Quando si parla di ricerca scientifica, soprattutto in campo oncologico, i Paesi di riferimento sono sempre quelli più industrializzati, con piani di sviluppo che mirano a far crescere il benessere della popolazione alungo termine. E se negli Stati Uniti ed in alcune realtà europee, come ad esempiola Spagna – il Vall d’ Hebron Barcelona Hospital Campus rappresenta la punta di diamante in Europa per quello che concerne la ricerca –il settore scientifico oncologico macina successi, complici i costanti finanziamenti nonché i continui aggiornamenti di medici e ricercatori,ben diversa è la situazione in Italia.
Tra i tagli ai fondi– gli stessi che dovrebbero servire a finanziarlo – e le varie politiche di governo che fino ad oggi nonhanno prestato la giusta attenzione alla ricerca, questo settore sembra essere sempre in continua sofferenza. Una sofferenza figlia anche delle modalità di approccio alle terapie, che negli USArisultano essere specifiche e all’avanguardia.
Per cogliere la differenza ed eventuali gap che sussistono tra la ricerca scientifica oncologica italiana e quella americanaabbiamo chiesto delucidazioni al professor Maurizio Scaltriti , emiliano di Correggio, associato al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York , uno dei centri, a livello mondiale, più all’avanguardia per quello che riguarda la lotta ai tumori. Scaltriti è un esperto di “Target therapy”.
Maurizio Scaltriti. Professore associato al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York
ProfessorScaltriti, quando si parla di ricerca scientifica, soprattutto in campo oncologico, si è sempre portati a sperare che i progressi siano indirizzati verso la sperimentazione di nuove terapie utili alla guarigione. Lei, negli studi che conduce, da pioniere della lotta contro il cancro è anche un sostenitore della “Target therapy”: può spiegare che cos’è?
La “Target therapy” è quello che una volta si chiamava “il proiettile intelligente”. Nello specifico sonoquelle terapie che non colpiscono il tumore nelle sue caratteristiche più generali ma mirano a bersagliare precisi tipi di tumore che hanno diverse proteine dalle quali dipendono. Con questi farmaci si riesce a colpire solo la proteina specifica, avendo degli ottimi risultati. Sono molecole farmacologiche che hanno meno effetti collaterali – ma di certo non ne sono privi –rispetto alle normali chemioterapie e ciò comporta anche un netto miglioramento della qualità della vita del paziente oncologico. La terapia bersaglio è un grande passo avanti per la ricerca scientifica, permette di trovare nuove strade direzionali alla cura del cancro.
Una delle domande più importanti sulle quali noi ricercatori delMemorial Sloan Kettering Cancer Center lavoriamo, è quella del perché ad un certo punto i farmaci che vengono adoperati per curare determinati tipi di tumore su alcuni pazienti, smettono di funzionare e quindi capire perché questo avviene. Siamo sempre alla ricerca di nuove combinazioni farmacologiche che riescano a colpire le cellule tumorali che nel corso della terapia hanno sviluppato resistenza.
Lotta al cancro. Sequenziamento del Dna e Target therapy sono i segreti del successo della ricerca negli Usa nella guerra per sconfiggere i tumori e restituire una qualità della vita altissima ai pazienti oncologici
Quali sono in Italia quei centri oncologici che prendono in considerazione questa “terapia bersaglio” adoperata nei laboratori americani?
Ci sono in Italia dei poli avanzati per quello che riguarda la cura dei tumori ed uno dei centri che considero di eccellenza con il quale ho collaborato parecchioè l’Istituto Candiolo di Torino, dove i suoi oncologi, pur non avendo a disposizione tutti i “clinical trial” che abbiamo nel nostro centro a New York, hanno una mentalità all’avanguardia dove il sistema farmacologico “trial” non è visto più come “ultima spiaggia”. Qui nel centro, dove da professore associato lavoro, nessun paziente arriva chiedendo la sua aspettativa di vita, anche perché non saprei rispondere, ma ho visto persone guarire da tumori importanti e stare poi bene.
Che cosa vuol dire, in questo caso “avere una mentalità all’avanguardia” e quindi che cammina al passo con i tempi?
Il discorso da fare deve essere innanzitutto culturale, deve partire dagli oncologi stessi cheportandolo avanti concretamente, soprattutto per garantire alle generazioni future un’evoluzione in questo campo, riescono anche a radicarlo. Ma se nessuno entra nei particolari, rimarranno sempre cattedrali nel deserto. Il problema reale è, certe volte e fermo restando che ci sono in Italia le dovute eccezioni,una preparazione medica arretrata. Pochi oncologi italianisanno indirizzare alle cure sperimentali i loro pazienti e cosìla ricerca scientifica italiana in campo oncologico non registra gli stessi progressi che si hanno negli USA.
Come si riconosce una “Target therapy” adeguata?
Una terapia mirata è possibile studiarla e quindi attuarla anche grazie al sequenziamento del DNA. In questo modo si intuisce qual è la mutazione genetica. Sequenziare il DNA di un tumore, per capire quali sono le sue mutazioni e quindi riuscire ad aggredirlo con farmaci idonei, oggi è possibile grazie a delle semplici biopsie.Ad esempio, nel mio centro qui a New York, quando un paziente arriva con un tumore aggressivo, il primo step non è quello delle analisi del sangue ma prendiamo un pezzo deltumore, da cui estrarremo il DNA e lo sequenziamo, coinvolgendo400 geni che sappiamo essereimplicati con il cancro. Naturalmente il paziente firma un consenso perché abbiamo bisogno del suo DNA,ma queste informazioni ci permettono di sapere anticipatamente quali sono e se ci sono mutazioni sensibili ad un determinato farmaco.
In Italia ci sono ostacoli che rallentano il progredire della ricerca scientifica? E secondo lei, certi ritardi, se ci sono, da che cosa potrebbero dipendere?
Tenendo sempre ben presente che ci sono poli di eccellenza italiani per la cura dei tumori, con interessanti realtà, mantenute in piedi da oncologi e ricercatori molto preparati, a mio avviso, il problema principale, è che mancano gli investimenti. Le politiche attuali potrebbero agire per far sì che vengano stanziati quei finanziamenti che mettono al primo posto la ricerca, andando a scommettere su quei progetti a lungo termine così da dare anche la possibilità ai ricercatori di concretizzare sul campo le proprie idee. Il vero problema sta anche qui: brillanti ricercatori che vanno all’estero perché riescono ad essere messi nelle condizioni più idonee per far sì che le loro ambizioni professionali trovino i giusti plausi e riscontri, cosa che in Italia non avviene, essendo ancora presente un sistema che si dimentica del tutto della meritocrazia. Abilitare il circolo virtuoso della ricerca parte anche da qui. Anche perché è bene ricordare che se un Paese non investe nel settore medico/scientifico è una sconfitta per tutti.
Nove progetti di ricerca sulla Sla, dallo sviluppo di un nuovo test diagnostico all’identificazione di possibili biomarcatori tramite lo studio del ruolo svolto dal muscolo scheletrico nella malattia. Con un finanziamento di 840mila euro, AriSLA, Fondazione italiana di ricerca per la Sla Ets, supporterà i progetti, coinvolgendo 15 gruppi di lavoro distribuiti in sette diverse regioni italiane Tra i nuovi studi, due sono quelli quelli ‘full grant’, cioè che sviluppano ambiti di studio promettenti, basati su solidi dati preliminari. ‘Defineals’, coordinato da Gianluigi Zanusso dell’Università di Verona, ha l’obiettivo di sviluppare un test affidabile per diagnosticare e monitorare la progressione della Sla correlata a TDP-43, una proteina che in condizioni normali svolge un ruolo fondamentale in diverse funzioni cellulari, e nei pazienti con Sla risulta aggregata.
Saranno raccolti tramite tampone nasale campioni da 60 pazienti con diagnosi di probabile Sla e da 60 soggetti controllo (30 controlli sani e 30 con altre patologie neurologiche). Per la ricerca della proteina TDP-43 sui campioni saranno effettuati studi immunocitochimici e molecolari. Il progetto ‘MoonAls’, coordinato da Giovanni Nardo dell’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano, studierà la fisiopatologia della Sla indagando il ruolo svolto dal muscolo scheletrico nella malattia per identificare possibili biomarcatori. In particolare, nei modelli murini a lenta e rapida progressione e nelle colture cellulari verranno studiate le molecole rilasciate dalle cellule satellite, ossia le cellule staminali del muscolo scheletrico, per verificare se possono contrastare l’atrofia muscolare indotta dalla Sla.
Infine, sarà valutato l’effetto del trapianto di cellule satellite sull’atrofia muscolare e sulla progressione della Sla in modelli murini. Gli altri sette progetti sono ‘Plot Grant’, ossia studi esplorativi con lo scopo di sperimentare idee innovative. ‘Flygen’, coordinato da Arianna Manini dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano, intende identificare nuove cause genetiche di Sla in pazienti con un’alta probabilità di avere mutazioni genetiche, come quelli con forte storia familiare di Sla o esordio estremamente precoce, sinora non diagnosticati dal punto di vista genetico. Tra questi, anche il progetto coordinato da Riccarda Granata dell’Università degli Studi di Torino, nel quale saranno valutati gli effetti protettivi della molecola Mr-409, e quello coordinato da Antonio Orlacchio dell’Università di Perugia, con il quale si mira a identificare nuovi geni correlati alla Sla giovanile.
Un passo avanti nella lotta contro il cancro è stato annunciato a Torino. E si misura sulla distanza di una proteina. Il progetto di ricerca europeo Rise-Brain, al quale hanno preso parte anche due specialisti della Città della Salute e dell’Università del capoluogo piemontese, ha portato all’identificazione di uno dei meccanismi che contribuiscono alla formazione delle metastasi cerebrali. Le ricadute possono essere di grande portata: il perfezionamento delle prognosi, la scelta dei percorsi terapeutici e l’approfondimento di nuovi approcci legati all’immunoterapia sono alcuni degli esempi. È una proteina chiamata Timp1, o meglio ancora il suo comportamento, a concentrare l’attenzione dei ricercatori.
Il punto di partenza è stata la valutazione di modelli derivati da campioni di metastasi cerebrali di pazienti affetti da tumori ad elevata incidenza (prevalentemente di origine polmonare e mammaria). Si è cercato di indagare sul ‘sistema’ che blocca la risposta immunitaria, permettendo alla formazione cancerosa di continuare a svilupparsi. I sospetti si sono appuntati sull’interazione fra un gruppo specifico di cellule cerebrali, le astrociti, e un sottogruppo di linfociti citotossici. E il colpevole, per così dire, è la Timp1, che di questa interazione, secondo gli studiosi, è un “elemento fondamentale”.
“Le metastasi cerebrali – spiegano dalla Città della Salute – sono molto frequenti in alcuni tipi di tumori e sono associate a un decorso particolarmente aggressivo. In quelli polmonari possono interessare fino al 30% dei pazienti. L’immunoterapia è stata una rivoluzione che ha consentito miglioramenti significativi nelle prognosi anche in fase avanzata della malattia, ma i risultati, fino ad oggi, restavano variabili e difficilmente prevedibili nel singolo caso”. Almeno due, adesso, sono le strade che si aprono di fronte a questa scoperta. Lo studio ha dimostrato che è possibile misurare la quantità di Timp1 a livello del liquor, un liquido circolante a livello cerebrale e nel midollo spinale: un prelievo liquorale, relativamente semplice e poco invasivo, dovrebbe quindi permettere di identificare i pazienti con maggiore probabilità di rispondere al trattamento attraverso un approccio di biopsia liquida. Inoltre il meccanismo che stoppa la controreazione immunitaria potrà diventare un bersaglio per nuovi approcci di immunoterapia capaci di controllare la progressione del tumore.
Alla ricerca, i cui esiti sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cancer Discovery, hanno lavorato da Torino il professor Luca Bertero, del dipartimento di Scienze mediche dell’Ateneo subalpino, e la dottoressa Alessia Pellerino, dell’ospedale Molinette. Giovanni La Valle, direttore generale della Città della Salute, parla di “scoperta importantissima che potrà dare una svolta nelle terapie delle metastasi cerebrali”. “Ancora una volta – sottolinea l’assessore regionale alla sanità, Federico Riboldi – si dimostra quanto la Sanità piemontese riesca a conciliare al massimo sia la parte assistenziale sia quella della ricerca”.
Chiedono “rispetto” e urlano “vergogna” al governo, che ha messo in campo una manovra “senza risorse sufficienti per salvare il Servizio sanitario nazionale ed i suoi professionisti”. Medici ed infermieri oggi sono scesi in piazza per lo sciopero nazionale di 24 ore indetto da Anaao Assomed (medici ospedalieri), Cimo Fesmed e Nursing up: se non basterà, è il messaggio dei sindacati dal palco della manifestazione a Piazza Santi Apostoli a Roma, “andremo avanti, fino alle dimissioni di massa”. La protesta ha toccato un’adesione dell’85% secondo i sindacati, ma il ministro della Salute Orazio Schillaci, al Tg1, sottolinea: “Verificheremo domani quelli che saranno i dati ufficiali sull’adesione allo sciopero, credo inferiori a questi numeri”.
E’ stata comunque bassa l’adesione media in Veneto (sotto il 5%) ed in Umbria è stata invece alta “l’adesione morale”: molti medici sono andati al lavoro per garantire lo smaltimento delle liste d’attesa rinunciando al pagamento della giornata. Da parte sua, Schillaci ha sottolineato che “questo è il governo che ha messo più soldi sulla sanità pubblica: sono stati stanziati oltre 35 miliardi nei prossimi 5 anni. Abbiamo aumentato le indennità di specificità dei medici e l’abbiamo introdotta anche per gli infermieri, e spero che nella manovra si possa aggiungere qualcosa su questo capitolo”. Quanto alle affermazioni della leader del Pd Elly Schlein secondo cui il governo “sta smantellando la sanità pubblica”, Schillaci commenta: “Credo che questa sia solo propaganda”.
Negli ospedali non sono comunque mancati i disagi, anche se la Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) ha precisato che lo sciopero di medici, dirigenti sanitari, infermieri e altre professioni sanitarie ha fatto registrare limitate criticità nell’erogazione dei servizi ai cittadini, con “minimi disagi rilevati a macchia di leopardo nel territorio nazionale”. Secondo i sindacati, però, a saltare sono stati 1,2 milioni di prestazioni: i servizi di assistenza, esami radiografici (50mila), 15mila interventi chirurgici programmati e 100mila visite specialistiche. Garantite, invece, le prestazioni d’urgenza. La protesta, precisano le organizzazioni – che parlano anche di un eccesso di precettazioni da parte delle Asl – non è ovviamente ‘contro’ i cittadini: “Se siamo qui in piazza – afferma il segretario Anaao, Pierino Di Silverio, dal palco – è proprio per i pazienti.
Negli ospedali le condizioni sono ormai inaccettabili”. Sfidando la pioggia ed il cielo grigio, circa 1000 tra medici e infermieri affollano muniti di bandiere la piazza romana. Le parole più urlate sono ‘Rispetto’ e ‘Vergogna’. Di Silverio, con i presidenti di Cimo Guido Quici e di Nursing up Antonio De Palma, espone le ragioni della protesta: “Viviamo in una condizione che definire drammatica è poco: stipendi bassi, strutture fatiscenti, violenza, assenza di medicina sul territorio. E dopo 15 anni di costanti disinvestimenti nella Sanità pubblica, il governo non si vergogna con questa manovra di elargire 14 euro in più al mese ai medici e 7 agli infermieri, a fronte di zero assunzioni e di una legge di Bilancio 2025 che conferma la riduzione del finanziamento per la sanità”.
E la protesta non finisce con lo sciopero di oggi: “Arriveremo ad azioni estreme e alle dimissioni di massa”. Medici e infermieri si sono rivolti anche alla premier Giorgia Meloni, con una lettera in cui denunciano investimenti insufficienti e chiedono un rilancio vero del Ssn ed un incontro urgente. Solidarietà arriva dai medici di famiglia della Fimmg: “Se necessario, anche la Medicina Generale è pronta ad azioni di protesta”. Vicinanza è espressa da esponenti del Pd, mentre Angelo Bonelli (Avs) ricorda che 4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure a causa delle lunghe liste d’attesa e 2,5 milioni non possono permettersele per ragioni economiche. Netta, invece, la posizione di FdI: “Rispetto lo sciopero, ma stiamo facendo il possibile per migliorare la situazione”, afferma il vicecapogruppo alla Camera, Alfredo Antoniozzi.