Un milione in piazza a difesa di quello che resta dell’autonomia dalla potentissima madrepatria. La gente di Hong Kong ha invaso le strade con una manifestazione oceanica per protestare contro la proposta di legge sull’estradizione forzata di sospetti criminali in Cina, dove saranno processati in base a un sistema che da’ scarse garanzie in tema di indipendenza del sistema giudiziario e rispetto dei diritti umani. Un corteo iniziato pacificamente ma che, a notte fonda, e’ degenerato in scontri quando la folla si e’ radunata davanti alla sede del parlamento e la polizia e’ intervenuta con manganelli e spray urticanti per disperdere i manifestanti che hanno lanciato bottiglie incendiarie ed eretto barricate. Una protesta imponente che ricalca quella del Movimento degli Ombrelli del 2014 quando, per 79 giorni, venne presidiato il centro dell’ex colonia britannica per chiedere riforme democratiche ma che vide la sconfitta su tutti i fronti. Uomini d’affari, professionisti, avvocati, studenti, tutti vestiti di bianco e con cartelli rossi con la scritta ‘No all’estradizione in Cina’, si oppongono a una legge, la cui approvazione e’ prevista per mercoledi’ e che – sostengono – servira’ per portare avanti persecuzioni politiche all’interno del territorio di Hong Kong.
Una tesi contestata dai fautori della riforma, a partire dalla leader di Hong Kong Carrie Lam, per i quali nella legge sono state introdotte clausole di salvaguardia che impediscono che chiunque sia potenzialmente esposto a persecuzioni politiche o religiose possa essere estradato nella Cina continentale. Inoltre, affermano, saranno i tribunali di Hong Kong ad avere l’ultima parola sulle richieste di estradizione. In base al modello “un Paese, due sistemi” concordato nel 1997 al momento del passaggio dalla Gran Bretagna alla Cina, ad Hong Kong e’ stato garantito il diritto di mantenere per 50 anni i propri standard politici, sociali e legali. Ma l’erosione dei margini decisionali, da parte di Pechino, e’ costante. E il timore e’ che la nuova legge possa mettere un pietra tombale proprio su quell’autonomia giudiziaria che garantisce l’esistenza di paletti nei confronti della Repubblica popolare. L’estradizione a Hong Kong e’ limitata a quei Paesi con i quali sono stati firmati accordi. Sono una ventina, compresi Stati Uniti e Gran Bretagna. La Cina e’ stata finora esclusa proprio a causa delle preoccupazioni in merito all’indipendenza della magistratura. Questa legge “e’ la fine dei giochi per Hong Kong, e’ una questione di vita o di morte.
Per questo sono qui”, ha spiegato Rocky Chang, professore di 59 anni, citato dalla Bbc. Ivan Wong, studente di 18 anni, ha aggiunto che “questa legge non ha un impatto solo sulla reputazione di Hong Kong come centro finanziario internazionale, ma anche sul nostro sistema giudiziario. E tutto questo ha delle conseguenze sul mio futuro”. Ma non ci si fanno troppe illusioni sulla volonta’ del governo di tornare sui suoi passi, anche perche’ i partiti filo-cinesi hanno la maggioranza nella legislatura.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.