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Cronache

Padre e figlia muoiono abbracciati annegati, le foto shock indignano il mondo

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Come la foto del piccolo Aylan. Lo scatto shock di un padre e la sua bimba di due anni morti annegati nel Rio Grande mentre cercavano di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti evitando il muro indigna l’America. Ed è destinata a diventare il simbolo della tragedia dei migranti dal Centro America così come l’immagine del corpicino di Aylan riverso su una spiaggia turca è divenuta il triste simbolo dell’immigrazione verso l’Europa. Oramai sulla terribile immagine scattata sul fiume che separa il Messico dal Texas si sa quasi tutto. L’uomo era un cittadino salvadoregno, Oscar Alberto Martinez, la sua figlioletta Angie Valeria. I due corpi sono a faccia in giu’, immersi nell’acqua di un canneto sporca di fango, trasportati a riva dalla corrente sulla sponda sud del fiume. Si vede la bimba ancora con le scarpette, legata al padre da quella che sembra essere una maglietta con il quale l’uomo forse cercava di tenere la piccola stretta a se’ nel disperato tentativo di proteggerla. Il braccio della bimba e’ ancora attorno al collo del padre.

Non ci sono parole, i commentatori in tv a stento trattengono l’emozione e in qualche caso le lacrime. La disgrazia sarebbe avvenuta domenica e i due corpi sono stati ritrovati lunedi’. Saranno rimpatriati nei prossimi giorni. Il ministro degli affari esteri di El Salvador ha intanto invitato le famiglie che tentano di migrare negli Usa di ripensarci: “Non rischiate”. Le principali emittenti Usa e i media sul web ripropongono in continuazione quelle immagini che sono come un pugno nello stomaco. Ma dalle autorita’ americane silenzio. L’unico fragore che si puo’ sentire e’ quello delle polemiche politiche, con la Camera a maggioranza democratica che stanzia 4,5 miliardi da destinare alla crisi del confine sud e la Casa Bianca gia’ pronta al veto. Mentre il massimo responsabile dell’agenzia federale che gestisce i campi al confine del Messico dove vengono trattenuti i bambini separati dalle famiglie illegali è costretto a dichiarare le dimissioni, dopo che un gruppo di legali ha testimoniato le condizioni terribili in cui i minori sono costretti a vivere: senza cibo adeguato, con scarsa assistenza medica, i neonati che vengono accuditi da altri minori. Una situazione che ha destato la preoccupazione anche del presidente Donald Trump. Tanto piu’ che nell’ultimo anno sono ben sei i bambini che hanno perso la vita.

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Cronache

Afragola: caduta l’accusa di violenza sessuale per i due parroci coinvolti

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L’inchiesta che ha scosso la comunità di Afragola, incentrata sulle accuse di presunta violenza sessuale nei confronti di due uomini, ha subito un’importante svolta. I giudici del Riesame hanno annullato l’accusa principale, ritenendo che i rapporti fossero consenzienti e tra adulti. La vicenda risale allo scorso 27 aprile, quando due religiosi della chiesa di Sant’Antonio vennero arrestati, gettando ombre sul clero locale.

In particolare, il parroco padre Domenico Silvestro è stato rimesso in libertà, dopo che il tribunale ha fatto cadere le accuse di violenza sessuale inizialmente formulate contro di lui. Per quanto riguarda don Nicola Gildi, che si trovava in carcere, il Riesame ha deciso di commutare la misura cautelare agli arresti domiciliari. Gildi è stato ritenuto coinvolto in un’altra accusa, quella di aver commissionato la rapina dei cellulari dei due uomini per evitare la diffusione di immagini compromettenti, potenzialmente legate a rapporti sessuali.

Anche per don Gildi, l’accusa di stupro è stata archiviata, accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Paolo Maresella. Tuttavia, l’attenzione dell’inchiesta resta focalizzata sul furto dei dispositivi, nei quali si presume fossero memorizzate immagini che potrebbero far luce su quanto accaduto tra le quattro persone coinvolte.

La vicenda, che tocca profondamente l’ambiente della chiesa, continuerà a essere oggetto di indagini per chiarire ulteriormente i contorni di una storia che ha sconvolto la comunità locale.

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Emergenza in pronto soccorso ad Aversa, estratta una bottiglietta dall’intestino di un paziente

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Tra le numerose emergenze che un chirurgo di un grande pronto soccorso deve affrontare, una delle meno immaginate riguarda l’estrazione di corpi estranei introdotti nel tratto finale dell’intestino, attraverso l’ano. Si tratta di un fenomeno tutt’altro che raro: in strutture ospedaliere di grandi dimensioni, si stimano tre o quattro casi l’anno. Un recente episodio di questo tipo è stato gestito con successo all’ospedale Moscati di Aversa, il secondo pronto soccorso più frequentato della Campania, dopo il Cardarelli di Napoli.

L’intervento si è reso necessario per rimuovere una bottiglietta che, se non estratta in tempi rapidi, avrebbe potuto causare gravi complicazioni, fino a mettere a rischio la vita del paziente. Il caso è avvolto nel riserbo, come è giusto che sia per tutelare la privacy del soggetto coinvolto, ma è noto che l’operazione ha richiesto diverse ore e che le condizioni cliniche sono ora sotto monitoraggio costante.

Dal punto di vista clinico, l’inserimento di corpi estranei nell’intestino rappresenta una sfida complessa per chirurghi e proctologi. Questi specialisti devono affrontare situazioni delicate e potenzialmente pericolose. Secondo il professor Franco Corcione, presidente emerito della Società Italiana di Chirurgia, le linee guida delle principali associazioni mondiali di chirurgia d’urgenza includono specifiche raccomandazioni per la gestione delle emergenze legate ai corpi estranei intrarettali.

Nella maggior parte dei casi, i pazienti sono uomini che introducono oggetti a scopo autoerotico. Tuttavia, esistono anche casi accidentali, sebbene questi ultimi siano rari e spesso attribuiti a una spiegazione fornita per pudore. Dal punto di vista tecnico, se il paziente perde il controllo sull’oggetto, questo può essere “assorbito” dalla muscolatura dello sfintere, rendendo il recupero difficile.

Nella fase iniziale, il corpo estraneo di solito non provoca danni immediati, ma se non viene rimosso tempestivamente, può causare infezioni, lesioni alla parete intestinale e persino peritonite, una condizione che può risultare fatale.

Tra gli oggetti che i chirurghi si trovano a estrarre dall’intestino vi sono sex toys, bottiglie, verdure, bombolette e persino lampadine. Alcuni casi risultano particolarmente curiosi: alcuni anni fa, ad esempio, l’Ospedale del Mare di Napoli dovette affrontare un intervento per la rimozione di un telefonino, nascosto da un detenuto nell’intestino.

Uno dei casi più sorprendenti citati nella letteratura medica è riportato nel manuale di chirurgia “Bailey & Love’s Short Practice Of Surgery”, che descrive la storia di un veterano della Seconda Guerra Mondiale. Questo uomo usava una granata per alleviare il dolore causato da un prolasso emorroidario, finendo per richiedere un intervento chirurgico per rimuovere l’oggetto rimasto incastrato nel retto.

In situazioni di emergenza come queste, la prima azione è sempre l’esecuzione di indagini diagnostiche per immagini, come radiografie o TAC, per individuare con precisione il corpo estraneo, la sua posizione e le sue dimensioni. In molti casi, l’oggetto può essere rimosso attraverso un intervento endoscopico, ma se ciò non è possibile, si ricorre alla rimozione in sala operatoria, in anestesia spinale o generale. Nei casi più complessi, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico vero e proprio, in laparoscopia o, in situazioni estreme, con l’asportazione di una parte del colon.

Infine, va considerato anche l’aspetto medico-legale. In alcuni casi, la presenza di corpi estranei e le lesioni associate possono essere indizio di abusi o violenze, che il personale medico deve essere in grado di riconoscere per garantire la tutela del paziente.

 

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Dal campo di calcio al carcere: la drammatica storia di Gennaro Musella

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La violenza scaturita su un campo di calcio amatoriale di Napoli due anni fa torna al centro dell’attenzione per l’inasprimento della misura cautelare nei confronti di Gennaro Musella, protagonista di un duplice tentato omicidio. Quella che doveva essere una semplice partita tra due squadre locali si è trasformata in un incubo di violenza e sangue, segnando in modo indelebile la vita dei partecipanti e delle vittime.

Tutto si è svolto nell’ottobre del 2022 sui campi di calcio di via San Rocco, durante una partita tra le squadre amatoriali dei “Bandidos Argentinos” e gli “Scugnizzi”. Gennaro Musella, allora ventenne, reagì a un intervento in scivolata da parte di un difensore avversario con una ferocia inaudita: estrasse un coltello nascosto nei pantaloncini e colpì ripetutamente l’avversario all’addome, riducendolo in fin di vita. Non contento, rivolse la sua furia verso un altro giocatore, colpendolo anch’esso.

La dinamica dell’aggressione fu chiara dalle immagini agli atti: Musella, spinto dalla rabbia e, pare, dalle incitazioni del padre sugli spalti (“uccidili, uccidili”), reagì in modo spropositato, infliggendo ferite gravi che avrebbero potuto avere esiti tragici. Il suo comportamento sul campo fu definito “pulp” per la brutalità e l’assenza di un minimo freno emotivo.

A seguito dell’arresto immediato, Musella è stato processato per duplice tentato omicidio. Difeso dall’avvocato Rosario Arienzo, ha scelto il rito abbreviato, ammettendo le proprie responsabilità e risarcendo le vittime. Nonostante la gravità dei fatti, la sua confessione e il percorso giudiziario gli hanno permesso di ottenere una riduzione della pena rispetto alle richieste della pubblica accusa. Condannato a quattro anni di reclusione, Musella ha trascorso un periodo agli arresti domiciliari.

Tuttavia, la recente violazione degli obblighi imposti dal regime di detenzione domiciliare ha portato al suo arresto. Le autorità hanno deciso di inasprire la misura cautelare, trasferendolo in carcere, dove Musella dovrà scontare il resto della sua condanna.

Il caso di Gennaro Musella ha destato scalpore non solo per la ferocia dell’aggressione, ma anche per le sue implicazioni familiari. Musella è infatti il nipote di Maria Licciardi, nota madrina di camorra, anche se in questo specifico contesto non sono state rilevate aggravanti di stampo mafioso. Tuttavia, la figura paterna ha avuto un ruolo decisivo nell’incitare la violenza, portando anche alla sua condanna.

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