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La base del M5S vuole partecipare alle elezioni in Calabria e Emilia Romagna, Di Maio: ora si lavora pancia a terra

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Il Movimento 5 Stelle, la base degli attivisti, pel tramite della piattaforma Rousseau ha bocciato la proposta di Luigi Di Maio di prendersi una “pausa elettorale” in vista delle elezioni regionali dei 26 gennaio in Emilia-Romagna e Calabria. Gli attivisti vogliono esserci e vogliono contarsi, anche se, dopo la batosta umbra, i sondaggi non mostrano un grande stato di salute per il Movimento 5 Stelle. Che pero’ sara’ in campo e ci sara’ da solo. “Gli iscritti – ha detto Di Maio – ci hanno dato un mandato chiaro e fortissimo: dobbiamo partecipare alle elezioni regionali con tutte le nostre forze ed e’ quello che faremo. Ora c’e’ una cosa sola da fare: mettersi a pancia a terra e dare il massimo per queste due regioni” Ma per Di Maio e’ una sconfitta. Il 70% dei votanti ha bocciato l’idea della “pausa elettorale” e il risultato non potrà non pesare negli equilibri interni. La bocciatura, infatti, e’ arrivata sotto il fuoco incrociato della feroce opposizione dei territori, ma anche della fronda interna, della quale fanno parte anche gli ex ministri Danilo Toninelli e Barbara Lezzi. Il simbolo lanciato da Beppe Grillo sara’ quindi, contro il volere del suo capo politico, sulle schede elettorali delle regionali a gennaio.  Ma ci sara’ in una situazione delicatissima. Intanto per un risultato che nessuno si aspetta incoraggiante e che potrebbe avere profonde ripercussioni anche sull’equilibrio di governo. Poi perche’ si dovranno trovare, sia in Emilia-Romagna (dove si ripartira’ dai consiglieri uscenti) sia in Calabria (dove il nome piu’ accreditato e’ quello del docente Francesco Aiello) persone disponibili a mettere la faccia in una campagna elettorale dove, probabilmente, il sostegno del movimento a livello centrale non sara’ entusiasta, nonostante le rassicurazioni di Di Maio: “Non so quale risultato raggiungeremo – ha detto – ma io saro’ come sempre in prima linea e non mi risparmiero'”. L’opposizione contro la decisione dei vertici, con una convocazione del voto che ha colto tutti un po’ di sorpresa, e’ partita dai due territori coinvolti. Il coordinatore della campagna per le regionali in Calabria, Paolo Parentela, si e’ dimesso. In Emilia-Romagna il gruppo regionale ha invitato a votare per il ‘no’ alla pausa elettorale, la consigliera regionale Silvia Piccinini ha parlato di “una presa in giro inaccettabile” e la vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni si e’ messa a capo della protesta, ritenendo la decisione uno sbaglio: “la gente non prendera’ questa ‘pausa’ per un momento di riorganizzazione, ma per una deposizione delle armi a favore di un governo vacillante. Io dico che si deve combattere e non dimostrare debolezza o cedere ai ricatti per paura”. Quindi il 26 gennaio si va al voto e il M5s si misurera’ con le due coalizioni. Ma i problemi interni adesso si fanno ingombranti. “Sicuramente il Movimento e’ in un momento difficolta’ – aveva detto Di Maio prima di conoscere il risultato del voto – e lo ammetto prima di tutto io. C’e’ bisogno di mettere a posto alcune cose”. Probabilmente, dopo lo ‘storico’ voto su Rousseau, molte di piu’ di quelle che il capo politico del Movimento pensava.

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Ipotesi sugli extraprofitti, le banche giù in Borsa

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Il governo sta lavorando ad un “contributo” per il Paese. Magari non proprio “spontaneamente e felicemente” come prevede Matteo Salvini. Il sistema bancario ha dato la sua disponibilità a sedersi al tavolo ma non si esprime sulle ipotesi in circolazione. L’ipotesi di una misura una tantum di “solidarietà”, anche per evitare blitz come quello dello scorso anno, poi completamente rivisto, o proposte che poi sono inattuabili, circola d’altronde da tempo. Niente a che vedere, comunque, almeno nella narrazione della maggioranza, con la tassa sugli extraprofitti propagandata nel 2023 invisa soprattutto a Forza Italia. Anche se le sole voci piegano i titoli bancari a Piazza Affari, unico listino in rosso in Europa (-0,24%).

Il leitmotiv è “collaborazione e dialogo” perché per banche e assicurazioni, sottolinea il sottosegretario leghista al Mef Federico Freni, “serve rispetto” e una “collaborazione concordata, nell’interesse generale”. Se si farà – perché che alla luce degli aggiornamenti Istat, osservano in maggioranza, potrebbe non essere così dirimente per i conti pubblici – nell’operazione potrebbero peraltro essere coinvolti che altri settori, dall’energia al farmaceutico, che negli ultimi anni hanno avuto trend positivi nonostante le crisi, dalla pandemia alle guerre. E la misura potrebbe arrivare con il decreto legge (fisco-anticipi) che tradizionalmente accompagna il varo della manovra.

“I grandi attori devono essere coinvolti su un disegno più generale che si chiama per me azienda Italia”, dice anche il nuovo dg dell’Abi Marco Elio Rottigni, chiarendo però che non ci sono “piani” degli istituti bancari da sottoporre all’esecutivo dell’associazione, che si riunisce mercoledì. Si aspetta, insomma, una proposta concreta e più tecnica rispetto a un brutale prelievo o tassa che avrebbe, si ragiona in ambienti finanziari, effetti distorsivi magari proprio su quelle banche più legate ai territori e che sostengono maggiormente le Pmi. I contatti, sottotraccia, vanno avanti da settimane. L’ordine di grandezza dell’intervento non dovrebbe puntare a quei 4 miliardi che si sperava di raccogliere con la tassa sugli extraprofitti, ma si starebbe ragionando attorno alla metà: secondo i calcoli degli analisti, sulla base di una ipotesi di prelievo del 2% stimano introiti tra 900 milioni e 1,7 miliardi dalle banche e tra 700 milioni e 1,4 miliardi dalle assicurazioni.

Le ipotesi sul tavolo, stando ai bene informati, sarebbero ancora le più varie. Uno schema guarderebbe a una percentuale da applicare sull’eccedente e non sul totale, calcolato sulla media degli utili ottenuti in un certo periodo di anni, fino a 10 anni: tutto ciò che eccede la media sarebbe tramutato in contributo di solidarietà. Un’altra proposta punterebbe ad agire invece sugli ammortamenti delle perdite, allungando i tempi per portarle in deduzione (diventando in sostanza una sorta di prestito, o di anticipo, di risorse comunque dovute allo Stato). E si starebbe ragionando anche attorno a un aumento, ma solo dello 0,5%, dell’addizionale Ires. Altra alternativa – sempre tra le tante ipotesi sul tappeto – per le imprese che non accettino di versare il contributo di solidarietà potrebbe essere l’obbligo di accantonare a riserva o al patrimonio una somma pari anche a 2,5 volte e mezzo i profitti extra (sulla falsariga della misura rivista e corretta dello scorso anno).

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L’opposizione attacca il bonus Natale, Leo in commissione

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Il bonus Natale rischia di essere un regalo per pochi. Che esclude coppie di fatto, genitori single e persino gli incapienti. Le opposizioni vanno all’attacco dell’aiuto da 100 euro in arrivo nelle tredicesime dei lavoratori con redditi bassi. E chiedono chiarimenti, che arriveranno già domani dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, atteso in commissione al Senato nell’ambito dei lavori sul decreto Omnibus. Provvedimento che fa discutere anche per i ritocchi al ravvedimento speciale per chi aderisce al concordato preventivo biennale: per le opposizioni resta un condono. L’avvio delle votazioni sul decreto parte in salita. L’intenzione è iniziare con una prima ‘scrematura’ del fascicolo degli emendamenti, poi un paio di giorni di voto, e il testo in Aula al Senato giovedì o al massimo venerdì anche perché il provvedimento è in scadenza l’8 ottobre e deve andare in seconda lettura alla Camera.

E’ dunque corsa contro il tempo ma il centrosinistra attacca: “sono divisi e ancora in alto mare”, dice il capogruppo Dem Francesco Boccia. In commissione le opposizioni pure disposte a “lavori ad oltranza” mettono però subito nel mirino il bonus Natale opposizioni sparigliando così le carte. E ottengono subito un primo stop: seduta riaggiornata a domani mattina con la presenza del viceministro dell’Economia Maurizio Leo invitato per fare chiarezza sul bonus.

La misura prevede 100 euro netti nelle tredicesime dei lavoratori dipendenti con reddito fino a 28mila euro che abbiano coniuge e almeno un figlio a carico oppure nuclei monogenitoriali con almeno un figlio a carico. Inizialmente prevista a gennaio per problemi di coperture, grazie al buon andamento delle entrate è stata inserita come emendamento del governo al decreto omnibus e anticipata a Natale. A non convincere le opposizioni è però la scarsa chiarezza sulla platea. Per il Pd è un regalo solo per “le coppie coniugate” e taglia fuori genitori single, non coniugati, o le coppie di fatto.

“Esclude oltre 3 milioni di famiglie, sono più gli esclusi che gli inclusi, esclude il disagio e la povertà”, dice il senatore del Pd Daniele Manca. Ma fonti del ministero dell’Economia negano che le coppie di fatto non accedano al beneficio: basta avere un figlio fiscalmente a carico, oltre al reddito entro la soglia indicata. Nel mirino delle opposizioni c’è anche il nodo del ravvedimento speciale previsto per chi aderisce al concordato preventivo biennale delle partite Iva.

La misura, prevista da un emendamento della maggioranza, punta a dare un’ulteriore spinta al meccanismo da cui il governo conta di racimolare risorse in più per estendere il taglio dell’Irpef anche al ceto medio. Sull’emendamento, già criticato dalle opposizioni come un ‘condono’, è arrivata in mattinata una modifica, che riduce di un anno (al 2018-2022) il periodo del ravvedimento speciale per gli anni pregressi e introduce una proroga (al 31 dicembre 2027) dei controlli per chi decade dal beneficio.

Modifiche non sufficienti per le opposizioni: anche riformulato, l’emendamento resta un condono, dice Avs. Ma anche sulla nuova versione, secondo quanto si apprende, si starebbe ancora lavorando e qualche ulteriore modifica potrebbe arrivare nelle prossime ore. Viene infine ripescato, tra gli emendamenti che verranno messi in votazione, una proposta di FI contro la pirateria televisiva. La misura, inizialmente finita tra gli improponibili, riguarda una stretta sulla pirateria tv anche per gli eventi sportivi, estendendo anche ai fornitori di VPN l’obbligo di disabilitare l’accesso alle partite illegali.

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Simbolo e garante ai voti M5s. Conte, decide la base

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Ora è ufficiale. La comunità del M5s deciderà anche sulle questioni più spinose. Quelle che da settimane infiammano la base come i vertici pentastellati. Nella seconda fase del processo costituente, lanciato da Giuseppe Conte all’indomani del voto europeo, entrano oggetti da maneggiare con cura. La modifica del ruolo del garante, ricoperto da Beppe Grillo, e di quello del presidente. Il cambio del nome e del simbolo del Movimento. E poi la revisione del limite dei due mandati e la scelta sulle alleanze. Su questi temi, e tanti altri, sono chiamati a esprimersi gli attivisti a 5 Stelle nei tavoli di “confronto deliberativo” che animeranno la corsa verso l’Assemblea conclusiva di novembre. A 300 iscritti e 30 simpatizzanti, il compito di sviluppare proposte concrete da sottoporre al voto finale. Dopo l’annuncio sul sito, Conte dà il via alla “fase due” in un video .

“Le priorità dell’Assemblea Costituente le avete decise voi e tutto questo è certificato, in modo trasparente, da società indipendenti”, dice rivolgendosi a una “comunità viva e vivacissima”. Parole nelle quali molti leggono un messaggio sottotraccia diretto a Grillo, dopo i ripetuti attacchi mossi dal garante al processo costituente. Per Campo Marzio, i temi scelti dalla comunità 5s vengono interpretati anche come un chiaro segnale che la base dà al fondatore, che in più occasioni aveva posto il suo veto sulla possibilità di discutere valori ritenuti intoccabili. E invece, mandati, simbolo, e ruolo dello stesso garante finiscono nella fucina della Costituente. Il cui esito resta incerto. Intanto, Grillo si appronta allo scontro finale, che sembra sempre più politico che legale. Il fondatore non resta a guardare un processo costituente che ora fa ufficialmente vacillare la sua funzione. E passa al contrattacco a suon di mail e contatori digitali. Dopo aver lanciato la sua ‘Bacheca del Mugugni’, torna sui social per tracciare un primo bilancio.

“Grandissima partecipazione, – scrive – sono arrivate ben 22.837 e-mail! Grazie a tutti per il riscontro!”. Grillo insiste sui numeri del progetto con cui intende raccogliere le lamentele pentastellate. E non sono pochi coloro che notano gli 800 contributi in più rispetto ai 22 mila raccolti dalla Costituente voluta da Conte. Se si guarda poi ai contenuti delle mail, rilanciati da Grillo, la competizione appare più che evidente. Tra i messaggi pubblicati, c’è chi chiede aiuto a Grillo per salvare il Movimento, evocando una scissione. Chi definisce una “farsa” la Costituente e critica Conte. E chi semplicemente sposa il “movimento delle origini” sostenuto da Grillo. E in Transatlantico, dalle parti del M5s, c’è chi non la prende bene.

“È un mugugno selettivo, non c’è trasparenza”, ragiona qualcuno attaccando la scelta di pubblicare solo alcune delle migliaia di mail ricevute da Grillo. “Una bacheca ancora più rilevante – si dice con malizia – riguarda la valanga di commenti negativi ai post del fondatore”. Ancora più torvo lo sguardo con cui da Campo Marzio si guarda a un’iniziativa che “mal si sposa con un ruolo di garanzia e imparzialità e che rischia di gettare benzina sul fuoco”. Il presidente Conte, che già nei giorni scorsi aveva evitato di rispondere a Grillo, punta sui temi. Dei 20 iniziali, frutto delle migliaia di contributi, ne arrivano alla ‘fase due’ solo 12. E il leader insiste su quelli in cima alla lista delle 153 mila preferenze espresse dai circa 15 mila iscritti: sanità, lavoro, evasione fiscale, pace e giustizia.

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