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Politica

La Lega pagherà in 80 anni, a rate, i 49 milioni che Bossi avrebbe truffato allo Stato

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Ne avevamo già parlato. La procura di Genova e i legali della Lega, in attesa della fine in Cassazione del processo per truffa e altri reati ai vecchi leader del Movimento  che avrebbero preso 49 milioni di contributi pubblici usandoli per questioni diverse da quelle per cui venivano erogati, cominceranno a pagare a rate il debito con lo Stato. Se tutto va come previsto, se la Lega davvero dovrà pagare a fine corsa giudiziaria, l’accordo prevede la restituzione in circa 80 anni.

 Ogni bimestre saranno prelevati 100 mila euro da uno specifico conto indicato dalla Lega fino all’estinzione del debito. Safrebbero 600 mila euro ogni anno per 76 anni.

Al momento nelle casse del partito ci sono appena 130 mila euro e saranno acquisiti subito dalle Fiamme gialle.
Gli altri prelievi partiranno dall’esercizio 2019. Il metodo, ha spiegato il procuratore di Genova, Francesco Cozzi, è il medesimo adottato con i sequestri nei confronti delle aziende “per evitare di soffocarle e permettere loro di continuare le attività”. Credo, ha aggiunto Cozzi, “che abbiamo raggiunto un punto di equilibrio e perseguito gli interessi dello Stato”.

La modalità individuata permette di evitare “lo strozzamento di un partito che agisce nell’ ambito democratico e rappresenta milioni di persone”.

L’ istanza è stata presentata dai legali del partito, Giovanni Ponti e Roberto Zingari, ed è firmata dal tesoriere, Giulio Centemero. Questo il contenuto dell’accordo che potrebbe essere superato dal giudizio ove mai la Lega fosse assolta dal pagare reati e danni alle casse dello Stato fatti da altri. E in effetti i legali del Carroccio nel mentre si accordavano per la rateizzazione hanno però depositato il ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale del Riesame di Genova che lo scorso 6 settembre aveva dato il via libera al sequestro dei 49 milioni in ogni conto riconducibile al Carroccio.

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Politica

M5S: Verso una rivoluzione interna, in discussione il ruolo di Grillo come garante

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Il Movimento 5 Stelle si prepara a una fase di profonda riflessione interna. Nel dibattito che precede l’assemblea costituente prevista per il 23 e 24 novembre a Roma, emergono temi cruciali che potrebbero cambiare radicalmente la struttura e l’identità del partito. Al centro del confronto c’è la possibile riduzione o eliminazione del ruolo del garante, carica attualmente ricoperta da Beppe Grillo, storico fondatore del Movimento.

La questione del garante

Il documento preparatorio, elaborato dalla società Avventura urbana, pone al centro del dibattito la possibilità di ridurre i poteri del garante o eliminarlo del tutto. Questo cambiamento potrebbe modificare l’architettura decisionale del M5S, concentrandosi su processi più collegiali e sulla redistribuzione del potere all’interno del partito. Non solo il ruolo di Grillo è in bilico, ma anche la possibilità di cambiare il nome e il simbolo del Movimento, per riflettere nuove priorità ideologiche.

Le dinamiche interne e il ruolo di Conte

Mentre il ruolo di Grillo è oggetto di discussione, il potere del presidente, attualmente ricoperto da Giuseppe Conte, non sembra in pericolo. Il dibattito, però, si focalizza anche su un’eventuale riduzione dei poteri del presidente per favorire decisioni più condivise. Questo aspetto è delicato, soprattutto considerando l’importanza di Conte nel guidare il M5S in una nuova fase politica.

Le modifiche statutarie

A complicare ulteriormente il quadro, vi sono le modifiche allo Statuto e al Codice etico suggerite dal costituzionalista Michele Ainis. Il principio cardine è che le decisioni dell’assemblea degli iscritti dovrebbero prevalere su qualsiasi intervento del garante o del comitato di garanzia. In pratica, questo potrebbe limitare ulteriormente il potere di Grillo e del suo entourage.

Il futuro del M5S

Con l’assemblea costituente alle porte, i 330 delegati sorteggiati affronteranno una serie di questioni decisive per il futuro del M5S. L’esito delle votazioni potrebbe segnare una svolta epocale per il partito, con la rimozione del garante come uno degli scenari più significativi. Resta da vedere se Grillo deciderà di intervenire o se lascerà che il processo democratico interno faccia il suo corso.

 

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Economia

Allarme Mattarella, preoccupano precariato e salari bassi

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“I dati dell’occupazione in Italia segnano una crescita che conforta”. Con questa premessa il presidente della Repubblica riconosce i dati dell’Istat ma va più a fondo di quanto da giorni si limita a sottolineare la maggioranza. Ci sono nel Paese reale, sottolinea Sergio Mattarella, parlando al Quirinale davanti alla ministra del Lavoro Elvira Calderone, evidenti segni di disagio determinati dal precariato diffuso e dalla piaga dei salari troppo bassi che portano milioni di cittadini ad entrare nella categoria del “lavoro povero”.

Infatti il capo dello Stato, ricevendo al Quirinale i premiati con “le Stelle del lavoro”, si concentra su un’analisi cruda della situazione: “l’occupazione si sta frammentando, tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà. Si tratta di un elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale”.

Una preoccupazione tira l’altra e il presidente parla anche di discriminazioni territoriali e così facendo, pur senza nominarla, fa capire che il warning è diretto alla riforma dell’Autonomia: “le Regioni – in base all’art. 120 – non possono adottare provvedimenti che ostacolino, in qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose; e – aggiunge – neppure limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”. Sono Sanità pubblica e lavoro quindi i crucci di Mattarella che proprio in questi giorni sta battendo sull’importanza di mantenere quel modello sociale di “Welfare universalistico” che affonda le sue radici nella costituzione repubblicana.

“Con il lavoro, con l’apporto decisivo delle organizzazioni dei lavoratori, si è costruito – sottolinea – il welfare italiano, elemento basilare dei diritti di cittadinanza”. L’obiettivo della classe politica deve essere, per il presidente, sempre quello di raggiungere “la massima occupazione possibile” ma senza dimenticare la qualità del lavoro e soprattutto la sicurezza la cui mancanza in Italia è diventata “una piaga intollerabile”: “la vita delle persone – ricorda agli imprenditori – vale immensamente più di ogni profitto, interesse o vantaggio produttivo”.

Oltre alla qualità del lavoro ed al basso livello di sicurezza purtroppo in Italia permane un ulteriore intollerabile elemento che è la condizione in cui sono tenuti gli immigrati “sovente esposti a uno sfruttamento spietato, inconciliabile con la nostra civiltà”. Un j’accuse che non poteva che chiudersi con un richiamo finale, che il presidente da anni reitera in ogni occasione, sulla questione femminile. La Costituzione “stabilisce – all’art. 37 – che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, deve avere le stesse retribuzioni che spettano ai loro colleghi di genere maschile. Sappiamo che il cammino per giungere al rispetto di questo principio è tuttora da concludere ma va ricordata questa prescrizione e il conseguente dovere delle istituzioni di operare per renderla ovunque effettiva”.

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Politica

Endorsement Vannacci per Bucci, “una decima per Marco”

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In una campagna elettorale che sembra non finire mai e che gira sempre sui temi del porto, della sanità, della legalità e del lavoro, irrompe il generale Roberto Vannacci che alla Spezia ha aperto il suo intervento con una gaffe e una provocazione: “Non sono spezzino perché alla Spezia sono solo nato. Ma se esistesse lo ius soli, come vorrebbe la sinistra – ha ironizzato -, allora lo sarei”. Il luogo di nascita, ha proseguito il generale, “potrebbe essere solo il luogo dove in quel momento uno si trova, ma non trasmette quello che invece trasmettono famiglia, sangue, tradizioni, storia. Voi siete liguri e vi riconoscete in quelle che sono le peculiarità del gruppo sociale che rappresentate. Chi si oppone al centrodestra in Liguria – ha quindi avvertito -l’identità ligure vorrebbe cancellarla, dicendo che siamo tutti uguali, vorrebbe aprire le frontiere”. Vannacci non poteva non parlare dei temi caldi di questa campagna elettorale come l’immigrazione e la microcriminalità, per poi lanciarsi nel vero e proprio appello al voto a favore di Bucci, consigliando di fare la Decima (la X, ovviamente) nel posto giusto.

“Vogliamo un’amministrazione che non ha mai cercato di favorire la costruzione di infrastrutture? – ha chiesto Vannacci – Che si è opposta alla costruzione della Gronda? Che si oppone all’ingrandimento del porto di Genova? Che ci vieti di usare le nostre auto e ci imponga di spendere per comprare auto elettriche? In Liguria dobbiamo vincere a tutti i costi. Mi raccomando la ‘decima’ fatela nel posto giusto”. Ma la giornata è lunga e non finisce con i ‘mot à dire’ di Vannacci. Andrea Orlando, tra i tanti temi discussi (e in particolare modo la sanità, sulla quale controbatte spesso il suo competitor Marco Bucci) è tornato a ventilare l’ombra lunga dell’ex governatore Giovanni Toti dietro al candidato Bucci.

“È nostro dovere ricordare ai liguri che votando Bucci voteranno il terzo mandato di Toti e il proseguimento di tutto quello che è stata la sua esperienza di governo, dal collasso della sanità pubblica in giù – ha detto Orlando -. E questo a prescindere dalla vicenda giudiziaria, anche se sinceramente dopo essere stato il ministro della Giustizia che ha firmato il 41 bis per Provenzano e Riina, ha approvato il Codice antimafia ancora vigente, reintrodotto il reato di falso in bilancio e il reato di autoriciclaggio, a fare finta di niente su certe cose non ci sto, e sono ancora convinto la gran parte dei liguri non si siano assuefatti ancora a certe pratiche”. Poi l’affondo parlando di quel ‘Modello Liguria’ che è stato spesso motivo di vanto e slogan perfetto nella campagna elettorale del centrodestra. ‘Fantomatico’ lo ha definito Orlando, un ‘modello’ che sappiamo benissimo non essere praticabile per il futuro” e che è “diventato ormai un brand negativo”.

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