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Conte chiede a Pd e M5S “rosa credibile” di nomi, resta in piedi il nodo vicepremier

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Nella partita tra Pd e M5S e’ il giorno dell’ufficiale ingresso in campo di Giuseppe Conte. Il premier incaricato, sin dalle consultazioni, fa capire subito che nel governo giallo-rosso ha tutta l’intenzione di giocare da protagonista, proponendo, secondo fonti parlamentari, a Pd e M5S di inoltrargli una rosa di nomi “credibili” per i ministri chiave nei confronti della quale Conte fara’ poi le sue scelte, confrontandosi alla fine con il presidente Mattarella che su quei nomi deve metterci la firma. Con un nodo che resta irrisolto e che sta condizionando anche la composizione del programma comune: quello di Luigi Di Maio come vicepremier. Ruolo che, per il capo politico, e’ funzionale anche a rafforzare la sua leadership. Da qui l’estremo tatticismo di una partita che oscilla tra semi-ultimatum, incontri annullati, e successive ricuciture. L’incontro della mattina del premier con il Pd, in termini diplomatici, si definirebbe interlocutorio. Mentre la nota di Palazzo Chigi, dopo il vertice tra le delegazioni, serve a blindare un percorso indebolito dallo scontro tra Di Maio e il Pd. Il capo politico, infatti, sceglie di alzare la posta. E c’e’ una frase che Di Maio sottolinea subito: Conte e’ un premier “super partes”. E’ questo il concetto che, nella strategia del M5S, fa da viatico al mantenimento di due vicepremier.

“Mica Conte e’ iscritto al Movimento?”, e’, non a caso, l’osservazione che ribadiscono, in queste ore, i pentastellati. Ma i Dem restano sulla sponda opposta: Conte, per il Nazareno, e’ espressione del Movimento. Il premier da parte sua sembra volersi conquistare spazi di autonomia decisionale. Spettera’ comunque proprio a Conte trovare una soluzione. Con una possibilita’ che si fa via via piu’ concreta: che alla fine non ci siano vice e che il premier scelga un suo uomo di fiducia – non del Pd – come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Soluzione, quest’ultima, che secondo alcune fonti parlamentari potrebbe non essere osteggiata dal Quirinale, rispetto alla riproposizione dello schema giallo-verde dei due vicepremier. Del resto c’e’ un asse “istituzionale” che potrebbe far sentire il suo peso sulla squadra di governo, con particolare attenzione a Economia, Interno, Esteri. Caselle dove cresce la possibilita’ di ministri tecnici. Giovanni Tria non ha perso tutte le sue chance di restare ministro. Ma per il Mef si fanno anche i nomi di Lucrezia Reichlin, Marco Buti (direttore generale per gli Affari economici della commossione Ue), Dario Scannapieco. Senza dimenticare Daniele Franco, Salvatore Rossi e Carlo Cottarelli, l’uomo prescelto dal Colle come premier se fosse naufragato l’accordo tra M5S e Lega. Al Viminale va in qualche modo “accontentata” la voglia del Pd di cancellare l’era Salvini. Ma cio’ non vuol dire che il ministro sia politico. Si pensa, piu’ che altro, a un profilo alla Franco Gabrielli e il nome che circola e’ quello di Alessandro Pansa. Un tecnico potrebbe finire anche agli Esteri, che vedono scendere le quotazioni di Paolo Gentiloni. Nel Pd tra i ministri in pole restano Paola De Micheli e Dario Franceschini (tentato dalla Farnesina) oltre a quello di Andrea Orlando (in corsa per essere vicepremier, come Franceschini). Outsider potrebbe essere Vincendo Amendola che ha gia’ maturato una certa esperienza agli Esteri come sottosegretario. Tra i renziani Ettore Rosato correrebbe per la Difesa e in pole ci sono anche Lorenzo Guerini e Tommaso Nannicini. Tra le donne spuntano i nomi di Debora Serracchiani (Mit o Pari Opportunita’), Lia Quartapelle e Marina Sereni. Teresa Bellanova e’ in quota per il ministero del Lavoro mentre per il dicastero per il Sud si fa il nome di Francesco Boccia. E nella squadra c’e’ da tener conto di Leu, quasi decisivo al Senato. Tra sabato e domenica il premier sara’ chiamato a stringere. E, anche nel M5S, si accelera. Stefano Patuanelli dovrebbe entrare nel governo (Mit) cosi’ come Francesco D’Uva. Laura Castelli potrebbe ricevere un upgrade. Tra i nomi che circolano anche quelli di Nicola Morra e Lorenzo Fioramonti mentre Di Maio punta a confermare Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. E il leader M5S? Oscilla tra il vicepremierato e un ministero “pesante” oltre che a mostrare, a base e eletti, che il M5S non si pieghera’ al Pd, ne’ sui temi – dove i nodi sul decreto sicurezza sono comunque superabili – ne’ sulla squadra. E mettendo cosi’ sul tavolo la sua leadership di fronte a un premier via via piu’ ingombrante.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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