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Palermo, si toglie la vita Cesare Vincenti. L’ex capo dei Gip era indagato rivelazione di segreto d’ufficio

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Per gli ‘abitanti’ del Palazzo di Giustizia di Palermo è stato uno choc il suicidio dell’ex capo dell’ufficio del Gip di Palermo, Cesare Vincenti. Il magistrato che era da andato da poco in pensione ed era malato si è ucciso buttandosi giù dal balcone di casa.

Vincenti -che era stato presidente della sezione Misure di prevenzione prima di diventare per molto tempo presidente della sezione gip del Tribunale del capoluogo siciliano – era indagato cdalla Procura di Caltanissetta dal giugno scorso per rivelazione di segreto d’ufficio. L’inchiesta è quella che riguarda una presunta fuga di notizie relativa a Maurizio Zamparini, ex proprietario del Palermo calcio e vede coinvolto anche il figlio del giudice, Andrea Vincenti, avvocato.

Sul posto dove il magistrato si è tolto la vita è arrivato il procuratore Francesco Lo Voi, con lui anche il questore di Palermo Renato Cortese.

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Cronache

Torture e umiliazioni a detenuti, arrestati 11 agenti

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Sedici ambienti 2 metri per 4 con una finestrella a 25 centimetri dal tetto. Mura scrostate, il wc a vista. La cella numero 5 la chiamavano la “stanza liscia”, era quella senza suppellettili, destinata a chi si temeva potesse compiere gesti autolesionisti. E’ la Zona blu, la sezione isolamento del carcere di Trapani, dove gli occhi delle telecamere di sorveglianza non sempre arrivano: è lì che per anni, secondo la Procura, un gruppo di agenti penitenziari ha torturato, umiliato, picchiato i detenuti più problematici, persone con problemi psichici, extracomunitari… soggetti fragili insomma. Gli inquirenti, che parlano di “trattamento inumano e contrario alla dignità delle persone”, hanno chiesto e ottenuto i domiciliari per 11 guardie carcerarie e la misura interdittiva per altre 14.

Che la “zona blu” fosse l’inferno dell’istituto di pena trapanese si sa da tempo: lo hanno denunciato i detenuti, l’hanno messo nero su bianco le associazioni. Denunce generiche fino a quando, il 17 settembre 2012, un carcerato fa un esposto, raccontando di essere stato punito, dopo una protesta, portato nella sezione isolamento e aggredito a calci, pugni e sputi. E’ sempre lui a riferire di aver sentito un altro detenuto, nella cella accanto, urlare. Comincia così l’indagine coordinata dalla Procura di Trapani, che ha svelato aggressioni, umiliazioni, perquisizioni illegali che per anni hanno visto protagoniste un gruppo di guardie e vittime i detenuti. Carcerati fatti denudare e costretti a camminare senza vestiti lungo i corridoi, sbeffeggiati con commenti sui genitali, percosse, lanci di acqua e urina nelle celle. Un racconto drammatico quello venuto fuori dall’inchiesta. Per anni le videocamere piazzate dai pm hanno ripreso gli abusi. Le intercettazioni hanno fatto il resto.

“L’avrei massacrato compà, come ho fatto con gli altri” dice uno degli agenti arrestati ascoltato dalle cimici dopo l’aggressione a un collega da parte di un detenuto. “Le secchiate d’acqua…fa caldo, un piacere gli facciamo”, commenta un altro. Tra le immagini più dure quella di un extracomunitario nudo nei corridoi e di un altro carcerato perquisito con le braccia bloccate dietro la schiena. A una delle vittime sarebbe stata data anche una sigaretta con del calmante. Ovviamente nelle relazioni di servizio delle violenze non c’era una riga: perchè gli agenti fornivano ai superiori versioni, false, del tutto autoassolutorie in cui si sottolineavano solo le condotte violente dei carcerati. Gli agenti ce l’avevano anche con i medici della casa circondariale.

“Se si mettono in mezzo sminchi pure i dottori”, dicevano, irritati perchè i sanitari si occupavano della salute dei detenuti. Uno degli arrestati, poi, proponeva la creazione di una “squadretta” di 6 persone. “Appena succede qualcosa saliamo nel reparto”…minacciava. “Ci butto un secchio d’acqua? E’ pisciazza immischiata con acqua”, spiegava uno degli agenti. L’urina veniva lanciata nelle celle dopo aver tolto la corrente per cogliere di sorpresa i carcerati. Le vittime hanno confermato tutto. E gli inquirenti le hanno ritenute credibili. “Le persone offese manifestano un atteggiamento di apprezzabile equilibrio e non hanno risentimenti”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare.

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Consigliera in aula: anch’io ho subito violenza

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E’ forse presto per parlare già di un ‘effetto-Cecchettin’, ma si moltiplicano i casi di donne non più disposte a tacere sulle violenze da parte del mondo maschile, anche quando si tratta di casi privati, personali. Com’è successo ieri nell’aula del Consiglio Regionale Veneto, dove Silvia Cestaro, gruppo leghista ‘Zaia presidente’, durante il dibattito sulla creazione dell’Osservatorio violenza donne, ha preso il microfono con tutto il coraggio che aveva ed ha raccontato: “È difficile dirlo, io questa cosa l’ho vissuta di persona quando ero ragazza. So cosa vuol dire la violenza”. L’aula ha vissuto uno shock emotivo, molti colleghi, donne e uomini, le si sono avvicinati per esprimerle vicinanza. Anche perchè, poco prima, nell’auditorio di Palazzo Ferro Fini c’era stato un intervento di tenore completamente opposto.

“Questo osservatorio puzza di ideologia” aveva affermato infatti Stefano Valdegamberi, del gruppo misto, ex leghista, non nuovo a provocazioni di stampo maschilista. Parole alle quali Silvia Cestaro e altre colleghe si erano alzate ed erano uscite dall’aula, definendo l’intervento “inascoltabile”. “Ho pensato molto prima di fare questo intervento – aveva premesso Cestaro – perché volevo riportare sul piano pratico la cosa. È difficile dirlo, io l’ho vissuto di persona quando ero una ragazza, so cosa vuol dire la violenza. Lo so perché ti arriva inaspettata, ti arriva da chi non ti aspetti, da chi ti sta vicino, ti arriva dalle persone che dovrebbero difenderti, non in casa, ovviamente, fuori casa. L’ho vissuta purtroppo negli anni, con tante amiche e tante persone che hanno subìto la violenza”. Per la cronaca: l’Osservatorio anti-violenza, proposto dalla capogruppo del Pd Vanessa Camani, è stato poi approvato all’unanimità dall’assemblea veneta.

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Spreco da 5,7 milioni per spese pazze alla Sma Campania

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Le carte prepagate dovevano servire per far fronte alle spese urgenti, come, per esempio, interventi di manutenzione improcrastinabili. Invece, sarebbero state usate anche per scopi personali, ad esempio per acquistare prodotti su Amazon e musica su Spotify: punta il dito contro gli sprechi alla Sma Campania, società in-house della Regione, l’indagine dei finanzieri del Gruppo Tutela spesa pubblica del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Napoli coordinata dalla Procura della Corte dei conti della Campania.

A nove persone, tra amministratori, dirigenti e dipendenti della società, si chiede conto di un danno erariale stimato in oltre 5,7 milioni di euro, accumulato in un decennio, dal 2012 al 2022. Le prepagate rappresentano solo una piccola parte degli sperperi totali, ma sarebbero sintomatiche – secondo l’accusa – della leggerezza con cui in quella società si maneggiavano i soldi pubblici. La maggior parte degli sprechi – oltre 3,6 milioni di euro – si concentra in un altro capitolo dell’indagine, quello delle progressioni ingiustificate di carriera e dei conseguenti aumenti di stipendio attraverso i cosiddetti superminimi, concessi praticamente a pioggia, a una settantina di dipendenti. Poi ci sono i noleggi delle vetture e le spese per la telefonia fissa e mobile, pagati a prezzi maggiorati perché affidati direttamente ai fornitori senza alcuna gara aderendo alla convenzione Consip, in aperta violazione delle normative.

Da alcune intercettazioni emerge la consapevolezza dell’esborso da parte di alcuni degli indagati per i quali, per esempio, i noleggi a lungo termine stavano “dissanguando la Sma”. Agli atti c’è anche un caso di doppio pagamento: per il medesimo contratto di noleggio mensile, per lo stesso periodo e per la medesima vettura, la fattura è stata pagata due volte. Secondo i calcoli degli inquirenti, quei due capitoli di spesa hanno comportato sprechi, rispettivamente, per 778mila euro e 742mila euro. L’utilizzo fraudolento delle carte aziendali, tra prelievi di contante, pagamenti fittizi e, anche, ricariche telefoniche per utenze personali e familiari, ammontano invece a oltre 502mila euro. Ma tra le spese “inammissibili” scovate dagli investigatori ci sono anche quelle per i ristoranti, non legate a eventi specifici: “Peraltro, la Sma Campania- spiegano i pubblici ministeri – non si è mai dotata di un regolamento delle spese di rappresentanza e tale circostanza avrebbe dovuto rendere ancor più prudente la valutazione in merito alla possibilità di spesa per tale tipologia di acquisti”.

I destinatari delle contestazioni del procuratore regionale Antonio Giuseppone e dei sostituti procuratori generali Davide Vitale e Flavia Del Grosso sono l’ex presidente del Cda Giuseppe Cammarota; gli ex amministratori unici Ciro De Leo, Raffaele Scognamiglio e Giuseppe Esposito; l’ex consigliere delegato Lorenzo Di Domenico; l’ex dirigente Cosimo Silvestro; l’ex financial manager Roberto Iavarone; l’addetto alla contabilità e bilancio Ernesto Tartaglione e il responsabile dell’impianto di depurazione di Napoli est Luigi Riccardi. Tutti potranno ora chiedere di essere ascoltati dall’Autorità giudiziaria contabile e depositare le proprie deduzioni ed eventuale documentazione. Di Domenico, Scognamiglio, Silvestro e Tartaglione, nell’ambito di un procedimento penale parallelo, sono stati rinviati a giudizio dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) a vario titolo per peculato, abuso d’ufficio e simulazione di reato, in relazione alla gestione della cassa delle carte prepagate

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