Il fuoco appiccato a un materasso, le grida del compagno di cella e la macabra scoperta degli agenti. Joussef Moktar Loka Baron, tunisino di 18 anni, è morto carbonizzato nel carcere San Vittore di Milano, dove era detenuto dallo scorso luglio in attesa di giudizio per una rapina. Un episodio che, come ha sottolineato Gennarino De Fazio, segretario di Uilpa Polizia penitenziaria dandone notizia, “mette ancora una volta a nudo la crisi senza precedenti del sistema penitenziario”, e sul quale adesso indaga la Procura di Milano. Il pm di turno Carlo Scalas ha infatti aperto un’inchiesta per omicidio colposo a carico del compagno di cella, presente al momento della tragedia e rimasto completamente illeso e l’autopsia sul corpo del 18enne sarà disposta nelle prossime ore.
Non si esclude, al momento, che il rogo possa anche essere stato appiccato in un atto di protesta poi degenerato in tragedia. Stando a una prima ricostruzione, le fiamme avrebbero avvolto alcuni altri suppellettili presenti nella cella, propagandosi al il materasso, che successivamente è stato rinvenuto in bagno. È possibile, infatti, che il giovane abbia tentato di spegnere il fuoco con l’acqua e che per questo si fosse avvicinato al lavandino. Sul posto sono stati effettuati i rilievi della polizia scientifica ed è stato trovato anche un accendino. La versione dell’altro detenuto, sentito dagli investigatori in queste ore, potrebbe fornire maggiori risposte in merito all’accaduto, la cui dinamica è ancora tutta da verificare.
Il giovane era entrato nell’istituto penitenziario da poco più di un mese. Già in passato, quando era ancora minorenne, si sarebbe reso responsabili di altre due rapine, per le quali però era stato assolto per vizio totale di mente. Sottoposto a perizia psichiatrica, infatti, il ragazzo era stato ritenuto incapace di intendere e volere, oltre che socialmente pericoloso per sé e per gli altri e dunque incompatibile con la detenzione in carcere. Per questo era stato sottoposto a misura di sicurezza. “A 15 anni era finito in un campo di concentramento in Libia, esposto continuamente alla violenza”, ha spiegato l’avvocato Monica Bonessa che lo ha assistito nei primi due processi, quando ancora era minorenne. “Era arrivato in Italia su un barcone con mani e piedi legati. Un’esperienza di cui lui non riusciva nemmeno a parlare”. L’avvocato Marco Ciocchetta, che difendeva adesso il 18enne, aveva richiesto una perizia psichiatrica con la formula dell’incidente probatorio.
“La struttura carceraria, in ogni caso, aveva già ricevuto tutta la documentazione su di lui. Quello che ci lascia un po’ perplessi – ha detto il legale – è che una persona di questo tipo, con evidenti problemi psichici, non sia stata attenzionata diversamente”. In merito quanto accaduto al San Vittore sono intervenuti anche l’Ordine degli avvocati e la Camera penale milanesi, chiedendo un intervento da parte del Governo per la situazione di emergenza nelle carceri perché, come sottolinea il presidente dell’Ordine Antonino La Lumia, “è fondamentale mettere in campo un lavoro istituzionale unitario”. L’associazione Antigone, tramite il suo presidente Patrizio Gonnella, ha chiesto che venga istituita una commissione parlamentare d’inchiesta, osservando come la “morte drammatica” del 18enne racconti “dello stato di profonda crisi in cui versa il nostro sistema penitenziario, che da gennaio ha fatto registrare 69 suicidi e altre 104 morti tra le persone detenute e 7 suicidi tra gli agenti di polizia penitenziaria”. “Abbiamo constatato la prontezza e la tempestività degli interventi del personale di polizia penitenziaria – hanno commentato il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano Giovanna di Rosa e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia Maria Milano che oggi hanno visitato San Vittore – nonché la pregressa attenzione e presa in carico della persona tragicamente deceduta da parte degli operatori durante la carcerazione”.