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Caos Salva-Roma e rissa su Siri, guerra Salvini-Di Maio

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Caos sulle norme Salva Roma su cui la Lega chiede lo stralcio dal decreto crescita che viene esaminato dal Cdm. Luigi di Maio snobba il Consiglio dei ministri convocato per approvare definitivamente il dl, dice no allo stralcio e attacca a testa bassa su Armando Siri che viene difeso a spada tratta da Matteo Salvini che “ricambia” l’alleato di governo annunciando lo stralcio delle misure sulla Capitale. Questa la fotografia di una giornata molto complessa per l’esecutivo. Con uno scontro frontale tra i due vicepremier e i due partiti della maggioranza che viene letto dagli osservatori in due modi opposti: c’e’ chi lo interpreta come prodromico ad una crisi inevitabile, e chi invece lo interpreta come un diversivo di fronte alla difficolta’ di affrontare in campagna elettorale problemi delicati, come la frenata dell’economia o la guerra in Libia. La giornata si e’ aperta con Matteo Salvini che da una parte ha ribadito il proprio “niet” all’inserimento del cosiddetto Salva-Roma nel decreto Crescita, e dall’altro ha negato l’intenzione di far saltare il governo dopo le europee. A sua volta M5s ha aperto le batterie contro il sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione: la sua “permanenza al governo sarebbe intollerabile” ha detto Nicola Morra, presidente dell’Antimafia. E poi una serie di altre dichiarazioni, fino alla richiesta sul Blog delle Stelle di “un chiarimento necessario e non piu’ rimandabile”. Salvini a sua volta ha difeso il sottosegretario, ma M5s e’ intenzionato a tenere alta la tensione su di lui nelle prossime settimane. Ai due temi oggetto dello scontro nei giorni scorsi, se ne sono aggiunti in giornata altri, anche slegati dalla attivita’ immediata di governo.

Per esempio a Salvini che ha sminuito il valore delle celebrazioni del 25 aprile (“la vera liberazione e’ quella dalla mafia” ha detto spiegando la sua scelta di recarsi a Corleone) ha replicato Di Maio per il quale “e’ grave negare” tale valore. E ancora, nel giorno in cui ci sono stati tre accoltellamenti (a Bergamo, Modena e Roma), Salvini ha scelto di stigmatizzare quello avvenuto nella capitale ad opera di un marocchino di fede islamica; e subito M5s ha rintuzzato sottolineando che “sui rimpatri dei 600 mila irregolari non e’ stato fatto ancora nulla”, con Di Maio che ha chiesto al premier Giuseppe Conte un vertice su tale tema. E’ in questo clima che Conte deve gestire il dossier Libia (domani incontra l’inviato Onu) e l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto Crescita, che dovrebbe rispondere al problema della frenata dell’economia, una delle due grandi questioni del Paese. Il decreto non e’ stato inserito ufficialmente nell’ordine del giorno, ma viene esaminato “fuori sacco”. Salvini, conraddetto dai 5 stelle, spiega che nel decreto crescita non ci sara’ il Salva-Roma, che verra’ inserito in un provvedimento ad hoc con le misure per altri Comuni. Cosa che spinge la capogruppo di Fi in Senato, Annamaria Bernini ad ironizzare: “occorre una formula nuova: da salvo intese a salvo ritorsioni”. “‘Trovare la quadra’, ‘Salvo intese’, ‘Fuori sacco” – ha commentato Marina Sereni (Pd) – linguaggio da vecchissima politica, altro che cambiamento!”.

Questo scontro permanente innervosisce le opposizioni. Giorgio Mulè, portavoce di gruppi di Fi, invoca le urne: “Nel governo dei due litiganti, non c’e’ un terzo che gode. Anzi, al contrario: l’Italia arranca”. Il Pd ha formalizzato la mozione di sfiducia contro l’esecutivo: la situazione internazionale, la crisi economica, vi si legge, “richiederebbero un Governo solido, politicamente coeso, libero da condizionamenti privati e immune anche solo dal sospetto dell’asservimento a interessi criminali”: un riferimento alle accuse a Siri. Una mozione, ha spiegato Andrea Orlando, che “alla fine valuta semplicemente un fatto: la crisi e’ gia’ in atto, questa maggioranza non esiste piu'”.

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Emendamenti e tesoretto, parte l’assalto alla manovra

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Alzare ulteriormente le pensioni minime, abrogare la norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, limitare il blocco parziale del turnover, ridurre la tassa sui bitcoin, modificare la web tax. Parte l’assalto dei partiti alla legge di bilancio. Le opposizioni si preparano a dare battaglia, mentre nella maggioranza c’è chi spinge per “migliorare” il testo e chi è più cauto. Su tutti pende la spada di Damocle del piano di aggiustamento dei conti, che rende la strada più stretta, vincolando qualsiasi modifica all’obbligo di avere la relativa copertura.

Il lavoro degli uffici legislativi andrà avanti per tutto il fine settimana per mettere a punto gli emendamenti, che entro lunedì vanno presentati in commissione Bilancio alla Camera. I parlamentari hanno a disposizione un ‘tesoretto’ di 120 milioni per il 2025, ma non sarebbe ancora stato definito come dividerlo tra maggioranza e opposizione. Sul fronte delle risorse aggiuntive si attende poi l’esito definitivo del concordato biennale per le partite Iva.

Alla scadenza del 31 ottobre sono stati raccolti circa 1,3 miliardi (non abbastanza per procedere l’ulteriore step sull’Irpef), ma il governo è al lavoro per una riapertura dei termini: un decreto legge ad hoc, atteso in cdm forse già martedì, dovrebbe fissare il nuovo termine al 10 dicembre (ma circola anche l’ipotesi del 15). Nella maggioranza sono ore cruciali e non si escludono possibili incontri,forse a valle della consegna degli emendamenti. Le modifiche di Forza Italia si concentrano su alcuni macro-temi: alzare ulteriormente le pensioni minime, escludere le forze dell’ordine dal blocco parziale del turnover nella Pa, rimodulazione dell’Irpef (con il taglio della seconda aliquota dal 35 al 33% e l’estensione dello scaglione fino a 60mila euro), sgravi fiscali per chi reinveste gli utili in azienda, abrogazione della norma sui revisori del Mef negli enti che ricevono contributi pubblici, anche rinvio della sugar tax e modifica della web tax (reintroducendo la soglia dei 750 milioni di fatturato globale).

Un tema, quest’ultimo, su cui gli azzurri aumentano il pressing: Basta “asimmetria fiscale”, dice il responsabile Dipartimenti Alessandro Cattaneo; “Bisogna far pagare le tasse ai colossi del web”, rincara il capogruppo in Senato Maurizio Gasparri. Dentro Fratelli d’Italia, invece, bocche cucite sugli emendamenti: prima di lunedì, è la linea, non si parla. Gli interventi, comunque, saranno limitati. “Sappiamo bene che per il 97/98% la manovra è quella, e non si tocca. Qualcosa si può modificare o migliorare. Ma ci diamo un limite”, spiegava nei giorni scorsi il capogruppo Tommaso Foti. Anche nella Lega si attende lunedì e si lavora con l’obiettivo di presentare solo modifiche che verranno approvate. Tra le proposte del partito di via Bellerio è atteso l’intervento per ridurre la tassa sui bitcoin.

Un altro cavallo di battaglia la Lega l’ha già sfoderato nel dl Fisco, con l’emendamento per tagliare anche nel 2025 il canone Rai: una proposta che agita la maggioranza, con FI che ha già promesso che non lo voterà. Dalle opposizioni intanto filtra l’intenzione di replicare quanto fatto l’anno scorso concentrando i soldi del tesoretto su una proposta comune per finanziare i centri anti-violenza. Su come potrà cambiare la manovra qualche indicazione è arrivata direttamente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha già aperto su diversi temi: dai revisori del Mef nelle società con contributi pubblici, purché sia mantenuto il principio che chi riceve soldi dello Stato risponde di come li usa; ai bonus edilizi, ma la distinzione tra prima e seconda casa è “inderogabile”. Disponibilità poi a ragionare anche sul blocco del turnover, a partire dall’esclusione del comparto sicurezza. Ok anche a valutare modifiche sulle criptovalute.

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Mattarella: Cina si adoperi per fermare Putin

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Con Xi Jinping c’è “piena sintonia e convergenza di valutazioni per quanto riguarda la volontà di pace, il multilateralismo, e l’apertura nelle relazioni economiche”. Ora Pechino prenda atto di essere una potenza globale e si adoperi per far pesare la sua influenza su Vladimir Putin aiutando a porre fine all’aggressione russa in Ucraina. Sergio Mattarella chiude il cerchio dei suoi colloqui chiedendo alla Cina un’assunzione di responsabilità proprio in nome di quel multilateralismo – Pechino lo declina come necessità di un nuovo ordine mondiale – che ha dominato gli incontri politici di questa sua seconda visita di Stato nel Paese del dragone. Una missione di successo nonostante i delicatissimi temi affrontati e molto apprezzata dalle autorità cinesi che hanno assicurato che da oggi si apre una nuova “storica” fase di relazioni bilaterali.

Giudizi lusinghieri che hanno permesso al presidente della Repubblica una franchezza di linguaggio che ad altri non sarebbe stata concessa e che Mattarella si è presa tutta. In rapida successione il capo dello Stato ha chiesto a Pechino di aumentare gli investimenti cinesi in Italia, di promuovere con maggiore decisione la volontà di pace in Ucraina e in Medio Oriente, di comprendere che “l’amicizia” – è stata la parola chiave di questi giorni a Pechino – tra due popoli deve permettere anche qualche critica, ad esempio sui diritti umani, senza che queste siano considerate “interferenze”. Ed ancora che è giunta l’ora che la Cina rimuova le “barriere che ostacolano l’accesso al mercato cinese di prodotti italiani di eccellenza”. Tema, quest’ultimo, scottante per il governo che si trova in una situazione di grave squilibrio commerciale.

Basti pensare che nel 2022 l’interscambio è stato pari a 73,9 miliardi di euro ma le esportazioni italiane in Cina hanno raggiunto solo i 16,4 miliardi mentre le importazioni sono state oltre il triplo (57,5 miliardi di euro). “C’è l’esigenza – ha infatti detto Mattarella al premier Li Qiang – di un riequilibrio nello sviluppo dei rapporti commerciali di importazione-esportazione. Gli investimenti italiani in Cina sono cresciuti molto. Auspichiamo che anche quelli cinesi possano crescere velocemente”. Poi nel pomeriggio il capo dello Stato si sposta all’università di Pechino e affronta la parte più politica della sua agenda davanti a studenti attentissimi. In sala, per l’inaugurazione della cattedra Agnelli dedicata alla cultura italiana, un parterre particolare: uno accanto all’altro Romano Prodi, primo titolare della cattedra, Pier Ferdinando Casini nuovo presidente onorario del forum filantropico Cina-Italia e il presidente di Exxor John Elkann.

“Italia e Cina sono unite da un rapporto solido e maturo, capace di superare le increspature”, ha premesso quasi a scusarsi della schiettezza delle sue parole. “Nessuno in Europa vuole una nuova stagione di protezionismo”, ha assicurato nel bel mezzo di complesse trattative sui dazi in corso tra Cina ed Unione europea. Per poi chiedere che la battaglia sulle auto elettriche non esondi su altri settori: “non deve ripercuotersi sulle pratiche commerciali di altri comparti”. Quindi la politica estera ed anche qui una premessa: “la Cina è uno dei protagonisti fondamentali della vita internazionale”. Per questo motivo deve “far uso della sua grande autorevolezza adoperandosi per porre termine alla brutale aggressione russa all’Ucraina”. E la stessa autorevolezza Pechino dovrebbe mostrare aggiungendo “la sua voce per fermare la spirale di violenza in Medio Oriente”.

Si tratta di una chiamata forte alla Cina ad entrare in gioco ma sempre giocando con le regole del diritto internazionale. E se tra “amici” le critiche possono essere solo costruttive, il presidente, garbatamente, parla anche di diritti umani: “ci sono questioni complesse che riguardano tutti noi. Tra queste non è in secondo piano la tutela e la promozione della dignità di ogni persona. Ribadire principi che rappresentano un presidio di civiltà non esprime interferenza nei confronti di alcuno. È, piuttosto, un invito – di valore universale – per comportamenti coerenti con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che impegna l’intera Comunità internazionale”. Insomma, la Cina entri veramente in partita e inizi a dare corpo quel nuovo ordine mondiale del quale tanto si parla. Ma con le regole chiare del multilateralismo e non con l’assenza di regole di chi aggredisce i più deboli come la Russia.

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Campania, scoppia il caso Patriarca in FI: la segretaria provinciale lascia in polemica con Martusciello

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La situazione all’interno di Forza Italia in Campania è tesa e complicata. Se il centrosinistra vive già una fase di scontro tra il Partito Democratico e Vincenzo De Luca riguardo al terzo mandato per le regionali del prossimo anno, anche nel centrodestra ci sono segnali di disaccordo. In particolare, le recenti dimissioni di Annarita Patriarca da segretario provinciale di Napoli hanno generato un’ondata di discussioni e tensioni.

Le dimissioni di Patriarca: una scelta dolorosa per la deputata

La deputata Annarita Patriarca ha presentato le sue dimissioni il 5 novembre con una lettera indirizzata ad Antonio Tajani, leader di Forza Italia, e a Fulvio Martusciello, coordinatore regionale campano. Nella sua missiva, Patriarca spiega le motivazioni della sua scelta, specificando che non si tratta di una rottura con il partito, al quale si sente ancora legata per ideali e valori. “Le ragioni sottese a tale dolorosa scelta – spiega Patriarca – non riguardano assolutamente la nostra adesione al partito, piuttosto un’impossibilità oggettiva di svolgere il nostro ruolo con serenità e condivisione”.

Secondo Patriarca, il clima all’interno del partito sarebbe segnato da posizioni preconcette e fughe in avanti non condivise, situazioni che avrebbero minato la credibilità del partito stesso e dei suoi quadri dirigenti. “Il partito non ragiona al plurale confrontandosi, ma crea microsistemi,” denuncia la deputata, evidenziando come questo atteggiamento limiti la crescita e l’inclusività del partito.

Fulvio Martusciello. Europarlamentare e coordinatore regionale campano di Forza Italia (foto Imagoeconomica)

 

Le dimissioni di massa: un segnale forte al partito

Con Patriarca, hanno lasciato anche sette membri della dirigenza provinciale: i tre vicesegretari Raffale Barone, Francesco Pinto e Luigi Renzi, insieme ai responsabili Gaetano Cimmino (Enti Locali), Katia Iorio (Formazione), Gennaro Giustino (Organizzazione) e Angela Procida (Politiche Giovanili, Sport e Politiche Sociali).

Nella lettera di dimissioni, gli esponenti forzisti ribadiscono che “in queste condizioni non potremo svolgere il ruolo a cui siamo chiamati dai nostri elettori”. Tuttavia, chiariscono di non voler dare risonanza mediatica alla vicenda, definendola una questione interna finalizzata a determinare un’inversione di marcia per la crescita di Forza Italia nei territori.

La gestione di Martusciello e l’intervento di Tajani

Le dimissioni sembrano essere una forma di protesta contro la gestione di Fulvio Martusciello, europarlamentare e coordinatore regionale di Forza Italia in Campania. Il malcontento sembra essere esploso con la nomina del senatore Francesco Silvestro, vicino a Martusciello, come commissario di Forza Italia nella provincia di Napoli, una risposta immediata alle dimissioni di massa.

Da settimane, Martusciello ha manifestato interesse per la candidatura a governatore della Campania. Tuttavia, all’interno del centrodestra, altri nomi sono stati discussi per la presidenza della Regione, come il deputato di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari esteri, e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (quota Lega). Inoltre, è emerso anche il nome di Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria, preferito da alcuni esponenti di Forza Italia nel caso di una scelta civica.

Forza Italia in Campania: un futuro incerto

Queste dimissioni sono un chiaro segnale delle difficoltà interne di Forza Italia in Campania. Patriarca e i suoi colleghi, pur rimanendo nel partito, chiedono un cambiamento di rotta e attendono l’intervento di Tajani per affrontare la situazione. Il futuro del partito nella regione dipenderà da come la leadership gestirà queste tensioni e se riuscirà a ricostruire l’unità in vista delle prossime sfide elettorali.

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