Finora ci siamo battuti contro la guerra ucraina, sviluppando ragionamenti, analizzando documenti, valutando gli atti politici della miriade di Stati coinvolti. Non solo i belligeranti, dunque, ma anche USA –con la NATO sotto la piena influenza di Washington- e UE, di cui l’Italia è parte attiva. Ed anche la Cina e l’India, la Turchia, il Giappone, l’Iran, il Venezuela. Insomma ci siamo occupati, nel nostro libro non meno che nel dibattito pubblico, degli attori in campo che, pur lontani dalla battaglia armata, sviluppano comportamenti di guerra e fanno di questo il primo conflitto mondiale di nuovo tipo. Ibrido, transcalare, combattuto:
Con le armi, nelle steppe ucraine appunto, in via diretta dall’esercito e dalle milizie kievane, ed altresì in via indiretta dal “fronte Biden”, un’alleanza liderata da Washington e composta da una quarantina di Stati che hanno sostenuto lo sforzo bellico ucraino con decine di miliardi di dollari: per armamenti e supporti addestrativi e tecnologici, soprattutto, come pure, in parte, di sostegno a un Paese la cui economia è crollata di 1/3 in quest’anno di guerra.
Con le sanzioni, bloccando l’interscambio di migliaia di prodotti tra Mosca e il resto del mondo che si riconosce nel “fronte Biden”, mettendo in mora le politiche energetiche e alimentari di mezzo mondo, e inibendo gli ingranaggi finanziari che assicuravano il funzionamento dell’economia internazionale russa.
Abbiamo sostenuto, chiedendoci a che serve questa guerra, che il conflitto –al netto delle retoriche sui valori vaghi e universalistici tipo “difesa della libertà”- non serve agli ucraini, che soffrono e muoiono e fuggono dal loro Paese distrutto. Non serve alla Russia, che porta la terribile responsabilità dell’aggressione e paga un prezzo senza ritorno con la vita dei propri soldati mandati al macello e una intollerabile crescita del cancro russofobo nel mondo. Men che meno serve all’Europa, che si impoverisce con l’inflazione e la stagnazione. Senza dimenticare l’emersione di conflitti latenti –come quello tra Francia e Germania -che certo non giova né al prestigio né alla tenuta dell’UE- oppure di nuovi conflitti, come quello tra la Turchia e la Svezia, che nel suo accesso alla NATO si vede sbarrate il passo da Ankara. La quale reclama un atteggiamento repressivo nei confronti dei curdi rifugiati in terra scandinava: curdi che vengono considerati “terroristi” dai turchi, né più né meno.
Questa guerra infinita serve certo agli Stati Uniti, che probabilmente con una certa superficialità, seguono due strategie di indebolimento:
Indebolimento dell’Europa, che si traduce in una limitazione dell’autonomia politica ed economica dell’Unione, con una tragica rottura delle relazioni cooperative con la Russia, segnatamente sul piano strategico ed energetico, non meno che sul piano tecnologico e culturale. In questo modo aumenta la dipendenza di Bruxelles da Washington e si blocca lo storico processo geopolitico dell’Heartland, temutissimo da Washington, che consiste nell’assemblaggio tra la sterminata Russia e l’Europa. Un’Europa che sarebbe poi null’altro che una metonimia della Germania (il tutto per una parte) visto che il geografo inglese Halford Mackinder, al quale si deve il termine agli inizi del secolo scorso, aveva in mente proprio Berlino, preoccupato per la tenuta dalla supremazia britannica, assicurata dal controllo assoluto dei mari.
Indebolimento della Russia, sul duplice piano della potenza militare che potrebbe essere pericolosa per l’Occidente, e dell’alleanza eventuale con la Cina. E ciò, in vista del big game dell’Indo-Pacifico -ne abbiamo parlato su questo giornale nei giorni scorsi- di cui la guerra ucraina, in fondo, non sarebbe che un feroce preludio.
Con la scoperta delle filiere corruttive nel Governo stesso di Kiev, e addirittura nel primo cerchio del Presidente Zelensky, siamo ora a chiederci: a chi serve questa guerra? I fatti che sono venuti precisandosi nella giornata di ieri, 24/1/2023, sono noti. Figure politiche di primo piano, altissimi funzionari, magistrati, sono accusati di corruzione. Tra questi, i vice-ministri delle infrastrutture (palazzi crollati, fabbriche disintegrate, ponti, strade, porti e ferrovie scardinati) e, nientemeno, della difesa (condotta della guerra, forniture di armamenti occidentali). Ma anche i governatori di 5 regioni, tra cui Kiev, e il vice-procuratore generale Symonenko. Si indaga per ora, a quanto pare, su un malloppo di 13 miliardi di grivnie ucraine, equivalenti a qualcosa come 380 milioni di €.
Intendiamoci: la fabbricazione delle notizie avviene nello spazio epimediale, un’estensione lattiginosa, dove si mescolano verità e menzogna, anche attraverso “trattamenti” sapientemente omissivi degli eventi. Uno spazio grigio dove l’informazione serve la comunicazione, invertendo il canone mediale che vuole la comunicazione al servizio dell’informazione. Vogliamo dire, con ciò, che l’emersione delle figure corrotte –e, ancor più, delle filiere corruttive- pur registrata dal sistema dei media, circola a fatica, con scarso impatto sulla pubblica opinione. Il rischio è che rimanga sostanzialmente opaca e ad essa venga dato non il rilievo sismico che merita, ma un’importanza modesta, pronta a sparire nel mare magnum della mediatizzazione della guerra armata.
Come a dire: e allora? Sapevamo che l’Ucraina era il Paese più corrotto e inaffidabile d’Europa: 122mo classificato su 180 nell’indice di Transparency International. Sapevamo della morsa degli obliqui oligarchi sulle istituzioni, l’economia e la società ucraine. Mica si poteva d.a.v.v.e.r.o. pensare che tutto sarebbe sparito, così, di fronte alle bare, alle distruzioni, agli ospedali intasati, alle scuole chiuse, ai milioni di profughi, donne e bambini che scappano al rombo dei missili russi. Sicché, potrà bastare il trucchetto su cui troppo spesso si fonda quella che N. Luhmann chiamava “la realtà dei media”, il trucchetto elementare per il quale basta non parlare di una faccenda perché quella faccenda non esista. E quindi non chiediamoci, come avremmo dovuto fare già dal 24 febbraio 2022, chi c’è a Kiev, chi dirige questa interminabile guerra, per quali scopi politici “nazionali” o “ideologici”, per quali interessi personali. Ora però questo atteggiamento non è più possibile. Ora la televisione cerimoniale di Zelensky che, abbiamo appreso, va anche a Sanremo, non basta più a coprire segreti che non si vogliono vedere ma che il popolo ucraino conosce tristemente. Ora il silenzio mediatico non basta più a silenziare il fatto che un sistema di potere opaco e non si sa quanto tentacolare sta gestendo sul terreno una guerra mortifera e carica di conseguenze a breve, medio e lungo termine per il mondo intero. Il silenzio, ora, diventa complicità.
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.
Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.
Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.
La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.
Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.
Dopo due anni e mezzo di guerra della Russia contro l’Ucraina, pesanti impatti sulla sicurezza energetica a quella alimentare oltre alla crisi di rifugiati (oltre 14 milioni) più significativa in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, la pace è urgente. Teha, coinvolgendo 9 think tank internazionali, ha disegnato una ‘road map’ che presenterà al Forum di Cernobbio: 5 proposte per rafforzare la sicurezza energetica, 5 per la sicurezza agroalimentare globale e 5 per arrivare alla pace. “Navighiamo in un panorama geopolitico instabile senza precedenti” sottolinea Valerio De Molli, il ceo di Teha Group, per questo “solo comprendendo le cause profonde della guerra e affrontando le sue implicazioni più ampie possiamo lavorare per un futuro in cui la resilienza, l’inclusività e la sostenibilità siano in prima linea nella governance globale”.
E’ il fil rouge del Paper “con l’obiettivo di fornire, si spera, un contributo costruttivo per avvicinare la pace” e il sogno, malcelato, è che il primo passo parta proprio da Cernobbio. Qui, nella prima giornata di lavori farà il suo intervento Viktor Orbán, Primo Ministro dell’Ungheria e Presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea e dovrebbe partecipare anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Per incontrarlo potrebbe anticipare il suo arrivo Giorgia Meloni. Bisogna partire con il “riconoscere gli ingenti danni causati dalla guerra sia a livello regionale che globale”, secondo l’analisi condotta da Teha con DiXi Group, EDAM Centre for Economics and Foreign Policy Studies, Higher School of Economics, Jacques Delors Institute, Kyiv School of Economics, Limes, Observer Research Foundation e la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è “il prerequisito di un processo di pace globale”.
Il passaggio successivo è “condurre un’analisi critica del fallimento diplomatico degli Accordi di Minsk” (firmati nel 2014 tra Ucraina, Russia e Osce, ndr). Le altre tappe sono: “segmentare il processo di pace in azioni a breve e medio-lungo termine per stabilire tappe e obiettivi chiari, facilitando risultati progressivi e garantendo che sia le esigenze immediate sia gli obiettivi di lungo termine siano raggiunti; organizzare una Conferenza di Pace internazionale” che coinvolga Russia e Ucraina e infine “creare un solido piano di assistenza finanziaria ed economica per sostenere l’Ucraina nel dopoguerra” prevedendo il problema del debito pubblico e il calo della popolazione. Per rispondere alle due grandi crisi, energetica e alimentare, originatesi con la guerra gli analisti di Teha suggeriscono cinque mosse per ognuna.
La diversificazione delle fonti energetiche, la creazione di riserve strategiche di energia, l’aumento degli investimenti nelle energie rinnovabili, l’introduzione di misure per l’efficienza energetica, e la creazione di un Network Energetico Pan-Europeo, sul fronte energetico. Par reagire all’insicurezza alimentare acuta ha raggiunto livelli record, riguardando 258 milioni di persone in 58 Paesi nel 2022, le proposte di TEHA sono: “avviare un’attività di coordinamento, che coinvolga le principali organizzazioni internazionali, nella gestione della crisi alimentare globale; istituire programmi internazionali di aiuto alimentare a sostegno dei paesi vulnerabili; dare un’assistenza finanziaria e aiuti allo sviluppo ai paesi vulnerabili per costruire sistemi agroalimentari e migliorare la resilienza a shock futuri; incentivare pratiche agricole sostenibili che aumentino la produttività riducendo al minimo l’impatto ambientale e infine avviare una riforma della politica agricola globale e della governance a sostegno della transizione verde per garantire un accesso e una distribuzione equi delle risorse agricole e alimentari”.
Almeno 20 morti e 66 feriti: è il bilancio provvisorio del massiccio attacco missilistico lanciato oggi dalla Russia contro l’Ucraina. Finora si registrano infatti 35 feriti e 10 vittime a Kiev, incluse cinque nell’ospedale pediatrico Okhmatdyt, e altre 10 a Kryvyi Rig, città natale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dove sono stati segnalati anche 31 feriti.
Ci sono persone intrappolate sotto le macerie dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt Kiev colpito oggi da un attacco missilistico russo: lo riporta su Telegram il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
“Ospedale pediatrico Okhmatdyt di Kiev. Uno degli ospedali pediatrici più importanti non solo in Ucraina, ma anche in Europa. Okhmatdyt ha salvato e restituito la salute a migliaia di bambini. Ora l’ospedale è stato danneggiato da un attacco russo, con persone intrappolate nelle macerie, e non si conosce il numero esatto di feriti e dei morti. Ora tutti stanno aiutando a rimuovere le macerie: medici e gente comune”, si legge nel messaggio. “La Russia non può non sapere dove volano i suoi missili e deve essere ritenuta pienamente responsabile di tutti i suoi crimini: contro le persone, contro i bambini, contro l’umanità in generale. È molto importante che il mondo non rimanga in silenzio e che tutti si rendano conto di ciò che la Russia è e di ciò che sta facendo”, conclude Zelensky.