e segna un “grave arretramento nella difesa delle vittime di abusi in ambito lavorativo”. Critiche che trovano eco anche nel mondo della politica . Ad attaccare il Csm è soprattutto il Terzo Polo. E’ “un pessimo segnale per tutte le donne vittime di molestie” sostiene Raffaella Paita, presidente del gruppo di Italia Viva in Senato, evidenziando che lo stesso Csm ha invece condannato “a una pena ridicola” l’ex procuratore.

E’ “pazzesco” e “incredibile”, commenta Enrico Costa. “Solo il Csm può usare il disciplinare per censurare la vittima, mentre usa il guanto di velluto con il colpevole”, rilancia Ivan Scalfarotto. Anche Alleanza Verdi e Sinistra critica la sentenza: “Sembra una vicenda uscita da altri tempi – osserva la capogruppo alla Camera Luana Zanella – Preoccupa, perché suggerisce omertà e silenzio alle vittime”. L’accusa nei confronti di Sinatra era basata sui messaggi che lei aveva inviato all’ex presidente dell’ Anm Palamara, all’epoca leader di Unicost, (“giurami che il porco cade subito”, “il mio gruppo non lo deve votare”) quando Creazzo concorreva per la nomina a procuratore di Roma che il Csm avrebbe dovuto decidere a breve. Secondo la contestazione la pm voleva cosi’ tentare di condizionare negativamente i consiglieri per una sorta di “rivincita morale” sul capo dei pm di Firenze. Lei non aveva denunciato Creazzo e la vicenda era venuta fuori quando i pm di Perugia avevano messo sotto inchiesta Palamara. Dura la reazione dell’avvocato di Sinatra, che ricorda che la sua assistita è stata “vittima di accertati abusi sessuali da parte di un collega” e ha avuto “la sola colpa di avere in una conversazione privata reso manifesta la sua indignazione per la possibile promozione dell’autore del gesto”: è un precedente pericoloso sia sul piano giurisprudenziale sia sul piano del costume sociale”.

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Maxi sequestro nell’eredità Agnelli: trust fittizi e donazioni sospette per 170 milioni di euro

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L’inchiesta sull’eredità di Gianni Agnelli si arricchisce di nuovi dettagli con il sequestro di 74,8 milioni di euro disposto dal tribunale di Torino. Al centro dell’indagine, una complessa rete di trust fittizi alle Bahamas e donazioni false di gioielli e preziosi per un valore complessivo di 170 milioni di euro, attribuite a Marella Caracciolo, vedova Agnelli, deceduta nel 2019. Secondo i magistrati, questa strategia era finalizzata a eludere il fisco italiano e a limitare le pretese ereditarie della figlia Margherita Agnelli.

Le indagini, condotte dalla guardia di finanza, hanno rivelato che John, Lapo e Ginevra Elkann avrebbero gestito l’eredità della nonna tramite trusts alle Bahamas denominati “Providenza Settlement” e “Providenza II Settlement”, nascondendo beni per 800 milioni di euro. Gli inquirenti ipotizzano che molte donazioni, tra cui un paio di orecchini con diamanti del valore di 78 milioni di euro, siano state registrate come falsi regali fatti in vita, al fine di evitare la tassa di successione.

Gli avvocati della famiglia Elkann contestano le accuse, dichiarando che i fratelli hanno sempre rispettato i loro obblighi fiscali. Nel frattempo, Exor, la holding del gruppo Agnelli, continua a prosperare, con un patrimonio netto aumentato di 2,9 miliardi nel primo semestre del 2024, senza risentire delle vicende giudiziarie.

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Dossier, spuntano altri 200 mila documenti scaricati

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Sono tanti gli atti, oltre 200 mila, che la Procura di Perugia ritiene siano stati scaricati illecitamente dal tenente della guardia di finanza Pasquale Striano dalla banca dati della Direzione nazionale antimafia tra il 2019 e il 2022. Che si aggiungono alle migliaia di accessi abusivi già contestati. Numeri che appaiono forse anche il triplo di quelli ipotizzati inizialmente considerando anche i file prelevati dalle banche dati con le segnalazioni di operazioni sospette, dalla Serpico e da quella in uso alle forze di polizia. Un quadro delineato dalle annotazioni relative ad attività integrative d’indagine che l’Ufficio guidato da Raffaele Cantone ha depositato oggi al tribunale del Riesame a sostegno delle esigenze cautelare nel ricorso contro la decisione del gip di non applicare gli arresti domiciliari a Striano a Laudati e all’ex sostituto procuratore della Dna, Antonio Laudati. Istanza alla quale si oppongono le difese dei due indagati. Con gli avvocati Massimo Clemente, per Striano, a Andrea Castaldo, Laudati, che hanno chiesto il rigetto dell’acquisizione ritenendo irrituale il deposito di atti integrativi di indagine. In attesa della decisione dei giudici l’indagine sembra destinata a riservare altre sorprese e la stessa Procura guidata da Raffaele Cantone aveva già sottolineato che “non è prevedibile la conclusione in tempi brevi”.

Quella che per i magistrati è la prova degli, ulteriori, oltre 200 mila file scaricati, è stata depositata al Riesame ma non ancora formalmente contestata a Striano. Nell’annotazione si fa riferimento anche alle migliaia di nuovi accessi individuati alle altre banche dati. Tutto relativo a prima che venisse avviata l’indagine di Perugia. In seguito alla quale Striano è stato trasferito in un reparto non operativo e privato delle password per accadere alle banche dati e Laudati ha lasciato il suo ruolo. Dall’indagine è già emerso che alcuni dei documenti sono finiti ai giornalisti mentre rimane il mistero su a chi sia stata destinata la parte più cospicua. Nella richiesta di arresti domiciliari la Procura ha sostenuto che Laudati e Striano avrebbero condiviso una modalità di lavoro del tutto “abusiva e sganciata dai compiti istituzionali della Dna”.

In particolare gli accessi abusivi contestati al tenente della guardia di finanza hanno riguardato 172 soggetti. Gli inquirenti ritengono che abbia scrutinato dati soprattutto patrimoniali di una “moltitudine” di soggetti. Come politici, calciatori, personaggi dello spettacolo, imprenditori e ministri. Tanto che dell’indagine di Perugia si stanno occupando anche la Commissione parlamentare Antimafia e il Copasir. Ma ha avuto riflessi anche Oltre Tevere. “Se la mia testimonianza può essere utile per ricostruire la verità, mi rendo pienamente disponibile”, ha detto il cardinale Angelo Becciu parlando della sua disponibilità ad essere ascoltato. Nel caso è infatti emerso che anche persone del Vaticano, in relazione al processo sul palazzo di Londra, sono state spiate da Striano.

“Questa storia dei dossieraggi mi ha totalmente sconvolto”, ha affermato Becciu. “Si parla di tantissimi accessi, più del doppio di quelli già contestati, ma dobbiamo vedere gli atti”, ha detto intanto il difensore di Striano, al termine dell’udienza al Riesame. Il legale ha spiegato che valuterà la possibilità di dichiarazioni spontanee da parte del suo assistito. L’avvocato Castaldo ha detto di ritenere “non utilizzabili” gli atti prodotti dai pm e quindi da non inserire nel fascicolo” (per il magistrato l’annotazione di un colloquio).

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Turetta a genitori: ho peggiorato il mondo, rinnegatemi

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C’è un Turetta feroce assassino, raccontato nelle carte degli inquirenti, e un Turetta prostrato, in ansia per i genitori, raccontato negli scritti che inviò loro durante i giorni trascorsi nel carcere di Halle, subito dopo il suo arresto in Germania. Lasciando a chi ne ha il compito capire se le due immagini possono stare assieme, Filippo Turetta, allo stato degli atti, è quello sotto processo in Corte d’Assise a Venezia, accusato dai magistrati di aver massacrato con 75 coltellate l’ex fidanzata, Giulia Cecchettin, appena 22enne. Il Turetta che il 19 novembre 202, dal penitenziario di Halle, scrive ai genitori dopo che la polizia tedesca ha messo fine alla sua fuga, pare del tutto conscio dell’orrore di cui si è macchiato: “ho un po’ di paura a tornare in Italia – scrive al padre e alla madre – Non sapevo e non avrei mai immaginato tutto questo. Ho generato tanto odio e rabbia. E me li merito, sì… ma tutto questo è terribile… ho peggiorato il mondo in qualche modo”.

Scrive poi di Giulia: “ho perso la persona più importante della mia vita, la persona che è tutto per me e alla quale da due anni penso ininterrottamente, la persona più bella e speciale io potessi mai incontrare in tutta la vita. E tutto questo per colpa mia. Mi merito tutto questo”. Le ragioni di ciò che fatto, però, non le spiega: “Io non volevo, non so perché l’ho fatto, non avrei mai pensato o voluto succedesse niente del genere. Io non sono cattivo lo giuro” Sa tuttavia Filippo che nulla per lui potrà essere come prima: “tutte le fantastiche e meravigliose persone che ho conosciuto, tra cui tutti i miei amici speciali, non li rivedrò mai più e loro non vorranno più vedermi, dimenticandomi per sempre. Non potrò più finire di laurearmi, conoscere persone, avere una famiglia”. E qui, sostenendo di aver provato più volte a suicidarsi, senza trovarne il coraggio – “sono stato ore seduto in macchina puntandomi il coltello alla gola o al torace” – invita i genitori a dimenticarlo: “Non esiste perdono o qualcosa del genere per questo, e io non lo merito. Capirei e accetterei se voi voleste dimenticarmi e rinnegarmi come figlio. Vi ho già causato troppo dolore e sarebbe probabilmente la scelta migliore”.

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