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Guerra Russia – Ucraina, telefonata Putin-Zelensky prima del vertice a 4 con Francia e Germania

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I presidenti di Russia e Ucraina hanno avuto una conversazione telefonica ieri, circa due settimane prima del vertice del Quartetto di Normandia (Russia, Ucraina, Francia, Germania) in programma a Parigi il 9 dicembre per cercare di mettere fine al conflitto nel Donbass. Sia il Cremlino sia la presidenza ucraina hanno fatto sapere che i due capi di Stato hanno discusso anche dei negoziati a tre con l’Ue sulle forniture di gas russo all’Europa attraverso i metanodotti ucraini.

Il contratto per il transito del gas russo in Ucraina scade a fine anno e nuovi colloqui tra Mosca e Kiev mediati dall’Ue sono in programma la prossima settimana. La presidenza ucraina ha sottolineato che Zelensky (nella foto sopra) ha chiesto a Putin (nella foto in evidenza)  di consegnare “armi, attrezzature e documenti” delle tre navi militari ucraine sequestrate l’anno scorso dai russi al largo della Crimea dopo uno scontro a fuoco e restituite recentemente alle autorità di Kiev. L’Ucraina accusa infatti la Russia di averle restituito in pessime condizioni le navi che, secondo l’ammiraglio Voronchenko, non erano neanche in grado di navigare autonomamente. Ne’ la presidenza ucraina ne’ quella russa nei loro comunicati fanno riferimento al vertice di Parigi del 9 dicembre.

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Mosca nega la telefonata Trump-Putin: non ci fermiamo

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“Pura fiction”. Il Cremlino ha liquidato così le indiscrezioni pubblicate dal Washington Post su una telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump per discutere di una soluzione diplomatica in Ucraina. Ma il quotidiano americano ha confermato tutto, citando come fonti ben “cinque persone a conoscenza della questione”. Forse, ha ipotizzato Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin e analista politico, a Mosca non è piaciuta la frase sulla presenza di truppe statunitensi in Europa, troppo simile ad una “minaccia”. I due protagonisti sono rimasti in silenzio mentre la posizione ufficiale di Mosca, espressa dal portavoce dello zar, è che la Russia non accetterà di mettere fine al conflitto “fino a che tutti gli obiettivi stabiliti saranno raggiunti”.

Facendo così capire quanto sia in salita il cammino delle possibili trattative, nonostante i tempi rapidi promessi dal tycoon. Mentre la vittoria elettorale di Trump ha fatto entrare in fibrillazione le diplomazie, le parti alzano la posta, e tutto ciò lascia intendere quale sarà il clima nelle prossime settimane o mesi, anche se – o soprattutto se – un compromesso dovesse realmente profilarsi. Anche da parte di Volodymyr Zelensky sono arrivate nelle ultime ore parole dure: Mosca “vuole solo prolungare la guerra e ogni attacco smentisce qualsiasi pretesa di diplomazia da parte della Russia”, ha detto il presidente ucraino commentando gli ultimi raid.

In questa atmosfera di incertezza si inseriscono bordate propagandistiche e avvertimenti neppure troppo velati. Donald Trump Jr., il figlio maggiore del presidente eletto, ha ricordato sui social l’intenzione espressa dal padre in campagna elettorale di tagliare i fondi per lo sforzo bellico ucraino, condividendo su Instagram un video di Zelensky postato dall’ex candidata vicepresidente repubblicana Sarah Palin con la scritta: “Mancano 38 giorni alla perdita della tua paghetta”. E il servizio d’intelligence esterno russo (Svr) ci ha messo del suo affermando in un rapporto che già ora il Dipartimento di Stato sta lavorando a una possibile sostituzione di Zelensky, “se fosse necessario”, giudicandolo “arrogante”.

Se il processo dovesse seguire un corso “legale”, aggiungono i servizi di Mosca, esso potrebbe passare per la tenuta di elezioni presidenziali e parlamentari il prossimo anno, anche con il conflitto ancora in corso, ma sotto la direzione americana. A completare lo scenario caotico è la smentita del ministero degli Esteri ucraino della notizia riportata dal Washington Post nel suo articolo secondo la quale Kiev sarebbe stata informata in anticipo della telefonata Trump-Putin e non vi si sarebbe opposta. L’iniziativa negoziale di Trump potrebbe saldarsi con quella che il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto più volte di volere avviare. I due hanno avuto una conversazione telefonica nel corso della quale si sono detti “pronti a lavorare insieme per il ritorno della pace in Europa”, ha annunciato Berlino. E in un’intervista al gruppo televisivo Ard, Scholz ha ribadito di volere “parlare con Putin al momento giusto”, cioè “prossimamente”.

Dal Cremlino, tuttavia, Peskov ha detto che ancora “nessun segnale” è arrivato dal governo tedesco. Di fronte all’accelerazione degli eventi, altri Paesi europei e i vertici dell’Ue cercano di reagire. Il capo della diplomazia dell’Unione, Josep Borrell, si è recato in visita a Kiev, dove, in un’intervista alla Afp, ha affermato che l’obiettivo di aiutare l’Ucraina a vincere la guerra resta “esattamente” lo stesso. Quanto alla volontà di Scholz di parlare con Putin, “ciò fa parte del gioco”, ha aggiunto. Il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Keir Starmer si sono invece incontrati a Parigi. I due leader, ha fatto sapere l’Eliseo, hanno “ribadito il loro impegno a coordinarsi strettamente, sottolineando la propria determinazione a sostenere l’Ucraina in modo indefettibile e per tutto il tempo necessario al fallimento della guerra d’aggressione condotta dalla Russia”.

Nel frattempo Mosca ha accusato l’Ucraina di cercare di coinvolgere la Moldavia nel conflitto, dopo che ieri il governo di Chisinau ha denunciato la caduta sul suo territorio di due droni russi. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha lasciato intendere che si trattava probabilmente di droni ucraini, precipitati durante un massiccio attacco delle forze di Kiev alla Russia, e ha invitato la Moldavia a “non cadere in tali provocazioni”.

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I russi accumulano missili, colpita diga nell’est

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Una manovra a tenaglia, con attacchi da nord a sud, da Kharkiv a Mykolaiv, per indebolire un avversario ormai esausto dopo quasi tre anni di guerra. La Russia, in costante superiorità di uomini e mezzi, non rallenta l’offensiva in Ucraina continuando a guadagnare terreno nel fronte principale, il Donbass. Anche a costo di provocare disastri ambientali, secondo le autorità locali, che hanno denunciato danni ad una diga sul fiume Vovcha dopo un raid. Con decine di villaggi a rischio di allagamento. L’inverno è alle porte e per Kiev sarà ancora più difficile, ma già ci si prepara al peggio. La valutazione è che le forze russe abbiano “immagazzinato missili negli aeroporti in vista di attacchi massicci”.

Tra due mesi Donald Trump tornerà alla Casa Bianca, ma si è già attivato per quantomeno congelare la guerra, anche a costo di pesanti concessioni territoriali dell’Ucraina. Kiev sta tentando di riguadagnare terreno prima che sia troppo tardi, ma la situazione continua a peggiorare. Sia all’interno del Paese che nelle zone russe occupate ad agosto. Proprio l’offensiva nel Kursk, la scommessa di Zelensky per ottenere una merce di scambio, si sta rivelando un boomerang, secondo quanto ha ricostruito il quotidiano spagnolo El Pais parlando con alcuni militari ucraini.

Nella regione di confine lo stato maggiore ha schierato le sue brigate migliori e ben equipaggiate, ma nonostante questo le truppe di Mosca hanno gradualmente ripreso parte dell’oblast. Allo stesso tempo a difendere il Donbass sono rimasti i reparti più deboli, tra l’altro stremati per una permanenza in prima linea che arriva fino a 25 giorni. Il risultato, un costante arretramento. Nel Donetsk in particolare la recente caduta di Vulhedar ha conferito alla Russia un vantaggio significativo, perché la sua posizione elevata consente di far partire i droni per attaccare in profondità dietro le linee ucraine. Negli ultimi giorni in quest’area sono stati registrati i maggiori progressi dell’Armata di Putin, in direzione nord, e l’obiettivo adesso sembra essere la città di Kurakhove, che ha una grande centrale termoelettrica in funzione. Un obiettivo strategico, con il gelo alle porte.

Proprio il bacino idrico locale, secondo le autorità ucraine, è stato il bersaglio di un raid che avrebbe danneggiato una diga, facendo alzare il livello del fiume e minacciando i villaggi circostanti. Già lo scorso anno un’enorme diga di epoca sovietica nel Kherson era stata parzialmente distrutta, allagando decine di villaggi sulle rive del Dnepr. Con le due parti a scambiarsi accuse sulla paternità dei raid. All’inizio di novembre il comandante delle forze armate di Kiev, Oleksandr Syrskyi, ha affermato che l’Ucraina stava affrontando “una delle più potenti” offensive del nemico dall’inizio della guerra. E domenica il New York Times ha rivelato che ben 50mila russi e nordcoreani sono stati schierati per il Kursk. Chiusa quella partita, Mosca potrebbe tornare a concentrarsi sul Donbass, e non solo. Ormai la sua avanzata minaccia anche quel che resta dell’oblast di Zaporizhzhia in mano agli ucraini e Dnipropetrovsk.

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Diktat di Trump: mie nomine senza la conferma del Senato

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Donald Trump entra nella battaglia per la leadership del Senato appena riconquistato dai repubblicani e cerca già la prima scorciatoia nella democrazia americana, ossia la possibilità di fare nomine per la sua amministrazione e per la magistratura bypassando l’approvazione del Senato, dove anche l’opposizione dice la sua nel processo di conferma. “Qualsiasi senatore repubblicano che ambisca alla posizione ambita di leader nel Senato degli Stati Uniti deve accettare le nomine durante le pause di attività (nel Senato!), senza le quali non saremo in grado di ottenere conferme in tempi utili”, è il suo diktat su Truth.

Il tycoon fa riferimento a una clausola costituzionale che consente al presidente di fare nomine temporanee quando il Senato non è in sessione. Una facoltà che era stata pensata per garantire l’operatività del governo in caso di necessità ma che alcuni presidenti hanno usato per scopi politici nominando dirigenti che altrimenti avrebbero avuto difficoltà di conferma al Senato, dove servono 60 voti. Trump può contare su una maggioranza di almeno 53 senatori, ma evidentemente non la considera sufficiente per un sostegno minimamente bipartisan alle sue scelte, che promettono quindi di essere potenzialmente controverse.

Nell’aprile 2020, frustrato dalla lentezza del Senato nel confermare le sue nomine, l’allora presidente Trump minacciò di prendere la misura senza precedenti di sospendere unilateralmente il Congresso per fare nomine durante la pausa. Nel giro di pochi minuti, il senatore Rick Scott si è subito allineato, impegnandosi a soddisfare la richiesta di Trump se diventerà il leader dei repubblicani al Senato: “Sono al 100% d’accordo. Farò tutto il possibile per far passare le tue nomine il più rapidamente possibile”, ha scritto su X. I principali alleati di Trump — tra cui Elon Musk — e una serie di influencer di estrema destra si sono rapidamente schierati dietro la candidatura di Scott, quella più “Maga”. Un altro candidato alla leadership del Senato, il senatore John Thune, ha detto invece di essere aperto alla richiesta di Trump, dichiarando a Fox News che “tutte le opzioni sono sul tavolo.”

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